Domenicani del Sud

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Inizi e sviluppi della presenza Domenicana nel mezzogiorno

I primi anni dell’Ordine domenicano, come del resto dell’Ordine francescano, furono di un ritmo particolarmente incalzante non solo nella quantità delle vocazioni e dei conventi, ma anche della varietà degli impegni nel mondo e nella società. Una varietà di coinvolgimenti che solo la carismaticità di maestri che avevano conosciuto il fondatore, o che erano stati a diretto contatto di compagni del fondatore, poté gestire e valorizzare al meglio.

Di questo momento magico dei primi anni poté godere anche l’Italia meridionale con la Sicilia. L’agiografia domenicana ci ha infatti trasmesso i nomi di non pochi protagonisti meridionali della grande impresa domenicana, il che attesta tra l’altro che le distanze erano un ostacolo meno grave di quanto non si sia propensi ad immaginare. Questa riflessione, dopo un accenno al contesto storico, non può dunque che  partire proprio da questi uomini che conobbero S. Domenico e poterono fare proprio il suo entusiasmo missionario ed evangelizzatore.
2. Contesto storico

L’iniziativa di S. Domenico tendente alla fondazione di un ordine di Predicatori ebbe un avvio alquanto travagliato, e non poteva essere altrimenti, vista la natura dell’Ordine che intendeva fondare. Già Pietro Valdo, al quale si fanno risalire i Valdesi, una trentina d’anni prima aveva ricevuto un rifiuto da parte della Santa Sede per un’analoga iniziativa. Un Ordine di Predicatori, infatti, aveva tutte le caratteristiche di un’idea esplosiva difficile da controllare da parte della gerarchia ecclesiastica. L’Ordine di S. Francesco, non avendo pretese dottrinali, fu subito approvato già nel 1210 da papa Innocenzo III, sia pure in via sperimentale (la seconda Regola o Regula bullata sarà approvata da Onorio III nel 1223)[1]. Per il suo, S. Domenico, ancora nel 1215, riceveva un rifiuto da parte di quello stesso Innocenzo III che cinque anni prima aveva approvato la regola di S. Francesco. Morto Innocenzo III, con il favore del cardinale Ugolino (poi papa Gregorio IX) Domenico poté muoversi in via sperimentale come se il suo ordine fosse stato approvato. Un modo di agire che fu coronato da successo, in quanto, pur senza approvare una Regola specifica dell’Ordine (come avvenne per la Regula Bullata dell’Ordine francescano), ma accontentandosi di fare adottare quella di S. Agostino, il nuovo papa Onorio III si mostrò sempre favorevole, se non addirittura entusiasta, nei confronti dei Frati Predicatori. Di conseguenza, pur non avendo ottenuto alcuna bolla di approvazione dell’Ordine in quanto tale, Domenico ne ebbe e molte di approvazione di comunità o di iniziative apostoliche specifiche[2]. In altri termini, la vita prevalse sull’aspetto giuridico, tanto più che si trattò di una vitalità straordinaria che davvero avrebbe giustificato successive leggende di visioni e presagi divini.

Per capire in parte le ragioni di un successo così immediato è opportuno ricordare il particolare momento storico. L’Europa era infatti allora caratterizzata dal braccio di ferro fra Impero e Papato, e il papa appena deceduto, Innocenzo III, fu certamente il papa più celebre sotto questo aspetto, nel senso che fu il più grande difensore dell’idea di Gregorio VII, quella di un papato che governa l’intera società e che è fonte della legittimazione del potere temporale. Sotto questo papa si può dire che il cattolicesimo era all’attacco, e aveva politicamente sottomesso anche il mondo ortodosso bizantino con la creazione dell’Impero latino di Costantinopoli (1204-1261). Contemporaneamente i mercanti veneziani e genovesi aprivano nuove vie commerciali che Domenicani e Francescani trasformavano in itinerari missionari.

