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san vincenzo ferreri
di P. Gerardo Cioffari OP
Il Domenicano spagnolo che fu modello di tutti i predicatori, nacque il 23 gennaio del 1350 a Valenza da Guglielmo Ferrer e da Costanza Miguel. Il piccolo Vincenzo[1] ebbe una infanzia abbastanza serena, riuscendo bene nei primi studi, e dando già a dieci anni segni di una genialità precoce. Nonostante che negli anni seguenti confermasse mirabilmente le sue doti specialmente in campo filosofico, Vincenzo non volle perseguire il successo mondano, ma cominciò a pensare alla vita religiosa. E l’Ordine che maggiormente lo attraeva, perché idoneo alla sua tempra di comunicatore, era l’Ordine domenicano.
Entrò nell’Ordine domenicano a Valenza il 5 febbraio 1367, accolto dal priore fra Mattia dei Benincasa[2], emettendo i voti l’anno dopo. Doveva essere abbastanza precoce se, dopo aver studiato logica a Valencia e Barcellona e filosofia a Lerida, nel 1371 già insegnava logica in quest’ultima città. Qui, sotto l’influsso di P. Tommaso Carnicer, aveva assimilato le linee portanti della tradizione mistica domenicana. Continuò quindi gli studi di teologia a Barcellona, perfezionandoli a Tolosa e Parigi. Nella capitale catalana aveva approfondito la teologia biblica con particolare riferimento alla tradizione ebraica anche posteriore. E fu in questa città che ebbe luogo lo straordinario miracolo narrato da tutti i suoi biografi per la sua eccezionalità. Da un’impalcatura stava cadendo un operaio, che invocò il suo aiuto. Avendo avuto l’ordine del suo priore di astenersi da profezie e miracoli, Vincenzo lo fermò a mezz’aria, dicendogli di attendere che sarebbe andato a chiedere il permesso al priore. Ovviamente il priore glielo concesse ed egli tornò a farlo scendere sano e salvo[3].
A Tolosa andò in conseguenza dell’ordinazione del capitolo generale di Calatayud (28 settembre 1376), ed in questa città francese aveva completato la sua formazione dando al suo pensiero un’impostazione più marcatamente tomistica. Intanto nel 1374 veniva ordinato sacerdote.
Al ritorno a Valencia fu eletto priore del locale convento domenicano (1379-1380), proprio mentre infuriava lo scisma ecclesiale. Vincenzo si mantenne fedele alla linea del maestro generale fra Elia Raimondo, che si era schierato per Clemente VII. La sua scelta di campo fu dovuta anche al racconto del domenicano fra Nicola Eymerich, il quale era stato a Roma durante l’elezione di Urbano VI, ed aveva riferito dell’atmosfera tesa e violenta in cui era avvenuta, concludendo per la sua nullità.
Il cardinale Pietro de Luna lo inviò quale commissario per convincere i giurati di Valencia a schierarsi per Clemente VII. Il fallimento della missione (i giurati obbedirono al re che aveva dato disposizioni di neutralità) lo spinse a dimettersi da priore. Intanto, fu chiamato in cattedrale per insegnare teologia (fra il 1385 ed il 1390). Il che non gli impedì di accompagnare Pietro de Luna in Portogallo, di esercitare il ministero di confessore a corte e soprattutto di dedicarsi alla predicazione quaresimale a Valencia e a Segorbe.
Nel maggio 1395 si recò ad Avignone come cappellano domestico di Pietro de Luna, che l’anno prima (1394) col nome di Benedetto XIII era succeduto a Clemente VII. Quando cominciò ad avvertire qualche perplessità si ritirò dalla corte papale entrando nel convento domenicano di Avignone. Ancora più decisiva, per segnare una svolta nella sua vita, fu la visione del 3 ottobre 1398 nella quale il Cristo tra S. Domenico e S. Francesco gli assegnava la missione di evangelizzare il mondo.
