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la devozione a maria nell'ordine
1. S. DOMENICO E I PRIMI FRATI
Il beato Umberto de Romans scrive che san Domenico era solito, nelle sue preghiere, raccomandare l'Ordine alla beata Vergine « come a speciale patrona » (De Vita Regolari II, p. 136). La medesima cosa afferma Costantino di Orvieto, uno dei primi biografi di san Domenico. Costantino dice che Domenico « aveva affidato tutta la cura dell' Ordine a Maria come a speciale patrona » (Legenda n. 31).
Notiamo quel « speciale patrona » e « tutta la cura ». Domenico aveva dunque una fiducia immensa in Maria; sentiva che la beata Vergine non solo era avvocata e protettrice, ma era « speciale patrona ». Domenico ha questa convinzione per il particolare rapporto che lo lega a Maria: un rapporto che va al di là di una semplice devozione.
Lo stretto legame che unisce Domenico a Maria è più di una devozione; è parte essenziale della sua stessa vocazione e della sua stessa missione. Per questo è convinzione comune dei primi frati dell'Ordine che Maria abbia avuto una parte molto importante nella stessa fondazione dell'Ordine (cfr. Vitae Fratrum; in MOPH I, pp. 6‑9).
Tutta la prima parte delle Vitae Fratrum parla di « come la beata Vergine ha impetrato da Gesù Cristo il nostro Ordine ».
In esse si parla spesso dei rapporti « familiari » esistenti tra i primi frati dell'Ordine e la beata Vergine: Maria visita i frati, li protegge miracolosamente, li benedice, suggerisce ciò che devono dire, manda vocazioni all'Ordine, ecc.
Alle volte si può rimanere scettici nei confronti delle molte visioni o di alcuni episodi riportati in quest'opera. A noi non interessa la storicità di un episodio particolare, ma la sostanziale storicità di tutta l'opera, che è senza dubbio una delle fonti storiche dell'Ordine, sia per la sua origine: è infatti una raccolta di testimonianze dirette, che ottenne la piena approvazione del Maestro Umberto e di « molti prudenti religiosi » (Vitae Fratrum o.c. p. 4); sia perché ci manifesta con estrema semplicità il pensiero e il modo di sentire dei primi frati.
E' un fatto storico, per esempio, che i primi frati predicatori credevano che Maria avesse una particolare predilezione per i figli di san Domenico e che lo stesso Ordine fosse stato fondato per le sue suppliche.
In altre parole, che Maria sia realmente apparsa a questo o quel frate è cosa secondaria di fronte alla fede e alla fiducia di quei frati, che sentivano di avere rapporti così familiari con Maria e che sentivano la beata Vergine così vicina a loro da partecipare alla loro stessa vita.
Domenico è l'apostolo di Maria. Nella lotta contro l'eresia uno degli argomenti principali della sua predicazione è la divina maternità di Maria. I Catari negavano la divina maternità di Maria, perché negavano la realtà di Cristo, Dio e uomo; dicevano che Cristo era un angelo mandato da Dio ad insegnare la via della perfezione...
Domenico perciò predicava soprattutto la vera umanità di Cristo, la sua vera nascita come vero uomo, la sua vera morte come uomo, la sua vera risurrezione come uomo. Questo comportava necessariamente anche la presentazione di Maria come vera madre di Cristo e perciò come madre dell'Uomo ‑ Dio.
Lo spirito mariano di Domenico poi si manifesta in tanti episodi della sua vita. Nei viaggi, che faceva a piedi, era solito cantare l'Ave Maris Stella e la Salve Regina. Quando il pontefice Onorio III dice a Domenico di curare la riforma dei monasteri femminili di Roma, Domenico mette il monastero di S. Sisto, nel quale raccoglie quelle monache, sotto la protezione di Maria (Sr. Cecilia, I miracoli di Domenico, n. 14).
Per testimoniare la propria devozione a Maria e il suo stretto legame alla vocazione del frate predicatore, Domenico inventava una nuova formula di professione religiosa, con la quale si promette espressamente obbedienza a Maria. Ciò che « non avviene negli altri Ordini », sottolinea Umberto de Romans (De Vita Regulari II, p. 71).
Questa professione di obbedienza a Maria è il riconoscimento pubblico e ufficiale del titolo di confondatrice che i primi frati attribuiscono a Maria. Il frate predicatore intende inaugurare ai suoi piedi una vita consacrata totalmente al servizio di Cristo e di sua Madre.
Questa professione di obbedienza a Maria indica chiaramente lo stretto vincolo che lega il frate predicatore a Maria, la sua fiducia in lei e la certezza della sua protezione. Con essa il figlio di Domenico mette tutta la sua vita nelle mani di Maria.
E' molto importante aver presente questo tipo di professione per comprendere il carisma della nostra vocazione e il profondo inserimento nel mistero di Maria. E' necessario per questo valorizzare di più questo legame, se vogliamo, come dobbiamo, essere fedeli all'ispirazione originaria di Domenico.
Il testo della professione è del 1216. L'anno seguente abbiamo un altro episodio molto significativo, che ci parla della grande fiducia di Domenico in Maria. Dopo la conferma dell'Ordine da parte del pontefice Onorio III, Domenico decide di inviare i suoi discepoli a predicare « nelle diverse parti del mondo ». L'idea desta meraviglia in tutti; quel progetto sembra troppo audace e non è condiviso neppure dai suoi amici, i vescovi di Tolosa e di Narbonne. Quei pochi frati sono appena sufficienti a evangelizzare la diocesi di Tolosa... Ma egli ha deciso; ha deciso dopo aver pregato e non cambia idea.