La giovane età dell’imperatore Federico II, che dava ampi spazi di manovra al clero, permise ai Domenicani di diffondersi in Europa senza particolari ostacoli politici. L’impero latino d’Oriente permise loro di penetrare in Asia Minore, mentre gli Ordini cavallereschi facevano giungere i Frati in Terra Santa. I mercanti veneziani e genovesi aprivano loro la strada delle missioni in tutti gli angoli del mondo conosciuto. Il che non significa che i Frati “vivessero di rendita”, appoggiandosi su queste circostanze favorevoli. Se questo poteva valere per molti frati, va detto anche che non pochi ebbero una potente personalità ed affrontarono viaggi pericolosissimi. Basti pensare a Andrea di Longjumeau, Giuliano d’Ungheria, Ricoldo da Montecroce, per fare solo qualche nome e senza dimenticare i tanti martiri[3].

L’Italia Meridionale si trovava in una situazione particolare. Il papato aveva fatto sempre di tutto affinché l’imperatore non divenisse anche re di Sicilia, il che avrebbe stretto in una morsa gli stati pontifici. Ma Onorio III, più evangelico e meno politico di Innocenzo III, pur di ottenere la partecipazione di Federico II alla crociata per la riconquista della Terra Santa, nel 1220 incoronò Federico II. Per questa svolta di politica internazionale l’Italia Meridionale e la Sicilia si videro governate direttamente dal giovane imperatore, il quale la pensava esattamente all’opposto del papa Innocenzo III. Per lui, infatti, la Chiesa doveva occuparsi delle cose spirituali, mentre tutto ciò che riguardava la società, compresi gli eretici in quanto sudditi dell’impero, era competenza esclusiva dell’imperatore.

La diffusione dell’Ordine in Italia Meridionale e in Sicilia fu condizionata dal grado di tensione di questa lotta fra Chiesa e Impero; una lotta quasi inesistente nei primi anni dell’Ordine (1215-1220), poi solo latente fino alla prima scomunica dell’imperatore (1227), quindi aperta durante il papato di Gregorio IX (1227-1241), per divenire all’ultimo sangue nell’ultimo decennio di Federico II (1241-1250).
2. Domenicani meridionali della prima ora

Tra i domenicani che conobbero S. Domenico il primo nome che viene alla mente è quello di Giovanni di Salerno, celebre per essere stato il fondatore di una delle chiese domenicane più belle, quella di S. Maria Novella di Firenze. La sua non fu una conoscenza superficiale, ma un contatto personale, fino agli ultimi giorni di vita di S. Domenico, ed egli lo seguì nella tomba quello stesso anno 1221[4]. Un altro fra Giovanni che fu molto a contatto con S. Domenico fu quel frate cooperatore calabrese che a Roma faceva la questua e che restò celebre tra i frati dell’epoca per aver portato S. Domenico ad operare un miracolo. La questua era stata scarsa e, per di più, sulla porta del convento un povero gli chiese l’elemosina. Gli diede il pane che aveva ricevuto. Per non lasciare i frati senza cibo, Domenico spinse i frati a mettersi a tavola comunque; quindi fece miracolosamente apparire sia il cibo che il vino[5]. Ugualmente legato a S. Domenico era un fra Tommaso, chiamato semplicemente “Apulus” (Pugliese), laddove questa qualifica non indica strettamente l’origine pugliese, visto che lo stesso S. Tommaso d’Aquino è talvolta chiamato così. E come S. Tommaso dovette resistere ai parenti, così egli dovette resistere agli amici che volevano distoglierlo dalla vocazione di seguire Domenico[6].

Più nota è la figura di fra Nicola Paglia di Giovinazzo, che prese l’abito dalle mani del fondatore nel 1218 e che fu provinciale romano. Le cronache dell’epoca, che trattano di lui con una certa frequenza, parlano della sua presenza a Napoli, ad Orvieto e soprattutto a Perugia, oltre che di suoi viaggi nel meridione. Non vi sono documenti specifici e forse la fantasia degli storici locali ha ricamato molto, tuttavia in considerazione di questi viaggi non è improbabile che qualche convento debba la sua esistenza alla sua predicazione. Gerardo di Frachet lo chiamava “uomo santo e litterato”, mentre Costantino da Orvieto lo diceva “uomo celebre per virtù e parimenti di fama non comune. Il che poneva Nicola Paglia fra i frati della corrente osservanziale. Anche l’episodio ripreso dal Malvenda a proposito di un suo viaggio in Puglia ce lo mostra come formatore rigoroso dei novizi, che non dovevano rompere il silenzio. Proprio lui lo fece per aiutare una povera storpia presso Canosa, allorché le disse: La tua fede ti ha salvata. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen[7].