Il predicatore instancabile
Nel 1403 Vincenzo scriveva al maestro generale Giovanni Puinoix una lettera interessante sotto diversi aspetti, dalla sua fedeltà all’obbedienza avignonese anche nell’Ordine alla descrizione delle sue attività apostoliche. Da essa si evince la grande forza che emanava dalla predicazione vincenziana, il suo coraggio di penetrare in territori infestati dall’eresia, i grandi frutti della sua predicazione e, infine, la sua completa fiducia in Dio. Grazie al fatto della sua totale disponibilità a che la volontà di Dio si compisse, Vincenzo univa ad un eccezionale entusiasmo una ineguagliabile serenità interiore.
Reverendissimo Padre e Maestro,
a motivo delle incredibili occupazioni che mi assorbono, io non ho ancora potuto scriverle, come è mio dovere. Da quando ho lasciato Romans fino ad oggi, dovetti predicare tutti i giorni al popolo, che accorre da ogni parte; spesso ho dovuto predicare due e perfino tre volte al giorno, oltre a celebrare e cantare solennemente la Messa. Il viaggio, il pasto ordinario, il sonno e gli altri esercizi appena appena mi lasciano un istante di tempo; bisogno perfino che io prepari le mie prediche viaggiando. Tuttavia, perché lei non attribuisca il mio silenzio a una certa negligenza o disprezzo, dopo molti giorni, molte settimane e molti mesi, rubo un momento alle mie occupazioni per informarla, almeno brevemente, del cammino che ho percorso.
Lei saprà dunque, Reverendissimo Padre, che, dopo aver lasciato Romans ed essermi da lei separato l'ultima volta, ho predicato tre mesi interi nel Delfinato, annunziando il regno di Dio nelle città e nei villaggi, dove non ero ancora andato. Ho visitato soprattutto nella diocesi d'Embrun quelle tre famose valli eretiche, di cui l'una è Lucerna, l'altra Argentiera e la terza Valpura. Le avevo già visitate due o tre volte, e, grazie a Dio, avevano accolto con molto rispetto e devozione gli insegnamenti della verità cattolica; ma ho voluto visitarle di nuovo per confermarle maggiormente nella fede. In seguito, invitato e richiesto da una folla di gente, sia a viva voce sia per iscritto, mi sono recato in Piemonte e Lombardia, dove ho predicato continuamente, durante un anno e un mese, in tutte le città, in tutti i borghi e villaggi, tanto dell’una che dell’altra obbedienza, e son pure penetrato nel Monferrato, pregato dal principe che lo governa e dai suoi sudditi.
In quelle contrade situate oltr’Alpe vi trovai molte valli piene d’eretici, di Valdesi o di catari perversi, soprattutto nella diocesi di Torino, che ho percorso. Visitai una per una queste popolazioni, ovunque predicando la fede e le verità della dottrina cattolica e combattendo gli errori: per misericordia di Dio, esse hanno ricevuto con molto fervore, con grande sentimento di pietà e di profondo rispetto, la verità della fede, aiutandomi il Signore con la sua grazia e confermando con miracoli le mie parole.
Ho notato che la causa principale degli errori e delle eresie era la mancanza di predicazione e l'ho appreso dagli stessi abitanti; da ben trent'anni nessuno aveva loro predicato, all'infuori di qualche eretico valdese, che da Apulea veniva due volte l'anno a disseminarvi la zizzania dell'errore. Da questo appare, Reverendissimo Maestro Generale, quant’è grande la colpa dei prelati e degli altri sacerdoti, che, obbligati dalla loro professione e dalle loro cariche a predicare a queste popolazioni, preferiscono starsene nelle grandi città a riposarsi in belle camere e a circondarsi di divertimenti! E così le anime, che Gesù ha voluto salvare con la sua morte, periscono miseramente per colpa dei sacerdoti. Ahi! «Non c'è nessuno che spezzi il pane a questi pargoli»; «la messe è abbondante, ma gli operai sono pochi: io scongiuro quindi il Padrone della messe, che mandi nel suo campo numerosi operai».