Per questa "dispersione" dei primi frati; per questo avvenimento così straordinario, che possiamo chiamare « la pentecoste domenicana »; per questo fatto così decisivo per il futuro dell'Ordine, Domenico sceglie un giorno dedicato a una festa di Maria: il giorno dell'Assunzione, 15 agosto 1217. Come nella prima Pentecoste a Gerusalemme; così in questa pentecoste domenicana Maria ha un ruolo molto importante.
La prima generazione dei frati predicatori subì gioiosamente l'influsso del fervore mariano di Domenico. L e Vitae Fratrum ‑ come ho detto sono ricche di episodi che manifestano la familiarità dei rapporti esistenti tra questi frati e la beata Vergine.
Anche il De Vita Regulari di Umberto De Romans è una viva testimonianza della devozione semplice e insieme profonda per la Vergine santissima, che anima i primi frati predicatori.
Come Domenico, Giordano di Sassonia, suo successore nel governo dell'Ordine, « era molto devoto alla beata Vergine, perché sapeva ‑ scrive fra Gerardo ‑ che Maria era sollecita nel promuovere l'Ordine e nel difenderlo ». A Giordano, Maria aveva confidato: « Amo di uno speciale amore il tuo Ordine; e fra le altre cose questa a me èmolto gradita che ogni cosa che fate e dite incominciate dalla mia lode e con essa finite... » (Vite Fratrum, p. 119).
I primi frati predicatori vedevano in Maria una speciale protettrice, perché sentivano di averla come Madre, come confondatrice dell'Ordine e spesso anche come ispiratrice della propria vocazione. Come « confondatrice dell'Ordine », Maria ha una cura speciale dei frati predicatori. Ama l'Ordine, lo protegge e lo fa progredire. L'Ordine di Domenico per Maria è « il mio Ordine »; i frati predicatori sono « i miei frati » (Vitae Fratrum, pp. 41‑42, 119, 190...).
E quei frati "sentono" che Maria « ha cura di loro » (Vitae Fratrum, pp. 25‑27); la sentono presente, la "vedono" partecipare alla loro stessa vita. Maria è con loro in chiesa, in cella, nei corridoi, nel refettorio... (Vitae Fratrum, pp. 50‑51, 57‑58, 120‑21, 214).
Maria è sempre pronta ad aiutare i suoi frati: conforta i pusillanimi, consola gli afflitti, viene loro in aiuto nelle malattie, interviene in ogni momento e per ogni genere di difficoltà, che possono incontrare i singoli frati o una intera comunità (cfr. D'Amato, La Devozione pp. 25‑28).
2. MARIA ‑ MAESTRA DI CONTEMPLAZIONE
La devozione a Maria nell'Ordine domenicano non è semplicemente « un fatto » o un insieme di episodi che la esprimono e la testimoniano; è una realtà radicata nella natura stessa dell'Ordine; è elemento essenziale della stessa spiritualità domenicana. Maria infatti occupa un posto centrale nella vita contemplativa e apostolica del frate predicatore.
Ogni Ordine religioso, come ha un proprio modo di realizzare la perfezione della carità, . così ha pure un proprio modo di onorare Maria. L'Ordine domenicano, che realizza la perfezione della carità mediante il dono della verità « caritas veritatis », onora la Vergine Maria particolarmente come Sede della Sapienza e Regina degli Apostoli.
Madre della sapienza incarnata, Maria ha raggiunto la vetta della contemplazione del Verbo. E' infatti oggetto di particolare amore dello Spirito Santo, i cui doni fanno la creatura capace di penetrare i profondi misteri di Dio.
Prima che nel suo seno, Maria concepisce il Verbo nella sua mente. Mentre, nel raccoglimento della casa di Nazareth, in lei si va formando il corpo del Figlio di Dio, è in tale comunione col Verbo eterno da essere realmente trono della Sapienza divina. Nel dare il corpo al Figlio, è il Figlio che la trasforma in sé, così che diventa la più perfetta « immagine di Cristo ».
« Maria è la vergine in ascolto », che raccoglie la parola di Dio con fede (Paolo VI, Marialis cultus n. 17), e la conserva, meditandola, nel suo cuore. Nell'annuncio dell'angelo, Maria ascolta con attenzione la sua parola e, pur non afferrandone pienamente il significato, adora Dio nel mistero e si dice disponibile al volere divino: « ecco l'ancella del Signore ».
Nell'incontro con Elisabetta ascolta il suo saluto e magnifica il Signore. Nella natività, mentre i pastori glorificano Dio, Maria preferisce tacere dinanzi al grande mistero; ascolta i pastori, i magi, le motivazioni che li avevano condotti ai piedi del Bambino e si concentra nella contemplazione: « conserva e medita nel proprio cuore tutto ciò che si riferisce a Gesù » (Luca 2, 19).
Nella presentazione al tempio ancora, Maria ascolta le parole profetiche di Simeone ed è presa da grande stupore: « il padre e la madre si stupivano delle cose che dicevano di lui » (Luca 2, 33).
Nell'adolescenza, mentre Cristo le vive così vicino da essere sottomesso a lei, Maria, avvolta nel grande mistero della personalità di quel fanciullo, contempla, nel silenzio adorante, la misteriosa volontà del Padre. E, quando lo ritrova nel tempio coi dottori, Maria ascolta le parole di Gesù, non le comprende completamente, ma compie un atto di fede e contempla: « Non compresero quello che egli aveva detto loro... E sua madre conservava tutte queste cose in cuor suo » (Luca 2, 50‑51).