Ciò che rappresentò Nicola Paglia per il litorale Adriatico, lo fu Tommaso Agni da Lentini per il litorale tirrenico e la Sicilia. Anche Tommaso Agni era dotato di grande personalità. Ricevuto l’abito a Roma da S. Domenico nel 1218, raggiunse tanta fama che il papa Gregorio IX lo mandò nel 1227 a Napoli a predicare contro gli eretici in un momento in cui aspro cominciava a farsi il confronto fra il papa e l’imperatore. Come si sa, quella predicazione si risolse nella fondazione del convento di S. Domenico Maggiore che per secoli fu il convento guida dei Domenicani meridionali. Sarà lui nel 1243 a dare l’abito a S. Tommaso d’Aquino. Eletto provinciale romano nel 1255 fu costretto (Bernard Guy dice compulsus est recipere) a lasciare perché il papa lo nominò vescovo di Betlemme. Una lettera che gli indirizzò un cavaliere templare nel 1258 lo qualificava già di vescovo di Betlemme. Dopo uno o due anni in Siria e Terra Santa (1261-1262) tornava in Italia e diveniva amministratore della chiesa di Messina. Quindi fu eletto arcivescovo di Cosenza (1267), ma subito dopo il capitolo di Messina lo eleggeva arcivescovo di Messina.  Ma ancora una volta si frappose il papa (questa volta Gregorio X) che lo nominava patriarca di Gerusalemme e legato pontificio in Oriente. Ovviamente non poté raggiungere Gerusalemme, ma dovette accontentarsi di iniziative pastorali dirette da Accon (Tolemaide), ove morì nel 1278. Parlando di lui al re di Francia, il papa lo definiva virum profundi pectoris, alti consilii, virtutum claritate conspicuum, et experientia multa probatum. Nell’Ordine però il suo nome rimase legato alla Vita di S. Pietro Martire che egli scrisse e che si leggeva nei refettori di tutti i conventi domenicani[8].

Alla prima generazione domenicana appartiene fra Giovanni di Napoli, ricordato soprattutto dai domenicani della Dalmazia, avendo fondato il convento di Dubrovnik (Ragusa). La sua attività si pone principalmente durante il generalato di fra Giordano di Sassonia, ad un mandato del quale rispondeva quella fondazione[9]. E Giovanni si chiamava l’inseparabile compagno di fra Tommaso Agni da Lentini. Fra Giovanni di S. Giuliano o S. Geminiano fu colui che aiutò S. Tommaso d’Aquino a fuggire dalla torre ov’era tenuto rinchiuso dai familiari.

Non c’è dubbio però che proprio S. Tommaso d’Aquino fu il domenicano meridionale più famoso non solo del Mezzogiorno, ma di tutto l’Ordine e di tutto il mondo. Indubbiamente in campi specifici e particolari vi sono domenicani più celebri, come ad esempio Alberto Magno, Maestro Eckhart, Caterina da Siena, Vincenzo Ferreri, Savonarola, De Vitoria, Las Casas, Campanella, Giordano Bruno e Rosa da Lima. Ma quando si prende in considerazione il munus specifico dell’Ordine, vale a dire la teologia, non c’è dubbio che a S. Tommaso appartiene la sintesi più profonda e completa, paragonabile nella storia della Chiesa soltanto a quella di Agostino[10].
3. Diffusione dell’Ordine nel Mezzogiorno.

Non è semplice seguire con precisione cronologica la nascita e la proliferazione dei conventi domenicani nel Mezzogiorno a causa del fatto che la prima menzione documentaria non necessariamente corrisponde all’anno di nascita del convento stesso.
Rinviando per i dettagli al volume del P. Miele e del sottoscritto Storia dei Domenicani nell’Italia Meridionale, e ricordando che una migliore conoscenza della storiografia locale potrebbe portare importanti correzioni e integrazioni[11], ecco l’ordine cronologico dei conventi domenicani dell’Italia Meridionale a partire dalla documentazione cronachistica e pergamenacea:

Trani 1225 (1221 ?)
Napoli S. Domenico Maggiore, 1231
Brindisi 1238 (1223 ?)
Barletta 1238
Messina 1240 (1221 ?)
Cosenza (per pochi anni) 1240
Capua 1253
Gaeta 1255 (1229 ?)
Benevento 1259 (1221 ?)
Fondi,  (1216 ? 1221 ?))
Siracusa, 1260
Foggia, 1269
Salerno, 1272
Monopoli, 1273
Catania, 1273
Sulmona, 1273
Trapani, ?
Aquila, 1276
Palermo, 1283
Piazza Armerina, 1283
Augusta, 1283 (1230 c. ?)
Bari, 1283
Chieti, 1283
Penne 1283
Atri, 1284
Atessa, 1287
Taranto, 1288
Aversa, 1288
Sessa Aurunca, 1291
Manfredonia, 1293
Somma Vesuviana, 1294
Napoli, S. Pietro M., 1294
Venosa, 1294
Ortona, 1294

Si tratta dunque di 34 conventi o loci che fino al 1294 rientravano nella Provincia Romana[12].
11 di questi conventi erano già fondati in epoca sveva (- 1266), e naturalmente ebbero vita difficile in quella lotta senza quartiere che si stava svolgendo fra l’imperatore e il papa. I Domenicani, preferiti come inquisitori dal papa Gregorio IX, si battevano per l’ortodossia della fede, ma molto spesso nel concetto di fede entrava anche il ruolo del papa nella società. I frati furono comunque tollerati dall’imperatore svevo, almeno a giudicare dal fatto che non ci sono pervenuti documenti anteriori al 1230, se si eccettua uno del 1227 in cui si menziona la comunità di Trani.

4. I primi conventi
In Puglia Trani e Brindisi furono i primi conventi sia che si prenda in considerazione la tradizione sia che si faccia riferimento ai primi documenti certi. Entrambi vengono fatti risalire a Nicola Paglia. Quello di Trani sarebbe stato fondato dopo che gli abitanti erano stati affascinati dalla parola del padre giovinazzese[13]. Due iscrizioni furono apposte a conferma della sua antichità: Ignae Crucis signo B. Nicolaus Palea vivo adhuc Ordinis Parente construxit (sull’ingresso), e Beatus Nicolaus de Iuvenatio Fundator huius conventus Sanctae crucis de Trano (in un quadro all’interno)[14]. Quanto a Brindisi nel XVII secolo Tommaso M. Forte affermava di aver visto in chiesa un quadro con questa scritta: Beatus Nicolaus Palia a Juvenatio fundator huius conventus. In anno 1223 [15].
Quello che significò Nicola Paglia per la Puglia in Sicilia la tradizione l’attribuiva al beato Reginaldo d’Orléans, che nel 1218 vi passò di ritorno dalla Terra Santa. Nel 1486 Tommaso Schifaldo attribuiva a fra Roderico Teutonico, compagno di S. Domenico, la fondazione di conventi nell’Isola. Sembra che il primato spetti a Messina, seguita da Augusta o da Palermo. Abbastanza presente nei primi capitoli della Provincia Romana, la Sicilia ottenne sempre meno attenzione a partire dagli anni Sessanta del XIII secolo. Probabilmente la presenza di un Vicarius Insulae Siciliae dipendente direttamente dal maestro generale faceva sì che il Provinciale col suo capitolo si interessassero sempre meno all’Isola[16].
Fondi, Gaeta e Benevento sembrano essere i primi conventi di Terra di Lavoro. Il primo sarebbe stato fondato col patrocinio del conte Ruggero dell’Aquila dallo stesso S. Domenico[17]. Secondo gli storici locali anche Benevento sarebbe stato fondato da S. Domenico su richiesta di Roffredo Epifanio, giureconsulto e consigliere di Federico II. Dedicato a S. Maria Maddalena il convento sarebbe stato poi conosciuto come S. Domenico[18]. A Gaeta i frati presero possesso della chiesa di S. Nicola nel 1229, ma nel restaurarla qualche decennio dopo la dedicava a S. Domenico[19].
5. S. Domenico Maggiore
Particolarmente ricche di vocazioni furono le città di Lentini in Sicilia, da dove uscì il noto Tommaso Agni fondatore di S. Domenico Maggiore a Napoli, e la città di Trani in Puglia. Infatti raggiunto un numero considerevole di frati, la comunità tranese decise di creare un’altra comunità a Barletta. Il più importante però, a seguito delle svolte storico-politiche divenne S. Domenico Maggiore a Napoli. Questa città, in ombra fino a tutto il XII secolo (capitale normanna era Palermo), cominciò ad affermarsi con Federico II che, senza spostare la capitale, la designò come sede universitaria, unica nella Penisola. Tale centralità culturale con gli Angioini (1266) divenne anche politica. Di conseguenza gli sviluppi furono straordinari. Gli Angioini, infatti, difensori del Papato, specialmente con Carlo II d’Angiò furono amicissimi dei Domenicani, e quindi elessero S. Domenico Maggiore (debitamente ristrutturato e ingrandito) a convento principale della Penisola.
Questo convento è anche parzialmente un’eccezione nella storia delle origini dei conventi. Quasi tutti infatti nacquero fra le proteste dei vescovi e del clero locali che si vedevano ridurre drasticamente più del 25% tutte le entrate a causa dell’esenzione dei frati e della tendenza delle popolazioni a rivolgersi ad essi per matrimoni, funerali ed altri sacramenti. La situazione a Napoli in quel momento era molto problematica per il vescovo Pietro che non riusciva a vincere i focolai di eresia che si stavano diffondendo. Per cui accolse di buon grado l’invito del papa Gregorio IX a lui e al suo capitolo (20 ottobre 1231) di accogliere benevolmente i Frati Predicatori che vi si recavano con quello scopo precipuo. Si presume però che le cose dovevano essere state già preparate, poiché il 1 novembre l’Arcivescovo, alla presenza di personaggi che avranno un certo ruolo nelle vicende successive (Goffredo, card. Di S. marco, Marino Filangieri di Bari, Egidio cappellano papale, maestro Pietro canonico della Basilica di S. Pietro), investiva fra Tommaso Agni da Lentini e la sua comunità della chiesa e monastero (benedettini) di S. Arcangelo a Morfisa[20].