Nulla qui io le dirò di quel vescovo degli eretici, che ho incontrato in una valle chiamata Loferio e che si è convertito, dopo aver avuto con me un incontro; delle scuole dei Valdesi che ho trovato nella vallata d'Angrogna e che furono chiuse; dei Catari di Val del Ponte e del modo con cui rinunciarono al loro abominii; degli eretici di Val di Lanzo, dove un tempo si sono rifugiati gli assassini del beato Pietro di Ruffia martire, e della condotta che essi tennero verso di me; e neppure accennerò alla cessazione delle discordie, alla riconciliazione tra Guelfi e Ghibellini, alla confederazione generale di questi partiti e alle altre opere senza numero, che Dio s’è degnato operare per sua gloria e a bene delle anime. Mi contento che Dio sia benedetto in ogni cosa!
Dopo essermi trattenuto tredici interi mesi nella Lombardia, sono entrato, cinque mesi or sono, nella Savoia. Chiamato a più riprese e con molto affetto dal prelati e signori di questo paese, visitai le quattro diocesi di Aosta, di Tarantasia, di S. Giovanni di Moriana e di Grenoble, che ha una gran parte del suo territorio nella Savoia. Durante tutto questo giro nelle città, borghi e villaggi, dove mi son fermato più o meno a lungo, ho predicato secondo che giudicavo necessario.
Al presente mi trovo nella diocesi di Ginevra. Tra altre enormità ho trovato in questo paese un errore molto diffuso; all'indomani della festa del Santissimo Sacramento, vi si celebra ogni anno solennemente la festa dell'Oriente, e vi sono istituite delle confraternite sotto il nome di S. Oriente. I nostri frati, i Frati Minori, altri religiosi e perfino i curati mi han detto, che essi non osano più né predicare, né dire nulla contro quest'errore, tanto ne sono spaventati con minacce di morte e con la privazione delle offerte e delle elemosine. Io ho predicato tutti i giorni, insistendo principalmente contro quest'errore, e, con l'aiuto di Dio che ha confermato la mia predicazione, l'errore è stato efficacemente estirpato. Sentendo quanto errassero nella loro fede, questi popoli ne furono presi da grande dolore.
Ora che quest'illusione è stata, per grazia di Dio, prontamente e completamente sradicata, io debbo entrare nella diocesi di Losanna, dove le popolazioni osservavano ancora ciò che è stato recentemente abolito presso i loro vicini: là comunemente e manifestamente si adora il sole come Dio, soprattutto i paesani gli rendono culto e gli rivolgono devotamente le loro preghiere ogni mattino. Il Vescovo di Losanna ha fatto due o tre giornate di cammino per venire da me, e umilmente e di tutto cuore mi ha pregato di visitare la sua diocesi, in cui vi sono molte città eretiche, sparse sulla frontiera di Germania e di Savoia: e io glielo promisi. Ho saputo anche che gli eretici di queste vallate sono molto temerari e audaci; ma, confidando in Dio e nella sua consueta misericordia, io mi propongo di trovarmi in mezzo a loro al principio della quaresima e, qualunque sia la volontà di Dio, desidero che si compia.
Il mio compagno Antonio e io, Reverendissimo padre, ci raccomandiamo umilmente alle sue preghiere. Che il figlio della Vergine la conservi lungamente per il buon esempio e il mantenimento della santa regolare osservanza. Così sia.
Finito di scrivere nella città di Ginevra, il 17 dicembre 1403. L'umile servo di Cristo e suo umile figlio Fra Vincenzo, predicatore[4].
Il periodo che va tra il 1399 ed il 1412 è contrassegnato da intensa predicazione per tutta l’Europa occidentale. Tra le Valli delle Alpi, la Savoia ed il Piemonte predicò avendo di mira anche gli eretici (catari e valdesi). Dalla Svizzera rientrò in Francia, seguito da una marea di “disciplinanti” o “flagellanti”, il che già di per sé rende bene l’idea di come la sua predicazione fosse trascinante. Con eccezionale mobilità passava dalla Liguria alla Lombardia, dalla Francia al Belgio e nuovamente all’Andalusia[5]. In uno dei suoi passaggi da Valencia fu tra i fondatori dell’università della città nonché di un collegio per orfanelli.
