San Domenico e le Monache

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di p. Venturino Alce O.P.
La Provvidenza, che guida la storia dell’umanità, mise sul cammino apostolico di San Domenico molte donne. Misericordioso com’era, attese a promuovere la loro gran­de dignità e a inserirle nella vita della Chiesa. Tra di esse hanno attirato particolare attenzione le monache, come accuratamente riferiscono i biografi del Santo. Questo argomento, che rientra nel dibattito sulla promozione della donna durante il medio evo cristiano, è stato affrontato con riconosciuto rigore scientifico dai tre più recenti e appassionati studiosi di San Domenico, suoi figli spirituali, precisamente p. H. Vicaire, p. V. Koudelka e p. G. Be­douelle 1. Dalle loro conclusioni, accolte favorevolmente da tutta la critica, ho ricavato le pagine seguenti, che inten­dono presentare quello che San Domenico ha fatto per le monache.
In linea con il «modo di vivere degli Apostoli» i pre­dicatori itineranti cattolici ed eretici del XII e dell’inizio del XIII secolo conducevano con sé delle donne, instaurando un sistema pastorale che conobbe un certo successo. Ab­biamo notizia, riferendoci sempre a quel periodo, persino di donne che predicavano nelle «scuole» e negli « ospizi» aperti dagli eretici, cioè in istituzioni di tipo monastico destinati alla istruzione della gioventù femminile. Quando i predicatori cattolici sospesero il metodo itinerante per fis­sare in una serie di conventi stabili i centri della evange­lizzazione permanente, nei loro nuovi edifici riservavano sempre un quartiere per quelle donne che si erano messe sotto la loro direzione spirituale. In tal modo sorsero i cosiddetti « doppi conventi ».
L’itineranza dei predicatori evangelici accompagnati da donne collaboratrici cadde in discredito dopo l’inizio del secolo XIII.
Alla luce dei metodi seguiti dai predicatori cattolici ed eretici dell’epoca considerata, non troviamo nulla di strano nel vedere Domenico, durante la sua attività di predicatore in Linguadoca a fianco del vescovo Diego e dei Legati pon­tifici, guadagnare alla « sequela Christi » delle donne, tra le quali troviamo certamente le convertite dall’eresia, per le quali verso il 1207 venne fondato il monastero di Prouille. Giordano di Sassonia, il primo biografo del Santo e suo immediato successore a capo dell’Ordine, riassume la fon­dazione di Prouille in questi termini: « Per accogliervi alcu­ne nobildonne che i parenti, a motivo della loro povertà, affidavano agli eretici per essere mantenute ed educate egli (il vescovo Diego) fondò un monastero tra Fanjeaux e Montréal, nella località chiamata Prouille. Quivi, fino aì nostri giorni, le serve di Cristo prestano gradito servizio al loro Creatore con gran fervore di santità ed eccelsa purez­za, conducendo una vita salutare per loro, esemplare per gli uomini, gioconda per gli angeli, grata a Dio »2. L’auste­rità di vita delle claustrali era richiesta dalla Chiesa per contrapporla al rigore vigente nei monasteri catari; la chia­rezza della loro fede rispondeva alla esigenza di edificare e convincere le famiglie ancora esitanti tra eresia e ortodos­sia; la loro vita « esemplare per gli uomini » era il modo di predicare proprio delle figlie di San Domenico.
Chiamare « figlie di San Domenico» le suore di una fondazione attribuita dall’autorevole Giordano di Sassonia al vescovo Diego, non è una falsificazione? No, perché due anni dopo quella fondazione il vescovo Diego partì per la Spagna con l’intento, tra l’altro, di raccogliere il denaro necessario per la costruzione del monastero, ma prima del­la partenza affidò la cura spirituale di quella comunità femminile a Domenico «in quanto uomo veramente pieno di spirito di Dio », con piena responsabilità anche dell’a­spetto materiale della fondazione, perché a lui l’economo doveva rendere ragione di tutto’. Ma Diego morì appena
rientrato in Spagna. Così Domenico rimase solo a capo del monastero.