Così, mentre Gesù « cresce in sapienza, in età e in grazia, davanti a Dio e agli uomini » (Luca 2, 52), anche Maria progredisce nel dono della sapienza e nella capacità di penetrare i misteri di Dio.
Durante la vita pubblica del Figlio, Maria appare poche volte; preferisce rimanere nel silenzio e meditare. La troviamo però ai piedi della croce a contemplare il mistero della salvezza e la impenetrabile volontà del Padre. Nel Cenacolo poi, dove la Chiesa nascente si prepara, alla scuola di lei, a passare dalla contemplazione all'azione apostolica, Maria, maestra di contemplazione, diventa anche madre e maestra degli Apostoli.
Nel raccoglimento e nel silenzio, Maria aveva compreso il significato della missione di Gesù molto meglio di quanto non l'avessero compreso gli Apostoli, che, pur essendo stati con Cristo per tre anni, al momento dell'ascensione aspettavano ancora che il Maestro ricostituisse il regno di Israele (Atti 1, 6).
Maria dunque, madre della sapienza divina e spirito contemplativo per eccellenza, è maestra di contemplazione e mediatrice di sapienza per tutti coloro che hanno bisogno del dono della sapienza e della grazia della contemplazione per realizzare la propria vocazione.
Il frate predicatore, consacrato all'annuncio della Verità e a servizio dell'Eterna Sapienza, vede in Maria « colei che illumina » (Vitae Fratrum, p. 20) e da lei impara quale deve essere la propria condizione spirituale, perché la parola divina studiata, amata e contemplata diventi vita, messaggio e azione e quindi dono di fede e di vita ai fratelli.
Da Maria il domenicano impara a sentire il bisogno di essere in comunione con Dio e perciò il culto del silenzio e della pace interiore; da Maria, sede della Sapienza, impara soprattutto il sapienziale equilibrio che deve regolare tutta la sua vita; equilibrio tra vita di preghiera e azione apostolica, affinché la sua vita sia realmente « una vita apostolica nel suo significato integrale, nella quale la predicazione e l'insegnamento procedano dall'abbondanza della contemplazione » (Liber Const. Ord. O.P. n. 1).
3. MARIA ‑ MAESTRA DI AZIONE
Maestra di contemplazione, Maria è anche madre e regina degli apostoli.
Per ogni domenicano Maria è esempio di vita contemplativo‑apostolica: vita contemplativa, che nutre di Cristo l'anima e il cuore, li riempie della sua verità, della sua misericordia, della sua grazia per poter riversare sui fratelli la verità che salva.
La promessa di obbedienza a Maria nella professione religiosa è soprattutto promessa di imitazione di Maria, maestra di contemplazione e di vita apostolica, ideale di povertà, di castità e di ubbidienza; imitazione dell'ancilla Domini, sempre attenta all'ascolto della parola di Dio per aderirvi con tutto il cuore.
Il magnificat, dopo il fiat, è la prima "predicazione" di Maria. Con quest'inno di lode al Signore, la beata Vergine manifesta l'intima esperienza della rivelazione ricevuta da Dio, la sua scoperta di Dio; la scoperta della santità e della misericordia divina: misericordia che innalza gli umili e ricolma di beni gli affamati.
L'Ordine che è consacrato totalmente all'annuncio della verità divina, non può non nutrire una particolare devozione a Colei che è Madre del Verbo incarnato. La missione del frate predicatore continua la stessa missione di Maria: come Maria rivestì di carne il Verbo divino, affinché fosse conosciuto e manifestato agli uomini, così il frate predicatore riveste con la sua parola la verità divina perché gli uomini la conoscano. « Fra l'incarnazione del Verbo divino e la predicazione ‑ diceva Pio XII, scrivendo ai domenicani ‑ esiste uno stretto rapporto, una meravigliosa somiglianza. Come la beata Vergine, l'apostolo mostra e dona Cristo agli uomini: è portatore di Cristo. La Vergine Maria, Madre di Dio, vestì Cristo con la veste delle membra, il predicatore lo riveste col corpo delle parole. Sia là che qua è sempre la Verità: la Verità che istruisce gli uomini, che li illumina e li salva. Il modo è diverso, la virtù la medesima.
Questo onore materno, questa lode, questa dignità appartiene a voi in modo singolare. Conservate il vostro nome, conservate la vostra missione, Nessuno trascuri per pigrizia o timore il dovere della predicazione » (Pio XII, in Acta cap. gen. O. P., 1946, p. 30).
Per questo stretto rapporto esistente tra la divina maternità di Maria e la predicazione, fin dall'inizio dell'Ordine i domenicani celebrano con particolare solennità la festa dell'Annunciazione e quella della Natività del Signore, che appunto ricordano l'Incarnazione del Verbo.
4. LA DEVOZIONE A MARIA NELL'ORDINE
Si è molto discusso sull'origine del rosario e in particolare se risale a S. Domenico.
Il rosario, nella sua forma attuale, non è stato istituito da S. Domenico. Esso è la convergenza di antiche pratiche penitenziali e devozionali: i salteri di Pater e di Ave Maria e della devozione a Maria.
Nella lotta contro l'eresia Domenico predicava i misteri della fede: i misteri dell'Incarnazione, della passione e della risurrezione. I Catari negavano questi misteri. Domenico inoltre utilizzò le preghiere più semplici e più conosciute: il Pater e l'Ave Maria per far pregare i fedeli del suo tempo.
Proprio nel '200 l'Ave Maria diventa una delle preghiere più amate dal popolo cristiano. Eccezionale è il fervore dei primi frati predicatori per la recita dell'Ave Maria.