Egli predicava che la fine del mondo era prossima e che l’anticristo stava per nascere se non era già nato. Onde lo spettacolo dei flagellanti che creavano un’atmosfera carica di elettricità in ogni città dove arrivava. Uno spettacolo ed una predicazione già criticati da Eymerich (che lo aveva chiamato girovago e stravagante) che preoccupò anche il papa Benedetto XIII, che gli chiese delle spiegazioni, e che forse l’avrebbe richiamato se non fosse stato lil suo principale strumento pubblicitario. In ogni caso al tema escatologico seguiva sempre una vita di penitenza e una riforma dei costumi[6].
Ovviamente un tema così ricorrente non poteva non creare forti analogie fra una predica in una città e quella in un’altra. Vincenzo si limitava ad adattare alcuni temi di fondo alle situazioni locali, sia in rapporto al tempo che al luogo, oltre che al carattere delle persone. Un suo recente studioso ha supposto che portasse con sé un volumetto di appunti schematici. Come esempio di questo continuo adattamento porta le prediche sulla predestinazione tenute a Valencia il 23 luglio 1410, Tortoso il 4 luglio 1413 e Saragossa forse nel 1412 sul tema: Si quis vadit ad Sanctum Mattheum sunt due vie: una montayona et aspera, sed est secura. Est alia via plana et deliziosa, sed est periculum latronum. Un confronto fra i tre testi rivela un canovaccio comune[7]. Né è da escludere che portasse con sé appunti e prontuari di concordanze bibliche del tipo di quelli che solitamente portavano i predicatori.
Come esempio dell’impatto straordinario della sua predicazione si possono portare documenti relativi alla regione fra Ginevra Friburgo e Berna. Egli era stato a Ginevra nel 1403, come si è visto dalla sua lettera al maestro generale. Nel corso di un processo dell’anno successivo contro ladri di stoffe veniva menzionata la predicazione di S. Vincenzo: Sermones laudabiliter pronunciabantur per fratrem Vincencium, ad quem clerus et populus ex devozione miro modo undique affluebant[8]. Per Friburgo si ha anche una testimonianza dei contenuti della predicazione contro l’usura. Parlando infatti dei coniugi Petermann di Beverschiet e Margherita è detto che questi avevano praticato l’usura ante adventum venerabilis viri fra tris Vincentii, boni predicatoris[9]. Ugualmente in un processo a Friburgo contro una valdese nel 1430 veniva ricordato che questa era entrata tra quegli eretici modicum antequam frater Vincencius predicasset in hac villa[10].
Visita all’Arca di S. Domenico a Bologna.
Alcuni scrittori, come il Gorce, il Bertucci e il Tomarelli, delineano la figura di Vincenzo mettendo in risalto i tentativi di fare dimettere l’antipapa Benedetto XIII. E difatti Vincenzo soffriva molto per la divisione della Chiesa. E’ tuttavia esagerato vedere in lui un pentimento per la scelta fatta. Vincenzo era davvero convinto della legittimità di Benedetto XIII, solo che, a differenza di Caterina che vedeva la pace della Chiesa unicamente nel riconoscimento del papa di Roma, Vincenzo la vedeva nelle dimissioni di entrambi. Per Caterina il papato aveva un valore ecclesiale in sé, per Vincenzo veniva prima l’unità della Chiesa che non la legittimità giuridica, e comunque prima di ogni cosa la predicazione della parola di Dio.
Che Vincenzo non avesse ripensamenti sulla legittimità del papa avignonese è dimostrato dall’episodio della sua visita a Bologna, la città dove i frati avevano eletto maestro generale Raimondo da Capua, difensore del papa romano. Vincenzo sapeva benissimo di entrare in una città decisamente ostile, anche perché egli aveva ricoperto la carica di maestro del Sacro Palazzo ad Avignone e la sua fama era grande anche in Italia, dove tornava per la terza volta.