Il Vicaire sintetizza nei termini seguenti l’operato di Domenico a beneficio del monastero di Prouille: «Egli vi dedicò le sue cure di padre, attese alla formazione, diede la legislazione. I più antichi testi d’archivio che risalgono alle origini, gli attribuiscono il primo posto nel reclutamento delle “convertite”. Essi gli riconoscono pure le iniziative che valsero alle suore quanto di meglio contava il loro patrimonio. Domenico prodigò ogni sua risorsa per questa causa. Diede l’avvio alle ingenti donazioni del 1211-1212, poi costruì l’abbazia e ne organizzò la vita. Fissò il sistema di direzione, il numero dei padri, le tradizioni interne, il lavoro manuale delle suore. Tra il 1212 e il 1215 rifiutò una proposta di episcopato per non dover trascurare, diceva, “la tenera piantagione di Prouille affidata alle sue cure”. Domenico veglierà da quel momento con più trepida solle­citudine su Prouille che, tra il 1211 e il 1214, assorbirà le sue migliori energie. Lo vedremo nel 1214, ormai stabilito a Fanjeaux, privarsi di tutto ciò che gli è possibile per aiu­tare le suore» 4.
Sappiamo bene che Prouille per lungo tempo è stato insieme un monastero di suore e un piccolo convento di frati, punto di appoggio per la loro predicazione. Ma l’ori­ginalità di Prouille sta nell’essere un istituto fondato prima e al di fuori di una organizzazione intesa a diventare un Ordine di frati. È un tipico monastero di contemplative. Qui «le serve di Cristo prestano gradito servizio al loro Creato­re… conducono una vita di salvezza per sé, esemplare per gli uomini, gioconda per gli angeli, grata a Dio ». E di questa opera Domenico è il padre, il sostentatore, il legislatore’.
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L’episodio di Prouille ci muove a considerare in manie­ra globale il rapporto di Domenico con il mondo femminile. La storia documenta che la cura pastorale delle donne entra come parte essenziale nel programma apostolico del Santo e risponde alla sua presa di coscienza di fronte all’e­sempio di Cristo e degli Apostoli, presentato in vari passi dal Vangelo secondo Luca (8,1-3; 23,49.55; 24,10.22) e dalle lettere dell’apostolo Paolo (Rom 16,1-15; 1 Cor 9,5). Ai suoi tempi i grandi ordini monastici avevano già rinun­ciato alla formazione delle donne che spinte da zelo religio­so si erano rinchiuse in tanti conventi: la loro cura pasto­rale impegnava troppe forze. Per conseguenza si stava ve­rificando una certa emarginazione della donna in campo ecclesiale, che si aggiungeva a quella più pesante avvertita nel mondo civile, dove potevano distinguersi soltanto le poche nobildonne cantate dai trovatori. Domenico si im­batté raramente con donne di questo rango (avvenne a Bologna, come vedremo in seguito). Egli incontrò soprat­tutto donne povere, sofferenti, emarginate o umiliate dalla società.
Nel 1215 riceve in donazione dal vescovo Folco di Tolo­sa un ospizio situato entro la città. Pensa subito di adattar­lo a monastero per accogliere povere ragazze convertite. Dovette rinunciare all’impresa unicamente per mancanza di denaro.
