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san raimondo da penafort
di Sr. M. Carla Bertaina
Raimondo vide la luce nel castello feudale appartenente alla stirpe dei Peñafort, nobile casato imparentato strettamente con i Conti di Barcellona, in Catalogna, regione nord-orientale della Spagna. Questa fortezza sorgeva isolata su una montagna accessibile da un solo lato ed offriva difesa sicura contro assalti improvvisi da parte di sempre possibili nemici. A dire il vero, i Peñafort non amavano la guerra e presero le armi solo quando il loro sovrano sembrava aver perso ogni speranza: “combattevano perché gli altri potessero vivere meglio”.
La posizione del castello permetteva un ampio sguardo panoramico sugli aspri picchi di Monserrat, il Carmelo di Spagna, dai quali la mente poteva essere portata a meditare sul tenero amore della Beata Vergine Maria per quella terra. Questo ambiente naturale lasciò certamente la sua impronta nell’animo del nostro santo che qui visse la sua fanciullezza ed adolescenza e lo indirizzò alla conquista tenace e silenziosa delle vette dello spirito.
La precisa scelta di far conoscere di sé il meno possibile lo indusse a nascondere ogni documento circa la sua nascita, per cui sulla base delle cronache contemporanee che attestano la sua morte intorno ai cento anni, si può concludere che nacque non prima del 1175.
Visse, quindi, i primi decenni della sua vita nello stesso periodo del castigliano Domenico di Gusman e potè assistere al rigoglioso sviluppo dell’Ordine da lui fondato, entrando a farvi parte poco dopo la sua morte e contribuendo, negli anni in cui fu suo secondo successore, a consolidarne la crescita istituzionale con una nuova redazione delle Costituzioni.
Raimondo frequentò la scuola presso la Cattedrale di S. Croce a Barcellona con altri giovani che provenivano da differenti ceti sociali, crebbe sotto gli occhi dei vecchi canonici imparando tutti i segreti del Trivium e del Quadrivium, completando così i primi rudimenti di scienza impartiti dal cappellano nella casa paterna e suscitando ammirazione e grandi speranze nei suoi insegnanti che lo vedevano fornito di eccellenti doti naturali e di una prodigiosa capacità di apprendimento.
Compiuti i vent’anni, su invito del Vescovo, Raimondo aprì una scuola per conto suo nei chiostri della Cattedrale come insegnante di Logica e di Retorica e contrariamente agli altri professori, egli rifiutò ogni rimunerazione da parte degli allievi. Quando il suo prestigio si era ormai affermato il giovane insegnante decise di lasciare Barcellona per seguire una sua attrattiva irresistibile: lo studio del Diritto Canonico che affondava le sue radici nella scienza teologica , basata sulla Rivelazione nella sua triplice origine: Sacra Scrittura, Tradizione e Magistero della Chiesa. In questi studi, all’epoca, solo Bologna poteva offrire il meglio: era la più famosa scuola di Diritto Civile ed Ecclesiastico che esistesse!
Nell’estate del 1210 il nobile catalano s’incamminò a piedi per l’Italia in compagnia del canonico Piero il Rosso, seguendo l’antica strada romana che raggiungeva Bologna valicando le Alpi e passando da Torino. A Briançon, sui fianchi del Monginevro, interruppero brevemente il viaggio per fare tappa al santuario “Nostra Signora di Delbeza” e constatare di persona la miracolosa guarigione di un giovane. Sessant’anni più tardi Raimondo tornò su questo fatto, dichiarandosi convinto dell’avvenuta intercessione della Madonna.