Ad evitare di essere riconosciuto entrò per la porta Galliera, ma non gli riuscì di passare inosservato, e se molti lo guardavano con curiosità altri non mancarono di offenderlo e minacciarlo. A riconciliargli gli animi ci pensò il cavaliere Lamberto Canetoli, il quale fece notare che per Vincenzo veniva comunque al primo posto la salvezza delle anime. Allora il popolo bolognese si riunì davanti alla chiesa di S. Francesco a Porta Stiera, e Vincenzo predicò sul salmo: Splenda il chiarore della tua faccia sul tuo servo, Signore. Né si astenne dall’accennare al male della divisione nella Chiesa, profetizzandone però la prossima fine. La parola infuocata conquistò gli animi degli ascoltatori, i quali vollero accompagnarlo in S. Domenico, dove egli rese omaggio e pregò presso l’arca del santo patriarca.
A Bologna si fermò quindici giorni, predicando e compiendo segni straordinari (ferma l’epidemia di tosse, i suoi ascoltatori non si bagnano durante una predica sotto la pioggia). Espresse l’auspicio che la fabbrica della chiesa di S. Petronio continuasse con sollecitudine. Il che fu successivamente ricordato dai Bolognesi, che nella cappella della famiglia Griffoni incisero un’epigrafe con le sue parole. Né la cosa deve sorprendere, se si pensa che Vincenzo, come al solito, si intromise nelle questioni cittadine allo scopo di mettere pace tra le fazioni. E sembra che anche a Bologna le sue iniziative in tal senso fossero coronate da successo.
Fine dello scisma, e morte del Santo.
L’eccezionale impegno profuso nella predicazione in mezza europa non fece dimenticare a fra Vincenzo il drammatico periodo che la Chiesa stava attraversando per la lacerazione della sua unità. E benché fosse convinto di essere schierato dalla parte giusta, dentro di lui si faceva sempre più largo la convinzione che fosse da preferire comunque una ricomposizione dell’unità. Ecco perché al concilio di Perpignano (1.XI.1408) consigliò a Benedetto XIII di rinunciare al suo pontificato affinché fosse facilitata la via per l’unità della Chiesa.
Nel 1412 dovette tornare in Spagna ed intervenire nella questione della successione al re Martino. Egli fu tra i saggi più ascoltati al riguardo della scelta del candidato più idoneo. Appoggiando la salita al trono d’Aragona di Ferdinando, già erede al trono di Castiglia, egli aveva in mente l’unificazione della nazione spagnola.
Nel 1413 era a predicare nelle Baleari, ma già l’anno dopo riprendeva il discorso della ricomposizione dell’unità della Chiesa. Sostenendo in questo la politica di re Ferdinando I, tentò nuovamente di convincere Benedetto XIII a dimettersi, ma anche questo tentativo ebbe esito negativo. Il 7 novembre 1415 faceva il suo appello addirittura da un pulpito, quello di Perpignano, nonostante che il medico gli avesse dato poche settimane di vita. Col tono del profeta Ezechiele cominciava la predica con le parole: Ossa arida, audite verbum Dei, quindi con calde esortazioni a rinunzie e sacrifici richiamava i contendenti verso il bene della Chiesa. L’insuccesso di questo ennesimo tentativo lo spinse ad un passo doloroso. Il 6 gennaio 1416 leggeva l’atto di sottrazione di obbedienza a Benedetto XIII[11], stilato da Ferdinando I.
Le congratulazioni del Gerson non lo portarono a Costanza dove era stato invitato dai padri conciliari, ma tornò a predicare in Catalogna ed in Francia. I Padri di Costanza ormai guardavano a lui come ad un profeta. E prima inviarono a lui dei messi a Digione per chiedergli un parere, poi un altro a Tours per comunicargli la ricomposizione dell’unità della Chiesa grazie all’elezione di Martino V (11 novembre 1417). Ma ormai Vincenzo si era totalmente immerso nella predicazione itinerante, dedicandosi alla riforma dei costumi, la lotta all’eresia e a missioni diplomatiche per ricomporre la pace fra nazioni in guerra. Continuò per tutto il 1417 a predicare in Francia, e l’anno seguente volle incontrare personalmente i protagonisti della Guerra dei Cent’anni, andando persino a Caen per parlare col re d’Inghilterra.[12] Aveva cominciato nel 1419 a predicare la quaresima a Vannes, ma la morte lo colse il 5 aprile.