Le cose andarono meglio a Madrid, città che a quei tempi non aveva l’importanza attuale. Durante il viaggio organizzativo del 1218 in Spagna diede l’abito religioso a un bel numero di suore. Poiché la situazione economica e giuridica si rivelava assai complessa e richiedeva molto tempo, vi lasciò suo fratello Mamés perché la regolasse. Non contento di questo, continuò a pensare alle buone sorelle madrilene e per confermarle nella loro santa voca­zione inviò una lettera, documento quanto mai prezioso non solo perché rivela il suo cuore paterno e sacerdotale di fondatore, ma perché è l’unico suo scritto giunto fino a noi
Quanto mai interessanti sono le vicende che preparano la fondazione monastica di Bologna’. La predicazione tra­volgente di fra Reginaldo d’Orléans, inviato a Bologna da San Domenico nel 1218 per risollevare le sorti di una situa­zione locale rimasta bloccata, attrasse non solo uomini ma anche donne. Tra queste si distinse la giovane Diana d’An­dalò, nipote di quel Pietro Lovello che dietro sua istanza cedette ai domenicani il terreno necessario per costruire, accanto alla chiesa di San Nicolò delle vigne, un nuovo e grande convento. Diana cominciò a rinunciare alle vanità del mondo e si intratteneva in conversazioni spirituali con i frati predicatori. Nell’agosto del 1219, pochi giorni dopo il suo arrivo a Bologna, Domenico entra in relazione con Diana e accetta di dirigerne spiritualmente l’anima. Tutto preso dalla diffusione e dalla stabilità dell’Ordine, il Fon­datore sa benissimo quale contributo gli venga offerto dal­la collaborazione femminile. Dischiude a Diana gli oriz­zonti della vita interiore e dell’azione apostolica da quella alimentata. Passati alcuni giorni la giovane nobildonna bolognese inginocchiata davanti a Domenico si impegna personalmente alla vita religiosa pronunciando un voto di obbedienza: erano presenti alla promessa fra Reginaldo, fra Guala e fra Rodolfo e un corteo di dame. Il fatto susci­ta profonda impressione in città, data la notorietà della famiglia cui apparteneva Diana, benché si trattasse di un avvenimento isolato, privato, senza alcun riferimento alla fondazione di un monastero. Era un impegno personale che poteva benissimo essere assolto restando in famiglia.
L’anno seguente, tornato a Bologna per il primo capi­tolo generale e per le faccende del convento di San Nicolò, Domenico incontra nuovamente Diana. Questa si era con­vinta che il voto di consacrarsi alla vita religiosa emesso nelle sue mani non poteva avere altra soluzione che la fon­dazione di un convento appropriato. Il Santo è d’accordo, ma prima di decidere chiede un giorno di riflessione e il consiglio dei confratelli. L’indomani, convocata la comu­nità di San Nicolò in capitolo e dopo aver pregato, Dome­nico comunica la sua decisione: «È assolutamente necessa­rio, o fratelli, costruire un convento per le suore. Anche se per questo si dovesse soprassedere alla costruzione del nostro (in quel momento si stava ampliando il chiostro di San Nicolò)». L’impresa però fu bloccata temporanea­mente dal vescovo di Bologna.
Un anno dopo, e siamo verso la metà del 1221, Diana, più che mai decisa di vivere la sua consacrazione entro un convento, non potendone costruire uno proprio, decide di entrare nel monastero delle agostiniane situato sopra la vicina collina di Ronzano. Per non destare sospetti ai fami­gliari, totalmente avversi ad una sua vita claustrale, con astuzia femminile un giorno organizzò una piacevole pas­seggiata con le tante amiche della nobiltà cittadina salendo fino all’ameno colle di Ronzano. Giunte al monastero Dia­na entrò sola nel dormitorio delle suore, chiedendo d’im­provviso l’abito monastico. E lo ottenne immediatamente. Sgomento fra le dame del corteo che, prese da agitazione, corrono in città per avvertire i famigliari dell’accaduto. I parenti di Diana si dirigono rapidamente a Ronzano, pene­trano nel dormitorio e afferrano con tale violenza Diana da spezzarle una costola. La riportano a casa, tenendola prigioniera. Questo accadde poche settimane prima della morte di Domenico.
Sappiamo che il progetto di Diana, maturato alla luce del carisma del Fondatore, verrà realizzato dal suo imme­diato successore, il beato Giordano di Sassonia. Le lettere di direzione spirituale inviate da Maestro Giordano a suor Diana e alle consorelle del monastero di S. Agnese in Bo­logna, sono un classico della letteratura ascetica del medio­evo cristiano e un documento del valore della vita consa­crata secondo la spiritualità domenicana.