Una devozione che in qualche modo fa pensare al rosario è quella che il b. Umberto suggerisce ai novizi. Dopo la recita del Mattutino della beata Vergine ‑ egli dice ‑ i novizi meditino con ardore i misteri dell'Incarnazione, della natività, della passione, ecc. e poi dicano un Pater e una Ave Maria (De Vita Regulari, II, p. 543).
Ancor più si avvicina al rosario il sistema di pregare di fra Romeo di Livia. Di lui le antiche cronache dicono che «era molto devoto di Maria. Nelle sue prediche parlava sempre della b. Vergine...; non si saziava mai di ripetere il saluto angelico. Egli ‑ si dice ancora ‑ meditava a lungo i misteri di Gesù e di Maria ». Fra Romeo morì «stringendo nelle sue mani la cordicella coi nodi, con la quale era solito contare le mille Ave Maria che recitava ogni giorno; morì mentre inculcava nei frati questa devozione alla b. Vergine e al Bambino Gesù » (Salanac ‑ Gui, De Quattuor, pp. 161‑162).
Fra Romeo morì nel 1261 e visse per più di quarant'anni nell'Ordine. E' quindi uno dei primi frati predicatori; forse conobbe san Domenico. Che abbia appreso da lui questo modo di pregare? Il modo di pregare di fra Romeo: meditare sui divini misteri e recitare tante Ave Maria si può considerare un rosario in embrione; contiene infatti la sostanza del rosario come preghiera mentale e orale.
All'inizio la cordicella con la quale si contavano le preghiere, veniva chiamata « paternoster », anche quando serviva per contare le Ave Maria. L'uso di una cordicella con nodi, chiamata « paternoster» era comune fra i domenicani già nel '200. Il capitolo della provincia romana del 1261 vieta ai fratelli cooperatori di portare i «paternoster » in ambra o in corallo. Fin da allora dunque i domenicani portavano la corona o contapreghiere.
Anche sant'Agnese di Montepulciano aveva il suo contapreghiere; era formato da « chicchi tenuti insieme da un filo ». Santa Caterina da Siena pure si serviva di un contapreghiere: una cordicella con nodi.
L'uso di recitare il salterio mariano: cioè 150 Ave Maria divise in tre « rosari », era noto ai domenicani già nella prima metà del '200. Ne parlano, per esempio, fra Bartolomeo da Trento (+1251); Giovanni di Mailly (t 1260) e Tommaso di Cantimpré (+ 1260).
La beata Margherita di Ypres (t 1237), figlia spirituale del domenicano Sigiero di Lilla, recitava ogni giorno 50 Ave Maria, divise in cinque decine. Nel beghinaggio di Gand, che era sotto la guida spirituale dei domenicani, la Regola prescriveva la recita quotidiana di « tre rosari, detti comunemente salterio di Maria »; a ogni Ave Maria veniva annunciato un mistero della vita di Gesù e di Maria. (Cfr. D'Amato, La devozione, pp. 60‑62).
In conclusione esisteva ai tempi di san Domenico e anche prima la cordicella contapreghiere; inoltre l'uso del «rosario » di 50 Ave Maria e del salterio mariano di 150 Ave Maria era conosciuto nell'Ordine già nel '200; perciò quando Alano de la Roche dice di voler restaurare la devozione del salterio mariano, che ai suoi tempi era stata quasi dimenticata, evidentemente aveva presente la storia passata dell'Ordine.
Alano de la Roche è il grande divulgatore del rosario. Egli è anche il primo ad affermare che san Domenico aveva ricevuto dalle mani della beata Vergine il salterio di Maria, perché ne divulgasse la devozione. Per questa sua affermazione, qualche « storico » lo accusa di falsità. Ma Alano non è un « falsario ». E' vero: san Domenico non ha istituito il rosario, come Alano lo proponeva ai fedeli; ma egli non « inventa documenti » per dare valore alla sua affermazione. Alano dice di aver appreso, quello che afferma, « in visione » dalla beata Vergine. Ma il termine « visione » qui va inteso in senso largo; nel senso cioè di ispirazione. Era questo un modo comune di dire in quei tempi, per dare maggior peso alle proprie parole. Quelle cosiddette visioni non sono rivelazioni soprannaturali, sono semplicemente il frutto delle sue meditazioni. Alano è talmente entusiasta di questa devozione che per lui non può non avere una origine divina. Inoltre egli vede questa devozione così in sintonia con lo spirito dell'Ordine domenicano che la beata Vergine non poteva rivelarla che a Domenico. Alano è « soggettivamente » convinto di tutto questo. Ora il passaggio da una forte convinzione a una « visione », che non è propriamente visione ma ispirazione‑intuizione, è molto facile.
La devozione al rosario, pur non risalendo nella forma proposta da Alano de la Roche a san Domenico, nasce tuttavia e si sviluppa particolarmente nell'Ordine domenicano, come se fosse una devozione legata alle sue origini proprio per il legame esistente tra la vocazione domenicana e la devozione a Maria.
Per la perfetta sintonia esistente tra la devozione al rosario e lo spirito domenicano, questa devozione è presto considerata un bene di famiglia nell'Ordine; e i frati predicatori sono assidui promotori della sua diffusione.
Il priore del convento di Colonia p. Giacomo Sprenger, il più attivo promotore della devozione al rosario dopo Alano, e fondatore della prima confraternita del rosario, ottiene nel 1479 dal pontefice Sisto IV la prima Bolla di indulgenze per chi recita il rosario: la Bolla Ea quae ex fidelium (8 maggio 1479).