Grande fu la popolarità del Santo sin dalla sua sepoltura, quando già si parlò di miracoli e prodigi. Beatificato il 29 giugno 1455 da Callisto III, fu canonizzato da Pio II il 1 ottobre 1458. Iconograficamente è ritratto con l’abito domenicano, ali angeliche (in una predica infatti si era autodefinito angelo dell’apocalisse) ed una fiamma sulla fronte. Talvolta c’è anche la scritta: Timete Dominum et date Illi honorem, quia venit hora iudicii eius, scritta che ricorda il tema dominante della sua predicazione, l’annuncio della fine del mondo e del prossimo giudizio universale.
Le opere e la dottrina
Nonostante la sua propensione alla parola viva, Vincenzo lasciò anche alcuni scritti di notevole importanza. Schemi e sintesi del suo insegnamento filosofico sono il De suppositionibus terminorum (noto anche come Trattato delle supposizioni dialettiche) ed il De unitate universalis (Sull’unità dell’universale), laddove la prima rivela la sua sensibilità verso le istanze del nominalismo di Occam (che aveva fatto adepti anche fra i pensatori domenicani), la seconda verso la metafisica di S. Tommaso. Quasi nulla ci è pervenuto della sua polemica con l’inquisitore domenicano Nicola Eymerich, che lo criticava per la sua dottrina della presenza trinitaria (e non solo del Cristo) nell’eucarestia. Mentre ci è pervenuto l’interessante il Tractatus de moderno Ecclesiae Schismate, in cui partendo dalla relazione fattagli proprio da Nicola Eymerich (che insisteva sull’atmosfera di pressioni e minacce da parte del popolo romano), concludeva per la legittimità del papa avignonese. Il suo convincimento era talmente solido, da fargli qualificare di sedotti dal demonio e di eretici coloro che aderivano al papa romano.
Per la comprensione dei rapporti interreligiosi del tempo importante è il Tractatus novus et valde compendiosus contra perfidiam iudaeorum. Come si vede, se Vincenzo non giunge ad un linguaggio così violento come quello di Caterina a proposito dei Saraceni (cani infedeli), poco ci manca. D’altra parte sarebbe stato difficile essere tolleranti verso gli ebrei in una nazione che stava cercando la via dell’unità, mentre gli ebrei formavano solitamente un corpo estraneo.
Scrisse anche un Tractatus consolatorius in tentationibus circa fidem, e ci sono pervenuti un gran numero di sermoni, dei quali è difficile un’edizione critica essendo stati occasionalmente trascritti dai suoi ascoltatori. Ma l’opera più importante, che ebbe una straordinaria diffusione, è il Tractatus de vita spirutuali, edito come tutti gli altri scritti da H. D. Fages nel 1909[13].
Da maestro di logica, Vincenzo premette che non intende fare citazioni dotte né dimostrare le sue affermazioni, perché non intende rivolgersi agli intellettuali, ma a persone che umilmente vogliono crescere nella perfezione spirituale. La prima parte[14] concerne i fondamenti della vita spirituale che Vincenzo identifica nella povertà volontaria, nell’amore del silenzio e nella purezza del cuore. Il parametro della povertà è di possedere solo ciò che è necessario. Di conseguenza anche per quanto riguarda i libri (che non sono una necessità) bisogna accontentarsi di quelli che la comunità ti presta. Anche riguardo al silenzio il parametro è di parlarte solo in caso di necessità, vale a dire solo quando è richiesto dall’amore del prossimo e dall’obbedienza. La purezza del cuore deve tendere a liberare il cuore non solo da pensieri carnali ma anche da tutte quelle preoccupazioni che impediscono a Dio di venire ad abitare in noi con la sua pace. Per raggiungere questo scopo è bene rinunciare alla propria volontà per fare quella degli altri, ove quest’ultima sia lecita ed onesta. Né bisogna contristarsi di malattie ed avversità, visto che Dio sa bene ciò che è utile alla nostra salvezza, ma l’unica cosa che deve poterci affliggere è il peccato. In tutto la guida maestra dev’essere l’umiltà, perché solo tramite questa virtù si dà il giusto valore alle cose e non si è distratti dalle vanità. Comprendendo allora ciò che veramente è importante per noi, si contemplano le cose di lassù e si entra in comunione con Dio.