6. La politica di Federico II

Tutto ciò accadeva all’epoca di Federico II. Nel 1233, quando da poco si era ristabilita la pace,  fu il papa in persona a scrivere all’imperatore (27 agosto 1233)  per raccomandargli i frati che stava mandando a Lucera per predicare ai musulmani che alcuni anni prima lo stesso imperatore aveva trasferito dalla Sicilia. L’imperatore gli rispose che non si sarebbe limitato a dare ordini, ma sarebbe stato lì personalmente a riceverli[21]. Sembra che si possa accettare la notizia del domenicano Tommaso Angiulli, secondo il quale i Domenicani ottennero la chiesa di S. Maria della Tribuna, e che dovettero lasciarla nel 1245 allorché, avendo pubblicato la scomunica dell’imperatore, furono espulsi[22].
Di breve durata fu anche la comunità di Cosenza, ivi chiamata dall’arcivescovo Opizo Colombi, il quale in data 30 settembre 1240 spiegava la bontà dell’iniziativa per la quale aveva donato ai frati la chiesetta di S. Matteo [23]. Non sembra, invece, sufficientemente documentata la notizia che vorrebbe il convento di Matera fondato dallo stesso S. Domenico su richiesta della città. Una supplica in tal senso risale al 1418[24].
Per cui, favoriti inizialmente e poi tollerati, furono finalmente avversati da Federico II a causa del fatto che si davano da fare per promulgare le scomuniche papali nei suoi confronti[25]. Inoltre, la preoccupazione dell’imperatore per la pace sociale era fuori dell’ottica dei frati, preoccupati piuttosto dell’ortodossia della fede vista come presupposto della salvezza dell’anima. Di conseguenza, la tolleranza dell’imperatore verso i Saraceni di Lucera era vista come indifferentismo religioso e quindi combattuta.

7. Gli Angioini e la Provincia Regni (1294)

Nel 1266 la situazione cambiò radicalmente, grazie alla sconfitta degli Svevi ad opera degli Angioini di Carlo I, chiamato dal papa nel Mezzogiorno. Da quel momento i Frati ebbero meno problemi economici, essendo spesso oggetto di donazioni da parte dei sovrani. Anche le loro chiese divennero più belle e maestose. Basti pensare a S. Domenico Maggiore che dalle sue piccole dimensioni divenne una Basilica con annesso un convento capace di ospitare un numero rilevante di Frati. Alla povertà su cui continuavano a battere i maestri generali si sostituiva lo splendore che spettava alla gloria di Dio.