A Roma la fondazione del monastero di San Sisto mise alla prova tutte le virtù di Domenico. L’iniziativa risale a papa Innocenzo III, deciso a riformare le monache di Roma, una, ottantina in tutto, sparse o disperse in sette conventi privi di disciplina claustrale. Per esse aveva stabi­lito di ricostruire la basilica di San Sisto e di crearvi accan­to un vasto monastero per accoglierne il maggior numero possibile. Proseguendo nella via tracciata dal predecessore, Onorio III attese sia alla preparazione dell’ambiente mate­riale, sia alla ricerca di religiosi adatti alla cura spirituale delle claustrali. Perduta la speranza di avere quattro cano­nici inglesi di Sempringham, specializzati nella riforma di monasteri, si rivolse a Domenico, che conosceva personal­mente e che sapeva fondatore e animatore delle suore di Prouille, assistite dai suoi frati. Il Papa donò a Domenico la chiesa di San Sisto e volle che vi insediasse una comunità di confratelli dediti stabilmente alla formazione delle monache che, accettata la riforma, sarebbero entrate nella clausura del gran convento costruito appositamente per loro. Trattandosi però di riforma destinata a religiose sot­toposte alla giurisdizione del Papa e attuata in edifici co­struiti a spese della Santa Sede, Onorio III nominò una commissione di tre Cardinali per sorvegliare la realizzazio­ne dell’impresa e sostenere Domenico nell’arduo compito di vincere la resistenza delle suore e respingere gli interventi dei loro famigliari. I cardinali erano: Ugolino vescovo di Ostia, Nicolò di Tuscolo e Stefano di Fossanova, nomi, specialmente il primo, legati intimamente alla storia di San Domenico.
Questi cominciò col radunare una comunità di frati predicatori, perché fino allora non esisteva a Roma un convento dell’Ordine, e li assegnò regolarmente a San Sisto. Siamo tra la fine del 1219 e il febbraio del 1220. Mentre i frati si sistemano nel nuovo edificio, Domenico, con lo spirito e la costanza di un apostolo Paolo, visita i
« caldo » quello passato a Roma da San Domenico a rifor­mare le suore. Sappiamo dalla storia, felicemente ricostrui­ta in tutti i particolari da p. Koudelka8, con quanta cura sia riuscito a convincere le suore di Santa Maria in Tempu­lo impegnandole nuovamente tutte (meno una), quattro o cinque suore appartenenti alla comunità di Santa Bibiana e alcune vocazioni isolate, ad abbracciare con piena coscien­za e gioia la stretta clausura instaurata a San Sisto. La data ufficiale del loro trasferimento fu il mercoledì delle Ceneri del 1221, 24 febbraio, giorno liturgico quanto mai adatto a significare la conversione totale richiesta dalla consacra­zione religiosa che perfeziona quella battesimale. Per non lasciarle nell’incertezza o nella confusione di consuetudini monastiche praticate nei diversi luoghi d’origine dettò loro una precisa regola di vita — che sarà detta in seguito la regola di San Sisto — sostanzialmente quella sperimentata a Prouille e a Madrid. Introducendo un sistema di forma­zione religiosa che in seguito otterrà tanta fortuna, fece venire da Prouille otto suore perché insegnassero alle con­sorelle di San Sisto con l’esempio pratico le usanze proprie delle monache domenicane. Esse giunsero a Roma accom­pagnate personalmente dal vescovo di Tolosa, Folco, am­miratore e amico del Fondatore; una delle nuove arrivate sarà la priora della comunità romana. Lui stesso, Dome­nico, guiderà spiritualmente la complessa comunità di San Sisto nei primissimi tempi, scendendo ogni giorno da Santa Sabina situata sul colle Aventino. Per le sue suore compirà miracoli di squisita carità, come attesterà in seguito suor Cecilia presente ai fatti. Di più ancora; sarà la Vergine Santissima, venerata nella antica immagine bizantina attri­buita alla mano pittorica di San Luca evangelista, trasferi­ta processionalmente dalla precedente sede di Santa Maria in Tempulo fino a San Sisto, ad assicurare le suore con la sua permanenza entro le mura del nuovo monastero che quella dimora era veramente gradita a Dio e corrispondente alla sua volontà; in caso contrario se ne sarebbe già volata via.