Molto presto, dopo il lancio di Alano, i Maestri generali dell'Ordine domenicano si fanno attivi promotori del rosario. Il Maestro Leonardo de Mansuetis già nel 1479 autorizza ufficialmente il p. Corrado Wetzel a propagandare « il salterio o rosario della b. Vergine Maria e la sua fraternita e a iscrivere i fedeli alla medesima fraternita e a delegare altri a tale scopo ». Dai registri dei Maestri generali dell'Ordine risulta che, specialmente dal 1487 al 1509, molti domenicani tedeschi e italiani sono delegati a predicare il rosario e a erigere fraternite.
Il Maestro Bartolomeo Comazi ottiene da Innocenzo VIII l'indulgenza plenaria « semel in vita et in morte » per tutti gli iscritti alle fraternite del rosario. Questa Bolla, del 15 ottobre 1484, viene riportata negli Atti del capitolo generale (1484). E' la prima volta che un capitolo generale menziona « il salterio della beata Vergine » e la « società o confraternita del rosario ».
Su istanza del Maestro Gioacchino Turriani, Alessandro VI conferma (13 giugno 149.) i privilegi e le indulgenze già concessi agli iscritti alle fraternite del rosario e ne concede altri.
Dopo la Bolla di Sisto IV i sommi Pontefici riconoscono espressamente lo stretto legame esistente tra il movimento rosariano e l'Ordine di san Domenico. Al Maestro generale dei frati predicatori essi affidano la direzione del movimento. Per questo concedono esclusivamente a lui e ai suoi delegati la facoltà di erigere nuove fraternite del rosario; tanto che le fraternite, eventualmente fondate senza l'autorizzazione del Maestro generale dei domenicani, non sono riconosciute dalla S. Sede.
Ai frati predicatori i sommi Pontefici concedono anche la facoltà « di predicare ovunque il salterio della beata Vergine o rosario », senza cioè le limitazioni territoriali allora imposte dalle leggi canoniche.
Le confraternite del rosario inoltre devono essere fondate nelle chiese dei domenicani. Solo nelle città nelle quali non esiste un convento domenicano possono essere erette in una chiesa non domenicana. In questo caso però, nel decreto di erezione si dice espressamente che qualora i domenicani in seguito dovessero fondare un convento in questa città, la confraternita sarebbe passata nella loro chiesa (cfr. D'Amato, La devozione a Maria, o.c. p. 7173).
Espressione dell'intimo rapporto esistente tra il movimento rosariano e l'Ordine domenicano è pure il fatto che i maestri generali concedono a tutti gli iscritti alle fraternite del rosario la partecipazione ai benefici spirituali dell'Ordine. (Cfr. Bullarium O.P., IV, p. 392; Acta S. Sedis... pro Societate SS. Rosarii II, pp. 1027‑28).
Il 29 giugno 1569, il Papa domenicano Pio V conferma al maestro dell'Ordine l'autorizzazione a erigere, in modo esclusivo, di persona o per delega, le confraternite del rosario. Pubblica poi la bolla «Consueverunt Romani Pontifices » (17 sett. 1569), che si può considerare la « magna charta » del rosario. Il Pontefice vi descrive l'origine del rosario, il nome, gli elementi essenziali, gli effetti, la finalità e il modo di propagarlo.
La bolla contiene la definizione classica di questa preghiera: « Il rosario o salterio della beatissima Vergine Maria ‑scrive il santo Pontefice è un modo piissimo di orazione e di preghiera a Dio; modo facile e alla portata di tutti, che consiste nel lodare la stessa beatissima Vergine, ripetendo il saluto dell'angelo per centocinquanta volte, quanti sono i salmi del salterio di Davide, interponendo a ogni decina la preghiera del Signore, con determinate meditazioni illustranti l'intera vita del Signore nostro Gesù Cristo » (Bullarium D. P., V, p. 223).
In questo documento il Pontefice dichiara, per la prima volta, che per lucrare le indulgenze del rosario è indipensabile la meditazione dei misteri. Questa dichiarazione ufficiale contribuisce a diffondere l'uso già esistente di inserire brevi meditazioni sui misteri durante la recita del rosario.
5. ROSARIO ‑ SCUOLA DI VITA DOMENICANA
La storia della devozione al rosario, la sua origine, la sua diffusione, lo sviluppo della forma della preghiera, sono intimamente legati all'Ordine domenicano. Questa devozione nasce nell'Ordine di san Domenico ed è sempre stata promossa con grande zelo dai suoi figli, perché è particolarmente congeniale alla vocazione domenicana.
Il rosario si può considerare ormai elemento essenziale della vita e della missione del frate predicatore. Per il domenicano che lo pratica con la mente e col cuore è una delle migliori sorgenti di vita spirituale e uno dei mezzi più efficaci di
santificazione e di evangelizzazione. E' infatti scuola di contemplazione e di vita apostolica.
Il rosario ‑ dicono i suoi detrattori ‑ è una preghiera eccessivamente ripetitiva e perciò non spontanea e noiosa. Ma, se esiste una preghiera noiosa, questa non è certamente il rosario. Il rosario di Maria non è una recita meccanica di Ave Maria; non è cioè una recita, dove la riflessione è assente e la meditazione è ignorata, dove l'anima non comunica con Dio e con la beata Vergine. Il rosario è principalmente contemplazione dei misteri della vita di Gesù e di Maria, accompagnata dalla recita delle preghiere più belle del cristianesimo: il Pater, l'Ave Maria e il Gloria Patri.
Il rosario come preghiera mentale e vocale, come contemplazione e orazione è preghiera perfetta. La preghiera senza meditazione può divenire meccanica e può anche divenire noiosa; se invece è accompagnata dalla meditazione ottiene la grazia della contemplazione.