Ma nessuno dà nulla per nulla. Nemmeno gli Angioini. Il pio re Carlo II d’Angiò, nipote di S. Luigi IX, era particolarmente generoso con i frati, ma in nome di questa generosità i frati erano costretti a chiudere un occhio (se non tutti e due) sulle regole democratiche dell’Ordine. Anzi, per meglio poter disporre dei frati, nel 1294 ottenne dal debole papa Celestino V il distacco della Provincia Regni dalla Romana. Pochi mesi dopo Bonifacio VIII, che aveva annullato tutti gli atti del suo predecessore, dovette emettere un’altra bolla di fondazione della nuova Provincia. Bonifacio VIII era tutt’altro che debole, ma non poteva non accontentare Carlo II, se voleva reggere l’incipiente lotta con Filippo il Bello re di Francia.

In ogni caso, nel 1294 nasceva la Provincia Regni che ebbe una propria fisionomia autonoma, rispetto alla precedente Provincia Romana.

8. Monasteri femminili

Agli inizi dell’Ordine, nonostante il ruolo fondamentale giovato dal monastero di Prouille nella propagazione e nel supporto all’attività domenicana, l’Ordine fu sempre reticente ad interessarsi alle monache e alle suore. I pericoli di una eccessiva vicinanza frenavano decisamente azioni in tal senso, anche se ovviamente l’efficavia della predicazione ne veniva a perdere sensibilmente. Soltanto Prouille, come primo monastero, e S. Sisto a Roma, come monastero fondato direttamente da S. Domenico, godevano di uno statuto particolare.
Con qualche difficoltà a stabilire le date di fondazione i monasteri meridionali del XIII secolo sono i seguenti:

  1. S. Caterina del Cassero a Palermo
  2. S. Domenico a Benevento
  3. S. Anna a Nocera
  4. S. Pietro Martire a Castello (Napoli)[26]
  5. S. Lucia a Barletta[27]

 

Al momento non saprei se collocare in quest’epoca anche due dell’Abruzzo (S. Maria Annunziata e SS. Eucarestia).
Era stato il capitolo di Valenciennes (1259), lo stesso dell’apertura filosofica nell’Ordine, ad aprire alquanto alle suore, riferendosi ad esse come suore secondo la regola di S. Agostino e le istituzioni dell’Ordine dei Frati Predicatori, oppure secondo la regola di S. Agostino e sotto la guida dei Frati predicatori[28].

Tale il caso anche del monastero di Barletta, la cui vicenda, a parte le origini, è molto ben documentata essendosi salvate le relative pergamene edite nel codice diplomatico barese. Un’importante donazione ebbe da fra Randulfo, domenicano e patriarca di Gerusalemme, il quale parla della loro cappella iuxta quam Religiose sorores viventes secundum Regulam beati Augustini et Constitutiones Fratrum Praedicatorum commissa[29].

Un altro documento del 1334 conferma la buona reputazione spirituale e morale delle suore. Certo Riso Franco de Riso nel dare il consenso alla figlia Pavina detta Paladina a entrare in monastero, lo fa anche in considerazione  della sacram religionem, laudabilem et honestam vitam dicte priorisse et monialium dicti monasterii Sancte Luciae[30]. Anche gli altri monasteri femminili del Mezzogiorno hanno esempi di vita domenicana. Ad esempio in quello di Benevento, tradizionalmente attribuito a S. Domenico, ma di una trentina d’anni posteriore, visse intorno al 1280 la beata Daniela della Vipera, qua cum Virginitate, Religionem et cum vita sanctimoniam coniunxit, et inter Beatas eiusdem Ordinis numerari meruit. Ed infatti nei supplementi delle antiche Costituzioni dal titolo De initio Tertii Ordinis Praedicatorum veniva inserita fra le beate[31].

9. Gli sviluppi

Il contesto politico influenzò dunque pesantemente gli sviluppi dell’Ordine nel Mezzogiorno. Gli Angioini, infatti, erano molto generosi con gli ordini mendicanti, ma al contempo richiedevano una chiara fedeltà politica. Come si sa, il Medioevo meridionale fu caratterizzato dal tentativo dei re di Napoli di riconquistare la Sicilia, perduta con i Vespri siciliani del 1282. Così mentre la Sicilia era governata dagli Aragonesi, la penisola era sotto il dominio degli Angioini. Gli inutili tentativi di questi ultimi di riconquistare l’isola dissanguarono le casse statali a tutto vantaggio dei banchieri toscani. Fu in questa atmosfera che fra il 1376 ed il 1378 la Sicilia si staccò dalla Provincia Regni, andando a formare la Provincia Trinacriae.