Il frutto della riforma operata da Domenico nel mona­stero romano di San Sisto non rimarrà isolato, perché la regola di vita consacrata ivi vigente sarà proposta come norma ai conventi femminili che in seguito verranno fon­dati dai suoi figli o ad essi affidati in cura spirituale. Cominciando da Bologna, come già accennato in preceden­za, dove Diana d’Andalò potè vedere finalmente avverati i suoi sogni nel monastero di Sant’Agnese. Essa trovò nel beato Giordano di Sassonia, immediato successore di San Domenico, un eccezionale promotore di vocazioni e un incomparabile direttore d’anime. Trovò ancora in suor Cecilia e nelle altre monache romane trasferite insieme con lei dal monastero di San Sisto a quello bolognese di Santa Agnese, una luminosa incarnazione dell’ideale monastico secondo la più genuina spiritualità domenicana.
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Concludo questi sommari e incompleti cenni storici con alcune osservazioni. San Domenico, sul modello di Cristo, aprì alle donne il cuore della sua misericordia apostolica, superando pregiudizi atavici e lo stato di emarginazione in cui le aveva ricacciate la società dell’epoca. Scoprì nella consacrazione religiosa claustrale un ideale di vita cristiana rispondente all’anima femminile e un modo sublime di rag­giungere quella carità perfetta alla quale ogni battezzato è chiamato da Dio stesso. La sua profonda devozione maria­na se non la fonte fu certo un segno provvidenziale di que­sta convinzione. Perciò ogni qual volta le circostanze gli apparvero favorevoli (come a Prouille, a Madrid, a Roma e in prospettiva anche a Bologna), si adoperò con ogni energia a creare monasteri. Conoscendo poi quanta cura richiedevano quelle istituzioni perché rispondessero appie­no alla loro specifica funzione di santificare la Chiesa e sostenerne la missione evangelizzatrice — specialmente quella dei Frati Predicatori — dettò alle suore una speri­mentata regola di vita e assicurò una assistenza costante dei suoi frati.
È evidente che le monache domenicane sono parte costitutiva ed essenziale del carisma di San Domenico, del suo progetto globale, al quale appartengono potenzialmen­te fin dagli inizi anche le suore di vita attiva e i laici, che in qualche modo erano rappresentati dai tanti collaboratori e collaboratrici che il Fondatore seppe attirare alla supre­ma causa del Vangelo 9.

NOTE
HUMBERT VICAIRE, Storia di S. Domenico, Edizioni Paoline, Roma 1983; VLADIMIR J. KOUDELKA, Dominikus, Walter-Verlag, Olten und Freiburg in Breisgau 1983 — tradotto in italiano col titolo «Domenico di Caleruega», convento S. Domenico, Torino 1985; GUY BEDOUELLE, Domenico, la grazia della parola, Borla, Roma 1984.
Libellus 27. Cf P. PIETRO LIPPINI O.P., S. Domenico visto dai suoi contemporanei, Bologna 1982, p. 43s.
Libellus 29. Cf LIPPINI, S. Domenico visto cit., p. 45. VICAIRE, Storia cit., p. 251.
BEDOUELLE, Domenico cit., p. 214.
LIPPINI, S. Domenico visto cit., Appendice: La lettera di San Do­menico alle monache di Madrid, p. 351 ss.
‘ M. GIOVANNA CAMBRIA, Il monastero domenicano di S. Agnese in Bologna: storia e documenti, Bologna 1973: fondamentale.
Le «Monasterium Tempuli» et la fondation dominicaine de San Sisto, in «Archivum Fr. Praedicatorum», Roma 31 (1961), pp. 5-81.
9 ANDRÉ DUVAL O.P., Frères Précheurs: II, Les Soeurs Dominicai­nes, in «Dictionnaire d’histoire et de géographie ecclesiastique», t. XVIII, 1977, col. 1410-1421. Studio sullo stato giuridico delle Monache di S. Domenico fino ai nostri giorni e sul modo di interpretare la frase: le Monache fanno parte dell’Ordine.