A Bologna Raimondo trovò un mondo cosmopolita, dove gli studenti avevano maniere disinvolte e libere ed un sistema di “auto-gestione” democratico. Quella “repubblica degli studi” con la sua vita gaia e turbolenta non lo dissipò perché, secondo il suo stile, egli viveva piuttosto appartato e passava il tempo libero in chiesa, ma sicuramente allargò le sue vedute di spagnolo tendenzialmente conservatore se giunse a dedicare il suo volume sul Diritto Canonico “Summa Juris” come “un affettuoso pegno d’addio verso quegli amici le cui vicissitudini e il cui amore ardente mi legheranno per sempre con catene d’oro”.
In quei dieci anni trascorsi in terra emiliana Raimondo si arricchì di una preparazione non comune in campo giuridico: qui, si può dire, nacque come giurista e nel contempo acquisì un enorme tesoro di vita spirituale e culturale. Qui conobbe i Frati Predicatori inviati dall’intraprendente fondatore nell’Università bolognese, fu testimone dell’influsso efficace e contagioso che esercitavano su professori e studenti le ardenti prediche di Fra Reginaldo d’Orléans e si confermò sempre più nel suo proposito di utilizzare il sapere e l’istruzione per diffondere la buona novella del Vangelo: salvare le anime con la predicazione.
Intanto, ottenuto il Dottorato con la licenza ad insegnare dovunque, aprì una scuola nell’ambito dell’Università e, come aveva fatto a Barcellona, rifiutò il compenso dagli studenti sia per non danneggiare quelli poveri, sia per contrastare l’avidità e lo sperpero di alcuni professori. Le sue lezioni furono subito molto frequentate anche da nobili e letterati, attirati dalla sua signorilità e dalla solidità delle sue argomentazioni. I cittadini di Bologna, per paura di perderlo, vollero corrispondergli un sussidio annuale prelevandolo dalla Cassa Municipale ed egli versò a Dio e al suo parroco la maggior parte dei suoi guadagni. Ma suo malgrado non potè restare a lungo a Bologna: il Vescovo di Barcellona, Berengario IV di Palos, conosciuta la sua fama di professore insigne per dottrina e per santità, lo convinse a tornare in patria dove avrebbe insegnato in una scuola per l’istruzione del clero.
Berengario, insieme con lui, si incontrò con S. Domenico a Viterbo presso il Papa Onorio III ed ottenne che alcuni frati predicatori li accompagnassero per fondare un convento nella sua città. Procurò loro l’alloggio e pane e vino a sufficienza, regalò al convento una Bibbia miniata ed una glossata, seguì da vicino la nascente comunità.
Raimondo, divenuto canonico della Cattedrale, divideva il suo tempo tra la preghiera e il lavoro nella cancelleria vescovile e coltivava in cuore l’intenso desiderio di condividere la vita dei frati predicatori nel convento appena sorto e dedicato a S. Caterina d’Alessandria. Così il Venerdì Santo del 1222 entrò nell’Ordine trascinando con sé altri notabili ecclesiastici.
Non era più giovanissimo, ma si conformò fedelmente alla nuova regola di vita e, per non mancare al Mattutino notturno, fece il patto con il suo angelo custode perché lo svegliasse con buon anticipo. In coro compiva perfettamente i suoi doveri, si inchinava profondamente al momento opportuno ed evitava ogni genere di distrazione.Tornato in cella, leggeva e meditava a lungo qualche frase della Sacra Scrittura e poi si concedeva un breve sonno. Quotidianamente celebrava il S. Sacrificio e poi si dedicava alla compilazione dei suoi libri e alla soluzione dei problemi su cui veniva consultato. Il tempo che gli rimaneva lo dedicava allo studio sistematico della Sacra Scrittura.
Per tutta la vita serbò l’uso di consumare un solo pasto al giorno, eccetto la domenica in cui prendeva due refezioni e beveva un po’ di vino in onore della Resurrezione di Gesù.
Era un uomo dall’animo sereno e pacato, sapeva praticare la correzione fraterna con grande benevolenza, si lasciava commuovere dalle necessità del prossimo e con la sua preghiera fervida, alimentata da fede profonda, otteneva guarigioni miracolose dalle infermità fisiche e liberazione dalle tentazioni spirituali.