« Camminiamo sui due piedi della contemplazione e della preghiera ‑ scrive san Bernardo ‑. La meditazione insegna ciò che ci manca, la preghiera ci ottiene che non ci manchi. La prima ci indica la strada, l'altra ci guida. Con la meditazione conosciamo i pericoli che incombono su di noi; per mezzo della preghiera li evitiamo con l'aiuto del Signore » (Ed. Migne P.L. 183; col. 509).
« La contemplazione ‑ scrive Paolo VI ‑ è elemento essenziale del rosario. Senza di essa il rosario è corpo senza anima e la sua recita rischia di divenire meccanica ripetizione di formule e di contraddire all'ammonimento di Gesù: 'Quando pregate non siate ciarlieri come i pagani, che credono di essere esauditi in ragione della loro loquacità' (Matteo 6, 7).
Per sua natura la recita del rosario esige un ritmo tranquillo e quasi un indugio pensoso, che favoriscano nell'orante la meditazione dei misteri della vita del Signore, visti attraverso il cuore di Colei che al Signore fu più vicina e ne dischiuda no le insondabili ricchezze » (Paolo VI, Marialis Cultus, n. 47).
Certamente anche il rosario, come qualsiasi altra forma di preghiera, è esposta al pericolo dell'abitudine e della ripetizione meccanica. Ma il rosario per sé lo è meno di ogni altra preghiera, perché sollecita continuamente l'attenzione e l'interesse dell'animo, offrendo a ogni mistero nuova materia di riflessione. Il rosario, inteso rettamente, è la preghiera più contemplativa di tutte.
La meditazione dei misteri è la vera anima del rosario. E' necessario passare da questa meditazione molto facile, prima di elevarsi alla vera contemplazione. Per questo il rosario è scuola di contemplazione; innalza a poco a poco al di sopra della preghiera vocale e della meditazione ragionata. Dalla meditazione dei misteri si acquista quell'unione intima con Dio, che porta alla contemplazione. « Per i quindici gradini di questa scuola ‑ scrive S. Luigi Grignion da Montfort ti riuscirà di salire di virtù in virtù, di chiarezza in chiarezza e giungerai facilmente, senza illusioni, fino alla pienezza dell'età di Cristo » (Segreto ammirabile del S. Rosario, Roma 1960, p. 78).
Il rosario così ripassa continuamente i misteri della fede in un clima di preghiera; è perciò una chiara professione di fede divenuta preghiera.
Oltre i misteri anche le preghiere proprie del rosario si prestano moltissimo alla contemplazione. Se ogni preghiera è via alla contemplazione, a maggior ragione lo sono il Pater, la preghiera fiorita dal cuore di Gesù; l'Ave Maria, la preghiera che rievoca i misteri della natività del Salvatore e il Gloria Patri, che ci immerge nel mistero della Trinità.
In quanto scuola di contemplazione il rosario è pure la migliore preparazione all'attività apostolica.
Questa infatti deve sgorgare dalla pienezza della contemplazione. La preparazione teologica e culturale non è sufficiente a formare un buon frate predicatore. La formazione teologica deve essere completata dalla contemplazione affettiva, che sostiene e vivifica la preparazione intellettuale e dà calore di vita alla parola dell'apostolo.
Per questo il rosario, quando è realmente scuola di contemplazione, è anche la migliore preparazione all'attività apostolica e dà efficacia alla parola dell'apostolo.
Nessuna preghiera è più adatta, proprio per il suo carattere di preghiera orale e di meditazione dei misteri della vita di Gesù e di Maria, a introdurre l'apostolo nell'ordine della carità, che lo rende idoneo a parlare in nome di Dio.
Offrendo alla meditazione le principali verità della fede e gli avvenimenti più salienti della vita del Redentore e della Vergine Maria, rivolgendo continuamente il pensiero alla Vergine santa e a Cristo, « il frutto benedetto » del suo seno; rievocando i misteri dell'incarnazione del Verbo eterno, della nascita, della vita, della passione, della risurrezione e della glorificazione di Maria, il rosario offre alla meditazione un ricco nutrimento spirituale e permette di rivivere i misteri della salvezza; diventa così un continuo alimento di fede e perciò la migliore preparazione all'attività apostolica.
L'apostolo che recita il rosario e vive nell'assidua meditazione della carità di Cristo e di Maria non può non sentire il dovere di regolare con la carità tutta la propria vita. E la crescita della carità è sempre la migliore preparazione all'attività apostolica.
I misteri del rosario, dall'annunciazione alla glorificazione di Maria e dei santi, indicano l'ascesa progressiva dell'apostolo nel suo incarnare la parola di Dio per viverla nella carità (misteri gaudiosi); nel suo purificarsi in unione alle sofferenze di Cristo e in comunione con Maria (misteri dolorosi) e nella speranza del premio per la sua fedeltà e la sua cooperazione al mistero della salvezza (misteri gloriosi).
6. IL «VANGELO SECONDO MARIA »,
TEMA PRIVILEGIATO DELLA NOSTRA PREDICAZIONE
Dopo essere stati oggetto di contemplazione e dopo aver preparato all'attività apostolica, i misteri del rosario sono pure tema privilegiato della predicazione domenicana; contengono infatti tutto il dogma cristiano e insieme sono scuola di vita cristiana.
Il rosario offre una ricchissima materia per una catechesi accessibile a tutti, un insegnamento completo dei principali misteri della fede e della salvezza. Ha infatti un ricco contenuto teologico. In esso non si ricorda un determinato beneficio della beata Vergine a un luogo particolare; né solo un episodio della sua vita, come avviene in altre devozioni mariane; il rosario ricorda tutto il mistero di Gesù e di Maria.