La seconda parte tratta della vita spirituale da un punto di vista pratico, cominciando dal padre spirituale. Secondo Vincenzo chi si lascia guidare alla perfezione da un padre spirituale ha molte più possibilità di progredire che non colui che vuole camminare da solo. Il che sta anche a significare che una delle virtù fondamentali è l’obbedienza, che si manifesta nell’osservanza della Regola e delle Costituzioni, oltre che ovviamente nell’obbedienza ai superiori. Bisogna poi essere molto attenti a mortificare la gola, per la qual cosa Vincenzo offre numerosi consigli pratici, come ad esempio: Se un alimento è insipido per difetto di sale o per altra causa, non aggiungervi né sale né condimento, in memoria di Gesù cui furono dati da bere fiele e aceto. Resisti alla tua golosità. Pratici sono anche i consigli relativi alla mortificazione del sonno: Un servo di Dio deve fuggire ogni mollezza nel letto, senza però oltrepassare i limiti della discrezione. Abbi un pagliericcio, tanto più gradito quanto più sarà duro… Il tuo cuscino sia un sacco pieno di paglia. Lo studio non dev’essere fine a sé stesso: Durante lo studio fermati frequentemente. Per un istante raccogliti e medita sulle piaghe di Gesù. Poi riprendi lo studio. Di quando in quando inginocchiati e rivolgi al cielo una breve ed ardente preghiera. Analoghi consigli pratici Vincenzo dà sul contegno da tenere durante la preghiera[15] e specialmente la preghiera corale, per poi concludere con consigli relativi all’esercizio del ministero pastorale ed apostolico.
Nella terza ed ultima parte Vincenzo si sofferma sui motivi per tendere alla perfezione, elencandone ben 14 (il quattordicesimo è costituito dal timore per le pene dell’inferno). Quindi dopo aver riassunto i punti principali della prima parte, sintetizza in quindici “perfezioni” le condizioni per una ascesa per la scala della perfezione. Ciò che colpisce è la semplicità e la concretezza dei consigli in campi solitamente trattati con sottigliezza di linguaggio. Anche Vincenzo conclude con la famosa distinzione in vita purgativa, in Vita illuminativa ed in Vita unitiva. Anche i consigli hanno un crescendo, fino al grazie incessante e alla glorificazione continua di Dio, per poi concludere: Dopo aver fatto tutto ciò, confessare dal fondo del cuore: “Mio Dio e mio Signore, Cristo Gesù, io non sono nulla, non posso nulla, non valgo nulla, vi servo male e sono un servo inutile.
[1] E’ tra i santi domenicani più popolari. Vedi Ubaldo Tomarelli, San Vincenzo Ferreri, apostolo e taumaturgo, 2ª ed., Studio Domenicano di Bologna; Icilio Felici, Un Messaggero di Dio. San Vincenzo Ferreri, Firenze 1954; Eliseo Battaglia, Un grande apostolo. San Vincenzo Ferreri, Firenze 1919; Père H. Fages, Histoire de St. Vincent Ferrier, I-II (1892 e 1894) Paris 1901; Antonio Teoli, Storia della vita e del culto di S. Vincenzo Ferrerio, Roma 1826; Fr. José M. de Garganta e Fr. Vincente Forcata, Biografia y escritos de san Vicente Ferrer, Madrid 1956; Sadoc M. Bertucci, San Vincenzo Ferreri, voce in Biblioteca Sanctorum, XII, Roma 1969, col. 1175-1176; Mathieu Max. Gorce, Les bases de l’etude historique de Saint Vincent Ferrier, Paris 1925; ID., Saint Vincent Ferrier (1350-1419), Paris 1924 .
[2] Battaglia, Un grande apostolo, cit., p. 35-36.
[3] Ivi, p. 49.