In quegli anni la Spagna lottava contro i Mori per togliere loro gli ultimi territori che occupavano e affrancare gli schiavi cristiani che avevano catturato. Tra i penitenti di fra Raimondo c’era un giovane, Pietro Nolasco, proveniente dalla Francia, che aveva speso il suo ricco patrimonio per liberare un cospicuo numero di schiavi cristiani ed ora cercava il modo per continuare ad aiutarli. A lui si era unito un gruppo di compagni col medesimo intento. Fra Raimondo, partecipe della medesima compassione per quegli schiavi che erano spesso tentati di rinnegare la fede cristiana per evitare le torture, cercava anche lui il mezzo conveniente per soccorrerli.
Fu la Beata Vergine, come dice la Bolla di Canonizzazione, a indicare la strada apparendo nella stessa notte a lui, a Pietro Nolasco e al re Giacomo I, che le aveva fatto voto di proteggere le opere di carità in cambio della liberazione dalla prigionia, come di fatto era avvenuto. Il 10 agosto 1223 fu così fondato l’Ordine di Nostra Signora della Mercede , che ebbe in fra Raimondo un protettore costante e ricevette per suo mezzo delle norme estratte in parte dalle Costituzioni dei Frati Predicatori, nonché un abito religioso identico, con l’aggiunta dello stemma del re d’Aragona sul pettorale. I Mercedari lo venerarono sempre come un fondatore.
Da questi avvenimenti lo zelo del nostro santo si riempì del desiderio di convertire gli stessi seguaci di Maometto, ma intanto dovette mettersi a servizio del Legato Pontificio giunto in Spagna per restaurare la disciplina ecclesiastica secondo la riforma del IV Concilio Lateranense, per predicare una crociata contro i Mori e per risolvere la questione delle nozze del re, avvenute per motivi politici quando lo stesso aveva 13 anni ed essendo la sposa sua stretta parente. Fra Raimondo lo aiutò mirabilmente in tutti e tre gli scopi, sobbarcandosi ad incredibili fatiche di viaggi, di predicazione continua, di opera capillare per giungere al rinnovamento spirituale delle diocesi, e mettendo a servizio di tutti la sua scienza e la sua esperienza di giurista canonico. A questo periodo risale l’inizio della sua opera “Summa Casuum” che veniva incontro alle esigenze pastorali dei sacerdoti in materia di confessione perché affrontava i vari casi di coscienza in modo sicuro ed ampio. Scritto “per amore di santa obbedienza”, questo compendio fu presto denominato “Summa Raymundi” ed ebbe un’enorme influenza in questo ramo della scienza ecclesiastica anche nei secoli successivi: alcune sue definizioni chiare, concise ed esaurienti sono ancora in uso presso gli atenei odierni.
Frattanto il Papa Gregorio IX, informato dal Legato Apostolico della santità, della dottrina e della esperienza di un tale frate, richiese la sua presenza nella Curia Pontificia, nominandolo Cappellano e Penitenziere Apostolico, e scegliendolo come suo confessore.
Nel 1230 Fra Raimondo tornò, perciò, in Italia e certamente sentì tutto il peso della sua responsabilità nel dirigere la coscienza del Papa mantenendosi libero da ogni condizionamento.
Si racconta di una penitenza che era solito imporre al suo illustre penitente:ascoltare le suppliche dei poveri con prontezza e decisione e non farli troppo aspettare favorendo prima gli “altolocati”.
E naturalmente Gregorio IX incaricò il suo confessore di essere il primo a praticarla nel ruolo che ricopriva! In effetti il beato Umberto de Romans, suo contemporaneo, dichiara che fra Raimondo assolveva il compito di Expeditor petitionum pauperum, una specie di Elemosiniere Apostolico.