Il rosario è una lettura del vangelo in chiave mariana. Possiamo dire che è il quinto vangelo: il vangelo secondo Maria. Il rosario infatti mette l'anima nelle medesime disposizioni di Maria per contemplare la vita di Cristo. Non agì diversamente la beata Vergine quando era sulla terra: meditò sulle virtù e le sofferenze di Cristo. Nel rosario vediamo nascere Cristo, lo vediamo crescere accanto a Maria, lo vediamo amare,operare, soffrire, morire come lo vide sua Madre.
Il rosario perciò è un modo di penetrare nell'intimità della vita di Maria per meglio apprendere da lei il mistero di Cristo. Nel rosario meditiamo il vangelo con lo spirito di Maria e in comunione con Maria, che al mistero salvifico cooperò in modo del tutto speciale. Maria ‑ ha detto Paolo VI è il « miglior posto di osservazione per contemplare il mistero di Cristo »; nel rosario questa contemplazione « mariana » si fa progressivamente immedesimazione con lei nel pensare, amare, vivere il mistero « come lei lo ha vissuto » (Allocuzione dell'8 ottobre 1969).
L'esperienza di Cristo, Maria l'ebbe nel momento dell'Annunciazione; e da quel momento, nella sua vita, dovette continuamente confrontare, in un'intima riflessione di fede (Luca 2, 19 e 51), questa sua personalissima esperienza coi fatti successivi della vita di Cristo. Il rosario ‑ dice ancora Paolo VI ‑ « mette al passo con Maria, obbliga a subirne il fascino, il suo stile evangelico, il suo esempio educativo e trasformatore; è una scuola che ci fa cristiani » (Paolo VI Allocuzione, 8 ottobre 1969).
I misteri del rosario ancora riflettono lo schema del primitivo annuncio della fede; il rosario ripropone il mistero di Cristo nello stesso modo in cui è visto da san Paolo nel celebre « inno » della Lettera ai Filippesi; e cioè umiliazione, morte ed esaltazione di Cristo. Il Verbo eterno ‑ scrive san Paolo ‑ « pur essendo Dio, annientò se stesso e, presa forma di servo, si fa simile agli uomini (mistero dell'Incarnazione, misteri gaudiosi); « umiliò se stesso facendosi obbediente sino alla morte e alla morte di croce » (misteri dolorosi). « Per questo Dio lo esaltò e gli donò un nome che è sopra ogni altro nome, affinché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi in cielo in terra e negli inferi e ogni lingua confessi che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre » (misteri gloriosi) (Fil. 2, 6‑11).
Nella meditazione dei .misteri del rosario, tutto il « Credo » passa sotto gli occhi del credente in modo concreto, mediante la vita di Cristo, che discende verso gli uomini e sale al Padre per condurre gli uomini a Lui. E' tutto il dogma cristiano che viene meditato nella sua elevatezza, affinché si possa penetrare sempre più il mistero e possa essere nutrimento spirituale.
La meditazione dei misteri della vita di Gesù e di Maria è dunque crescita di fede; ma è anche crescita delle virtù che gli stessi misteri offrono alla nostra riflessione: l'umiltà di Maria, per esempio, la sua illimitata fiducia in Dio, la sua carità e soprattutto l'amore di Cristo per il Padre e gli uomini e la totale adesione sua e della beata Vergine alla volontà del Padre.
Il rosario dunque è vera scuola di vita cristiana. Nella meditazione dei misteri tutta la vita morale e spirituale viene confrontata coi grandi modelli: Gesù e Maria. Così i grandi misteri della loro vita diventano i misteri della nostra vita. Ogni mistero richiama una virtù: l'umiltà, la carità, la pazienza, la fiducia in Dio, ecc.
Leone XIII in una sua enciclica presenta il rosario come rimedio a tre mali fondamentali che affliggeva la società del suo tempo, ma che sono anche mali di tutti i tempi. Primo: l'avversione alla vita umile e laboriosa, che il rosario guarisce con le lezioni dei misteri gaudiosi; secondo:. l'orrore della sofferenza e del sacrificio, che il rosario guarisce mediante la contemplazione affettiva dei misteri dolorosi; terzo: l'indifferenza verso i beni futuri, che il rosario guarisce con la meditazione dei misteri gloriosi (Leone XIII, Enc. Laetitiae sanctae, 8 settembre 1893).
« Il rosario ‑ scrive il p. Garrigou ‑ Lagrange ‑ è molto pratico: viene a prenderci in mezzo alle nostre gioie troppo umane, spesso pericolose, per farci pensare a quelle molto superiori della venuta del Salvatore. Viene a prenderci anche in mezzo alle nostre sofferenze, spesso irragionevoli, talvolta accascianti, quasi sempre mal sopportate, per ricordarci che Gesù ha sofferto molto più di noi e per amor nostro e per insegnarci a seguirlo portando la croce che la Provvidenza ha scelto per purificarci. Il rosario viene finalmente a prenderci in mezzo alle nostre speranze troppo terrene per farci pensare al vero oggetto della speranza cristiana, alla vita eterna e alle grazie necessarie per giungervi, col compimento dei grandi precetti dell'amore di Dio e del prossimo » (In La Madre del Salvatore e la nostra vita interiore, Firenze 1965, pp. 347‑48).
In conclusione: il rosario guida i fedeli ad approfondire e a celebrare il mistero pasquale del Verbo che si fa uomo, che vive, muore, risorge e ritorna al Padre per la salvezza degli uomini. Così, dopo aver alimentato la fede e la carità del predicatore, il rosario diventa alimento di fede e di carità per coloro ai quali vengono illustrati i misteri della salvezza.
