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giordano di sassonia
Giordano di Sassonia nasce intorno al 1185 a Burgberg, nella Westfalia (Prussia). Della sua infanzia ed adolescenza non si hanno riferimenti storici, ma possiamo intuire le sue eccellenti doti intellettuali, quali il suo carattere amabile, il suo anelito interiore per un nobile ideale di vita, che lo inducono a recarsi all’Università di Parigi, dove ottiene il baccellierato in Teologia e il titolo di «magister artium», sistemandosi in una pensione per studenti, insieme ad un amico olandese, Enrico da Maestricht.
Nell’estate del 1219 incontra il Fondatore del nascente Ordine dei Frati Predicatori: il suo carisma lo conquista perché risponde perfettamente ai desideri profondi del suo cuore. Sceglie Domenico come confessore e per suo consiglio riceve il diaconato. Quando, nel dicembre dello stesso anno, giunge nella capitale francese fra Reginaldo d’Orléans, Giordano frequenta assiduamente le sue prediche e si convince d’aver trovato la via sicura della salvezza. Fa voto di entrare nell’Ordine, ma dilaziona l’attuazione pratica con l’unico scopo di attirare al medesimo ideale il suo amico e compagno di studi Enrico da Maestricht. È convinto, come scrive lui stesso, che per i suoi doni di natura e di grazia Enrico sarebbe riuscito molto bene nel ministero della predicazione. È un’amicizia dolce e forte quella che lega Giordano ad Enrico, basata su una stima incondizionata, per cui non teme di insistere, ed infine ottiene: Enrico fa voto nelle mani di
fra Reginaldo e poi i due amici decidono di entrare nel convento di
San Giacomo all’inizio della quaresima. L’11 febbraio 1220, giorno delle Ceneri, essi vestono l’abito domenicano insieme ad un altro compagno di studi, fra Leone. Manca, purtroppo, la gioia dell’abbraccio forse più desiderato: quello di fra Reginaldo, che pochi giorni avanti il Signore ha chiamato a sé.
Fra Giordano ne raccoglie l’eredità: con la medesima eloquenza, il medesimo prestigio nel mondo universitario, la medesima passione per l’onore di Dio e la salvezza delle anime, il medesimo amore per la povertà evangelica, inizia il suo cammino di predicatore che durerà circa vent’anni.
Nel maggio seguente fra Giordano interviene al primo Capitolo Generale — convocato da Maestro Domenico — che si celebra per la festa di Pentecoste a Bologna: partecipa con altri tre frati come rappresentante del convento di San Giacomo di Parigi. In questo Capitolo vengono redatte le prime Costituzioni, vengono approvate le Consuetudini, viene ribadito che l’Ordine è istituito per la predicazione e la salvezza delle anime e viene sancita la legge che impone la povertà mendicante, della quale fra Giordano sottolinea la particolare importanza quando in seguito si trova a menzionare quel primo Capitolo.
Nel maggio 1221 si tiene il secondo Capitolo Generale, sempre a Bologna, due mesi circa prima della morte di San Domenico: fra Giordano, che non è presente, viene eletto Priore Provinciale di Lombardia, provincia che comprende tutti i conventi dell’Italia Settentrionale. Egli stesso asserisce: «Io ero nell’Ordine da poco più di un anno e non avevo perciò radici così profonde quanto avrei dovuto; ero messo a governare gli altri, io che non avevo ancora imparato a governare la mia imperfezione». Non la pensano così i suoi confratelli e il santo Fondatore, anzi sono felici di aver trovato chi può degnamente sostituire fra Reginaldo, che tanta Parola di Dio aveva sparso a Bologna prima che l’ubbidienza lo destinasse a Parigi.