Come Penitenziere, poi, veniva incontro ai poveri peccatori le cui colpe richiedevano l’intervento della Santa Sede per ottenere la remissione; inoltre doveva rispondere a quanti, re o Vescovi, domandavano un consiglio o un suo diretto appoggio presso il Papa. Era un lavoro pesante, ma riservato, adatto al suo carattere schivo di ogni apparenza.
Appena giunto, Gregorio IX gli aveva chiesto un’altra opera di non facile attuazione: compilare il “Libro delle Decretali”, cioè una raccolta completa della legislazione della Chiesa, conforme ai testi autentici e già approvati. Si trattava di passare in rassegna mille anni di storia per creare un codice di Diritto Canonico sistematico e razionale che facilitasse l’amministrazione della giustizia ecclesiastica. Fra Raimondo portò a compimento tale lavoro in quattro anni e il Papa riconobbe ufficialmente come unica raccolta autorizzata di Diritto Ecclesiastico “quel volume fatto compilare per uso universale dal nostro amato figlio fra Raimondo”.
Durante la sua permanenza presso la Curia pontificia egli dovette pronunciarsi anche su problemi assai spinosi, come quello dei rapporti umani e commerciali tra cristiani e musulmani e quello della lotta contro gli eretici, che lo portò ad introdurre l’Inquisizione in Spagna, a dare i suoi suggerimenti per la compilazione di un Directorium , il libro di consultazione per gli Inquisitori, e a fornire chiare istruzioni in merito ai Vescovi che ne facevano richiesta.
Dopo cinque anni di lavoro indefesso, gli fu offerta dal Papa la cattedra episcopale di Tarragona, quasi come un riconoscimento dell’alta stima in cui era tenuto. Fra Raimondo questa volta non accettò: non intendeva rinunziare alla sua vita da frate. Essendosi, anzi, ammalato di forti febbri, fu consigliato dai medici a tornare nella sua terra natia per riprendere le forze; lasciò Roma nel 1236 da povero religioso sconosciuto ai più, mentre i potenti d’Europa perdevano un amico prezioso.
Appena sbarcato in terra spagnola, in modo miracoloso raccolse l’ultima confessione di un pescatore morente, allontanando momentaneamente le numerose persone che tentavano di soccorrerlo: la sua opera di Penitenziere non era finita!
Nel suo convento, poi, dovette mettersi a disposizione di quanti cercavano il suo consiglio e la sua assoluzione: poveri e ricchi, re e nobili accorrevano fiduciosi a lui.
A strapparlo dalla sua cella gli giunse inaspettata l’elezione a Maestro Generale dell’Ordine; dopo la tragica morte di Giordano di Sassonia i frati riuniti a Bologna per la Pentecoste del 1238 lo avevano scelto come suo successore.
Presto si accorsero che quell’uomo ormai sessantenne era di poche parole e di molti fatti; si mostrò molto vigilante dell’integrità della Regola e non indugiava nel punirne le trasgressioni, istituì ov’era necessario dei salutari regolamenti che osservava per primo, non trascurò neppure le Monache per le quali ideò norme specifiche e regole di amministrazione che preservassero l’osservanza monastica da ogni cedimento.
Si dedicò, da buon giurista, a rivedere e coordinare le Costituzioni, badando che fossero in armonia col pensiero del Santo fondatore e con le precedenti tradizioni già approvate. Sottopose la sua versione al XVII Capitolo Generale (maggio 1239) ed avendola approvata anche i due Capitoli successivi, divenne la base dell’intera attività legislativa dell’Ordine fino al XX secolo.