Purtroppo, ciò che accadde con la società, incise anche sulle vicende dell’Ordine. In particolare, l’unicità dell’università di Napoli fece sì che i Domenicani di talento delle altre regioni fossero costretti a trasferirsi a Napoli o, come accadeva spesso, in altre province. Bologna e Padova saranno le mete culturali preferite. Ci sono pervenute tracce di dibattiti religiosi, ma raramente toccavano tematiche di ampio respiro.

Il XV secolo fu caratterizzato dai tentativi di riforma osservanziale di tipo monastico, voluta alla fine del XIV da un altro meridionale, il beato Raimondo da Capua, che però svolse la sua azione soprattutto nel centro-nord. Questo movimento riformistico promosso soprattutto dalla provincia lombarda, portò non pochi frati del nord nel Mezzogiorno, creando fra l’altro strane situazioni sul piano giuridico.

Il XVI secolo invece fu il secolo della proliferazione delle province. Dalla Regni si staccarono prima la Puglia, poi la Calabria e dopo alcuni decenni anche l’Abruzzo. Il centro culturale restava comunque S. Domenico Maggiore. Il numero dei Frati crebbe enormemente, con alcune personalità (come Bruno e Campanella) che raggiungeranno fama internazionale.  Per il resto quello dei Domenicani dell’Italia meridionale fu un lavoro costante e nascosto. Non sempre curanti delle osservanze, spesso in contrasto col clero locale, cercavano di essere vicini alla popolazione  per quanto era nelle loro capacità. La recente pubblicazione del P. Giovanni Ippolito sulle Spezierie o farmacie non è che l’iceberg di quell’impegno sociale dei frati, forse non eroi dello spirito o del pensiero, ma vicini al popolo secondo l’esortazione evangelica.