Fra Giordano giunge in Italia per prendere possesso del suo ufficio di provinciale quando ormai San Domenico è morto. Il popolo bolognese ben presto gli manifesta ammirazione e simpatia, affascinato dalla sua eloquenza e dalla sua calda umanità. In questo periodo, come attesta il beato stesso, «nel convento di Bologna vive un certo fra Bernardo, tormentato da un crudele demonio che giorno e notte lo agita con orribili furori, disturbando grandemente tutta la comunità. Per ottenere che cessi questa vessazione, si istituisce in questo convento il canto della Salve Regina dopo la Compieta. Da questa casa l’uso si estende a tutti i conventi della provincia ed infine la pia e salutare usanza si afferma in tutto l’Ordine».
A questa diffusione non è forse estraneo il fatto che fra Giordano, nel Capitolo Generale di Parigi del maggio 1222, è eletto Maestro Generale, successore di San Domenico nel governo di tutto l’Ordine; come tale si dedica al consolidamento e all’espansione della giovane Famiglia religiosa, viaggiando attraverso l’Italia, la Germania, la Francia e l’Inghilterra, visitando i conventi e avvicinando tutti i singoli frati per incoraggiarli ed esortarli alla fedele osservanza delle Costituzioni. Celebra regolarmente ogni anno i Capitoli Generali, completando poco alla volta l’opera legislativa e l’ordinamento giuridico dell’Ordine.
Anima pura e sincera, solidissima nella fede; cuore generoso, sensibile e delicato, Maestro Giordano è vero discepolo e figlio di Domenico: come lui è animato da grande zelo missionario e dalla grazia della predicazione, da amore per i poveri e da viva carità fraterna, tanto da risultare l’interprete più autentico della spiritualità del Fondatore. Quanto abbia amato il venerato Padre, quanto il suo spirito fosse in sintonia con l’eredità spirituale da lui ricevuta, quanto avesse compreso ogni suo gesto, ogni sua parola, ogni suo desiderio, è documentato da ciò che troviamo scritto nel suo «Libellus de principiis Ordinis Praedicatorum» in cui tratteggia con amorevole sapienza la figura del Santo. Un giorno gli viene chiesto quale sia la sua regola di vita; egli risponde: «La regola dei Frati Predicatori: vivere onestamente, imparare, insegnare». Questa sintesi dell’ideale domenicano esprime chiaramente il pensiero e la vita del Fondatore, che voleva i suoi frati «intenti alla preghiera, all’insegnamento e alla predicazione»: la carità della verità. Verità amata, vissuta, studiata, contemplata e comunicata con la parola e la testimonianza di vita. «Maestro Giordano — scrive fra Gerardo di Frachet nelle “Vitae Fratrum” — fu uno specchio di vita religiosa e di ogni virtù; di lui si dice che abbia conservato intatta la purezza della mente e del corpo. Era talmente umile che sapeva evitare con discrezione e saggezza ogni onore che gli venisse tributato. Una volta un frate, vittima delle forze diaboliche, gli dette un fortissimo schiaffo: Giordano gli porse l’altra guancia». Egli accetta come una grazia del Signore la perdita di un occhio, in seguito ad una malattia. Dice ai frati: «Ringraziate Dio con me, perché ho perduto un nemico; ma pregate il Signore perché, se a Lui piace, si degni di conservarmi l’altro». Attribuisce valore sommo all’unione con Dio per il progresso spirituale: perciò è assiduo alla preghiera e alla meditazione, oltreché fedelissimo alla recita dell’Ufficio divino, alla quale partecipava già da studente, alzandosi di notte per andare alla chiesa dei frati per l’Ora di Mattutino.
Anche durante i viaggi apostolici dedica tempo alla preghiera personale, al canto di lode a Dio e alla Madonna, alla meditazione, finendo qualche volta per perdere di vista i compagni e sbagliare strada! Come Domenico, dedica gran parte della notte alla preghiera.