Nel Capitolo Generale del 1240 fra Raimondo supplicò i padri capitolari di esonerarlo dall’incarico di Maestro dell’Ordine, perché le sue crescenti infermità, secondo lui, lo rendevano inadatto al compito. Le sue dimissioni vennero accettate e lui potè nuovamente “seppellirsi” nel convento di S. Caterina a Barcellona, non per starsene in pace, ma per dedicare l’ultima parte della sua vita alla difesa e alla propagazione della fede cristiana in mezzo ai Musulmani e agli Ebrei. Capì, forse per primo, che l’evangelizzazione era possibile solo conoscendo le lingue, perciò fece aprire una scuola di arabo e di ebraico per i frati, mettendo così le basi per un’attività missionaria antesignana della vera inculturazione. Ma era necessario che i frati sapessero rispondere in modo illuminato alle obiezioni di chi era nell’errore, perciò si rivolse al dotto teologo fra Tommaso d’Aquino perché componesse un’opera atta a dimostrare le verità insegnate dalla fede cattolica e a confutare gli errori ad essa contrari. Quel maestro rispose alla sua richiesta stendendo la Summa contra Gentiles che venne studiata con enorme frutto nelle scuole raimondiane.
Lo zelo missionario di fra Raimondo non si fermava a metà: molti Ebrei e Saraceni convertiti, costretti a scappare dalla loro terra natale, trovarono in lui un padre, un consolatore; aveva riguardo per le loro necessità materiali,chiedeva al re e agli amici quanto occorreva per aiutarli.
Poco alla volta, purtroppo, l’avanzare dell’età lo costrinse all’inattività ed il santo frate passava il tempo in preghiera, ricordando a Dio i bisogni del mondo. Una volta ancora fu costretto dal re Giacomo I a lasciare la sua cella per accompagnarlo con tutta la sua Corte per una vacanza alle isole Baleari: ben presto fra Raimondo si avvide che il re si era portato una compagna d’occasione per “divertirsi” e lo rimproverò severamente, poi se ne andò col suo confratello scendendo fino agli scogli in riva al mare. Non trovando alcuna barca, stese la sua cappa sulle onde e ne sollevò un lembo a formare una piccola vela, poi invocò fiducioso l’aiuto di Dio e si affidò al vento e al mare, mentre il compagno dubbioso lo seguiva con lo sguardo. Giunto in poche ore a Barcellona, andò in chiesa a ringraziare Dio e si sottrasse allo stupore della gente. “E la conversione di re Giacomo a migliori sentieri di vita servì soltanto ad aggiungere una frangia alla grandezza del miracolo” è scritto nella Bolla di Canonizzazione. Il mantello fu conservato per lungo tempo nel convento di S. Caterina e al suo contatto molti furono guariti dai loro mali.
Dopo questo fatto, fra Raimondo non uscì più: attendeva solo il momento dell’ultimo viaggio incontro al Signore.
“Arrivato quasi all’età di cento anni, desiderando con ardore di essere dissolto e di stare con Cristo, cadde nella sua ultima agonia. Gradualmente perse ogni coscienza delle cose intorno a lui. Ricevuti gli ultimi sacramenti, mentre i frati pregavano attorno al suo letto, si addormentò nel Signore a Barcellona, il giorno dell’Epifania dell’anno di grazia 1275”- attesta la già citata Bolla.
I re di Aragona e di Castiglia vollero portare a spalle il suo feretro il giorno della sepoltura che si rivelò come una glorificazione popolare. Numerosi furono i miracoli per intercessione del santo avvenuti a partire dalla sua morte: basti pensare che sono annotati trentaquattro morti tornati in vita.
Raimondo fu iscritto ufficialmente nell’albo dei santi da Papa Clemente VIII il 29 aprile 1601 e il suo corpo, dopo alcune traslazioni dalla primitiva tomba nella chiesa dei Domenicani, ora riposa in una cappella della Cattedrale di Barcellona.
Ordine dei Predicatori
Provincia San Tommaso d'Aquino in Italia
Curia Provinciale - Convento Madonna dell’Arco - 80048 Sant’Anastasia (NA)
Tel +39 081.89.99.111 - Fax +39 081.89.99.314 - Mail: info@domenicani.net
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