La riflessione sui misteri della vita, della passione e della morte di Cristo non può non spingere il fedele alla riconoscenza e quindi a rispondere con una più generosa carità all'infinito amore di Cristo e della sua Vergine Madre. Compendio del vangelo, il rosario ha del vangelo la semplicità e la profondità. Per questa sua semplicità e profondità è sicuro alimento di fede ai dotti e agli indotti; è efficace strumento per guidare gli uomini a Cristo per mezzo di Maria e insegnare la verità della fede e la via della perfezione cristiana mediante la pietà.
7. IL ROSARIO, PREGHIERA DELLA FAMIGLIA DOMENICANA
Le Costituzioni domenicane sottolineano espressamente il carattere contemplativo e apostolico del rosario. « Ai frati ‑ vi si legge ‑ deve stare a cuore la devozione, tradizionale nel nostro Ordine, alla Vergine Madre di Dio, Regina degli apostoli ed esempio di meditazione della parola di Cristo e di docilità alla propria vocazione. Dobbiamo recitare ogni giorno la terza parte del rosario. Questa forma di orazione conduce alla contemplazione del mistero della salvezza, nel quale la Vergine Maria è intimamente unita all'opera del Figlio ». « Poiché il rosario mariano è una via che conduce alla contemplazione dei misteri di Cristo e una scuola di formazione alla vita evangelica, sia ritenuto come una forma di predicazione rispondente allo spirito dell'Ordine; in esso viene esposta la dottrina della fede sotto l'aspetto della partecipazione della beata Vergine al mistero di Cristo e della Chiesa »(Liber Const. Ord. O.P., nn. 67, II; 129).
Per questo tradizionale legame dell'Ordine a Maria e al suo rosario, ai frati predicatori, al momento di ricevere l'abito religioso, al proprio nome viene aggiunto il nome « Maria » e viene consegnata la corona del rosario, che èparte integrante dell'abito domenicano.
La devozione alla Vergine del rosario è talmente congeniale all'ideale della vita domenicana da essere sembrata ad alcuni quasi "congenita" ad essa. Forse anche per questo ad Alano de la Roche sembrò molto naturale che l'istitutore del rosario fosse stato san Domenico. A lui il rosario parlava talmente dell'Ordine domenicano che, se uno l'aveva istituito, questi doveva essere san Domenico. Egli poi era talmente convinto di questo da immaginare di averlo appreso « in visione » dalla stessa beata Vergine.
I sommi Pontefici hanno sempre riconosciuto alla Famiglia di san Domenico il merito dell'istituzione e della diffusione del rosario e per questo gli hanno concesso particolari privilegi. L'intimo rapporto esistente tra il rosario e la vita e la missione del domenicano è stato sottolineato anche nel nostro tempo dai sommi Pontefici. «Il rosario di Maria ‑ disse Pio XI ‑ resta il principio e il fondamento sul quale si basa l'Ordine di san Domenico a perfezione della vita spirituale dei suoi membri e á salvezza delle anime » (in Gillet, La devozione... del Rosario, p. 18).
In una lettera indirizzata al maestro generale Michele Browne, Pio XII, dopo essersi congratulato per i progressi recenti del movimento rosariano, esorta i frati predicatori ad esserne promotori « sedulo, diligenter, studiose »nelle chiese, nelle famiglie, in privato:
E Paolo VI, scrivendo al maestro generale Aniceto Fernandez, diceva: Il rosario « è formula di preghiera propria della vostra famiglia e che mai dovete abbandonare » (30 giugno 1965). « Per la loro ardente devozione ‑ diceva ancora Paolo VI ‑ i religiosi e le religiose domenicani, lungo i secoli, sono divenuti figli e figlie della beata Vergine del rosario » (Paolo VI, Lettera al p. A. Fernandez, 24 maggio 1970).
Nella « Marialis cultus », poi, Paolo VI scriveva: « I figli di san Domenico sono "per tradizione custodi e propagatori di così salutare devozione" » (Paolo VI, Marialis cultus, n. 43).
« Tradizionalmente voi avete un culto singolare per la beata Vergine Maria ‑ ha detto Giovanni Paolo II ai padri capitolari dell'Ordine (5 settembre 1983) ‑. Ebbene per avere la forza di affrontare ogni giorno il combattimento spirituale e per arricchire di vigore soprannaturale i vostri studi e le vostre attività pastorali, abbiate una grande stima, oltre la quotidiana celebrazione del Sacrificio Eucaristico e la recita devota del divino Ufficio, che sono le cose principali, anche per il rosario mariano, cioè per questa formula di orazione a voi familiare, da non abbandonare mai ».
A parte la leggenda che farebbe risalire a san Domenico, ispirato direttamente da Maria, la sua istituzione, il rosario è certamente segno di una benedizione celeste e di una particolare sollecitudine di Maria in favore dell'Ordine domenicano.
La Famiglia di san Domenico, e perciò ogni domenicano, ciascuno di noi, oggetto di particolare attenzione della beata Vergine per il dono del rosario, ha il dovere di fare grande tesoro di questo dono. Ogni dono è segno di predilezione, ma impone anche particolari responsabilità. Non a caso, certamente, Maria ha fatto questo dono alla nostra Famiglia: il rosario infatti per ogni domenicano è prezioso mezzo di santificazione personale e provvidenziale strumento di evangelizzazione. Anche per questo Leone XIII ricorda che il figlio di san Domenico ha « la missione speciale di far partecipi gli altri di questo bene ».
Ordine dei Predicatori
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