[4] Testo in H. D. Fages, Notes et documents de l’histoire de Saint Vincent Ferrier, Louvain-Paris, pp. 109-111; anche in Ubaldo Tomarelli, S. Vincenzo Ferreri, apostolo e taumaturgo, ESD, Bologna 1990, pp. 95-98]
[5] Secondo M. M. Gorce, Saint Vincent Ferrier, DTC, s.v., col. 3033-3045, I viaggi in Veneto, Italia merdionale, Fiandre, Paesi Bassi, Inghilterra e Germania non sono che amplificazioni agiografiche (col. 3036).
[6] Ovviamente, come per ogni predicatore medievale, anche per le prediche di S. Vincenzo Ferreri esiste un problema critico. Per l’edizione delle prediche vedi Sermons, ed. J. Sanchis Sivera (voll. I-II), e G. Schib (voll. III-VI), Barcelona 1932-1988. Hanno studiato lo stile oratorio Sigismund Brettle nel suo lavoro San Vicente Ferrer und sein literarischer Nachlass, Münster 1924 e Don Sanchis Sivera nel suo Quaresima de Sant Vicent Ferrer predicada a Valencia l’any 1413, Institucio Patxot, Barcelona 1927 e recentemente P. M. Càtedra Garcìa, Sermon, sociedad y literatura en la Edad Media: San Vicente Ferrer en Castilla (1411-1412), Salamanca 1994 e Lluìs Cabré-Xavier Renedo, Et postea aplicetur thema: Format in the preaching of St Vincent Ferrer O.P., in AFP LXVI (1996), pp. 245-256. Lo straordinario numero di edizioni, sia come incunaboli che come cinquecentine, sono una testimonianza del grandissimo successo popolare.
[7] Cfr. Cabré-Renedo, Et postea, pp. 246-247. Le tre prediche sono edite in F. Mateu y Llopis, Sobre la traditio de los sermones de San Vicente Ferrer: el de Valencia de 1410 acerca de la predestinaciòn, in Boletìn de la Sociedad Castellonense de Cultura, 35 (1959), pp. 139-155.
[8] Archivio di Stato di Ginevra, P.C., Iª serie, 7, f. 1v, citato da Bernard Hodel, Saint Vincent Ferrier à Aubonne? Les predicateurs d’après un registre de comptes de la ville (1408-1448), in AFP LXIX (1999, pp. 181-198), p. 186.
[9] Cfr. Kathrin Utz Tremp, Ein Dominikaner im Franziskanerkonvent. Der Wanderprediger Vincenz Ferrer und die Freiburger Waldenser (1404). Zu Codex 62 der Franziskanerbibliothek, in „Zur geistigen Welt der Franziskaner im 14. und 15. Jahrhundert. Die Bibliothek des Franziskanerklosters in Freiburg/Schweiz. Akten der Tagung des Mediävistischen Instituts der Universitäts Freiburg vom Oktober 1993“, ed. Ruedi Imbach ed Ernst Tremp, Fribourg 1995, p., 108.
[10] Cfr. Utz Tremp, Ein Dominikaner, cit., p. 103.
[11] Battaglia, cit., p. 225; Gorce, Saint Vincent Ferrier, col. 3039-3040. Quest’ultimo autore è molto preoccupato nel salvaguardare l’ortodossia di S. Vincenzo nella dottrina sul papato, nel senso della superiorità di questo nei confronti dei vescovi e del concilio.
[12] B. Jacqueline, Trois scènes de la vie de Saint Vincent Ferrier dans un vitrail de Notre Dame de Saint Lô (XV siècle), in AFP XLIX (1979), pp. 133-144.
[13] H. D. Fages, Oeuvres de Saint Vincent Ferrer, Paris 1909. La prima edizione è quella di Magdeburgo 1493, seguita da quella di Valenza 1591, Paris 1909, Valenza 1956 e Bologna 1990 (a cura di Ubaldo Tomarelli).
[14] Secondo il Gorce, Saint Vincent Ferrier, col. 3042, questa prima parte dipenderebbe notevolmente dal beato Venturino da Bergamo.
[15] Il Gorce, Saint Vincent Ferrier, col. 3042, sottolinea il fatto che alcuni consigli relativi alla preghiera fanno di Vincenzo un promotore del rosario, anche se questo non era ancora codificato.
Ordine dei Predicatori
Provincia San Tommaso d'Aquino in Italia
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