[1] A. Vauchez, La vita pastorale nella Chiesa d’Occidente, in Storia del Cristianesimo, Borla/Città Nuova, V (1054-1274), Roma 1997, pp. 734-735.
[2] Onorio approvò il tipo di vita comune e di preghiera condotto dalla comunità di Tolosa, prima nella bolla Religiosam Vitam del  22 dicembre 1216 e poi nella Gratiarum omnium del 21 gennaio 1217. Nella bolla del 7 febbraio 1217 il papa andava molto vicino ad una bolla di approvazione dell’Ordine. Non lo era, perché destinataria era sempre la comunità di S. Romano di Tolosa. Tuttavia, più che sugli aspetti contingenti il papa pone l’accento sulla religio, vale a dire che subentra anche l’idea di un Ordine religioso. Questi testi sono stati pubblicati più volte. Se però, invece che sul terreno devozionale, si vuole stare su un terreno scientifico, si consiglia di fare riferimento a Vladimir Koudelka, Monumenta diplomatica S. Dominici, MOPH XXV, Roma 1966.
[3] Su questi protagonisti dell’antica storia domenicana, vedi il mio Domenicani nella storia, Bari 2005, pp. 121-146.
[4] Cfr. Leandro Alberti, De viris illustribus Ordinis Praedicatorum libri sex, Bologna 1917, pp. 198v-204.
[5] L’episodio è riportato da Teodorico d’Apolda, Castiglio, Malvenda e altri. Vedi anche Teodoro Valle,  Breve Compendio de gli più illustri Padri, nella santità della Vita, Dignità, Uffici, e Lettere ch’ha prodotto la Provincia  del Regno di Napoli dell’Ordine dei Predicatori, Napoli 1651, p. 17.
[6] Cfr. Gerardo di Frachet, Vitae Fratrum, edito a cura di Angelico Ferrua, Bologna 1963, p. 107.
[7] Cfr. Cioffari-Miele, Storia dei Domenicani nell’Italia Meridionale, I, Bari-Napoli 1993, pp. 77-80 (con numerosi riferimenti bibliografici).
[8] Cfr. Cioffari-Miele, Storia dei Domenicani,  pp. 74-77 (con ricca bibliografia).
[9] T. Valle, Breve Compendio, p. 15. Lo stesso autore, citando dei Sommarij della Provincia, ricorda che napoletano fu anche il frate (Guido Maramaldo) che nel 1317 operò il trasferimento del convento di S. Croce dalla periferia al centro della città.
[10] La bibliografia su S. Tommaso è immensa. Mi limito pertanto a rinviare ancora una volta al mio Domenicani nella Storia, pp. 87-120.
[11] E’ un invito agli storici domenicani (e non) ad intervenire nel caso siano a conoscenza di un “documento coevo” (quindi del XIII secolo) che attesti una data più precoce. Per precisazioni e riferimenti sulla documentazione utilizzata rinvio a Cioffari-Miele, Storia dei Domenicani, pp. 21-38.
[12] Per questo elenco ho utilizzato Reassunto dei Privilegi e Diplomi reali che si conservano in tre tomi nell’Archivio del real Monastero di S. Domenico in Napoli, t. I, n. 3 (AGOP XIV, Litt. A, ff. 468-469); MOPH XX, pp. 62-65; Masetti, P. T., Monumenta et antiquitates veteris disciplinae Ordinis Praedicatorum ab anno 1216 ad 1348 praesertim in Romana Provincia, vol I, Romae 1864. Più problematico l’elenco dei conventi siciliani perché, non rientrando fra i conventi beneficati da Carlo II d’Angiò nel 1294 (essendo l’isola governata dagli aragonesi dal 1282), non ci è pervenuto, e comunque non ho notizia di un elenco dei conventi così precoce. I relativi rinvii sono dunque a fonti sparse ed eterogenee.
[13] Malvenda T., Annalium Ordinis Praedicatorum Centuria prima, Napoli 1627, p. 517.
[14] Cappelluti Gerardo, L’Ordine domenicano in Puglia, Teramo 1965, pp. 71-72.
[15] Cappelluti Gerardo Il beato Nicola Paglia, Molfetta 1967, pp. 125-131.
[16] Coniglione M. A., La provincia domenicana di Sicilia. Notizie storiche documentate, Catania 1937, pp. 1-7.
[17] AGOP, Liber A, I parte, ff. 269-273.
[18] Valle Teodoro, Breve Compendio, p. 2, 7.
[19] AGOP, Liber A, I parte, ff. 274-276.
[20] BOP I, n. 49, pp. 36-37, e 50, p. 37.
[21] D. Vendola, Documenti tratti dai registri vaticani, vol. I, Trani 1940, n. 187 (pp. 165-166) e 456 (p. 356).
[22] Ciampi Alfredo, Il beato Agostino Kažotic o.p., vescovo di Zagabria e poi di Lucera (1260-1323), Roma 1956, p. 69.
[23] BOP, I, p. 117.
[24] BOP II, p. 44, n. 7 e p. 688.
[25] Bullarium OP, I, n. 122, p. 158. Si noti che altri elenchi di conventi sono legati alla scomunica di Giovanni XXII contro l’imperatore Ludovico il Bavaro nel 1324. Al riguardo conosco però solo la documentazione edita da Angela Frascadore, La scomunica e la scrittura, Edizioni del Galluzzo, Firenze 1999, che conferma la precedente (attestata nel Reassunto dei Privilegi).
[26] SOP. Notitia altera status Ordinis qualis erat 1303 … ex Bernardo Guidonis, I, pp. IV-IX.
[27] Questo convento non è segnalato nella precedente lista del Guy, ma il suo cartulario è edito in CDB XIX. Cfr. Cioffari G., Storia dei Domenicani in Puglia, Bari 1986, pp. 89-95.
[28] Litterae Encyclicae Magistrorum Generalium (1233-1375),  ed. B. M. Reichert, MOPH V (Roma 1900, pp. 50-52. Il riferimento è al maestro Umberto de Romans.
[29] CDBarlettano, II, n. 140, pp.  210-212.
[30] CDB XIV, n. 6, pp. 10-13.
[31] Per i dettagli su questi e altri monasteri femminili del mezzogiorno, vedi Cioffari G. Miele M., Storia dei Domenicani nell’Italia meridionale, Bari-Napoli 1993, pp. 97-106.