Un’altra caratteristica che li accomuna è la dolcezza. Anche Maestro Giordano è molto amabile e misericordioso, corregge i frati più con la bontà d’animo che col rigore della disciplina. Li incontra, li ascolta, li incoraggia, li visita e li conforta se sono malati, li consola se sono tentati, li solleva dai dubbi. Se non può farlo di presenza, scrive lettere dolcissime per esortare e consolare. Comunica volentieri la gioia che inonda il suo cuore per la grazia della vocazione religiosa e conquista facilmente i giovani, studenti e professori, all’ideale di Domenico, senza trascurare uomini maturi, alti prelati e maestri di Università. «Si fa tutto a tutti, senza però deformare se stesso», come egli afferma.
Trovandosi in viaggio con un gruppo di novizi, capita che durante la recita di Compieta quei giovani, per un nonnulla, cominciano a ridere e non sono più in grado di continuare la preghiera. Un frate anziano si scandalizza e li rimprovera. Maestro Giordano prontamente interviene dicendo: «Fate bene a ridere e gioire, giacché siete usciti dal carcere del diavolo e avete spezzato le sue pesanti catene... Ridete dunque, carissimi, ridete!».
La sua paziente carità salva anche quanti sono tentati di uscire dall’Ordine, inducendoli a perseverare. Infatti il maligno si scatena terribilmente contro i fratelli e li tenta nei modi più subdoli ed ingannevoli, ma quale padre vigilante, Maestro Giordano sempre lo smaschera, sia quando agisce contro di lui, sia quando si scaglia contro i novizi e i confratelli.
Nella spiritualità del primo successore di San Domenico un posto preminente è occupato da Maria. Ancora studente, recita tutti i giorni l’Ufficio della Beata Vergine; a Maria chiede la grazia che anche l’amico Enrico dia tutto se stesso alla causa della predicazione entrando nell’Ordine e quando ciò avviene, dichiara: «È il dono fatto a me dalla gloriosa Vergine Maria!». Dalle «Vitae Fratrum» sappiamo che proprio a fra Giordano Maria aveva confidato il suo amore speciale per l’Ordine e che in sogno era stata vista da un frate «guardare con intenso amore» fra Giordano che leggeva una lezione dell’Ufficio divino. Egli le manifesta il suo amore cantando spesso ad alta voce durante i viaggi la Salve Regina, recitando ogni sera una speciale preghiera in suo onore, composta dal Magnificat e da 4 salmi le cui iniziali formano il nome M.A.R.I.A., invocandola come protettrice speciale dell’Ordine.
Pur vivendo un’intensa vita spirituale, Maestro Giordano ha un grande senso pratico e notevoli capacità organizzative: sotto il suo governo i frati estendono la loro missione nel mondo scismatico e in quello pagano, dalle coste africane alle rive del mar Baltico, dall’Inghilterra all’Ungheria, alla Grecia, alla Terrasanta. Questi frati missionari, come spiega lo stesso beato, «sono soliti non dormire accanto al terreno dove hanno seminato, in attesa del raccolto, ma affidano il seme ed il campo a Dio e vanno subito a seminare altrove». Durante i quindici anni del suo generalato, i conventi passano da trenta a trecento, il numero dei frati da trecento a circa quattromila. Le cronache del tempo ci dicono che dette l’abito a più di mille novizi.
Mentre si adopera per l’espansione dell’Ordine, Maestro Giordano non trascura di difenderne il carattere universale e la piena libertà d’azione contro le ingerenze del clero locale e di alcuni Vescovi che vorrebbero i frati sottomessi alla loro giurisdizione. Per questo ricorre al Pontefice Gregorio IX perché con la sua autorità assicuri la piena autonomia dei Frati Predicatori.
Un altro suo merito è quello di volere e favorire l’inserimento giuridico delle Monache nell’Ordine, secondo il desiderio stesso di San Domenico che le aveva sempre considerate appartenenti all’Ordine per l’identità del fine e dei valori essenziali della loro vita. Anche in questo caso ottiene dal Papa dichiarazioni esplicite sul dovere dei frati ad attendere alla cura spirituale di detti monasteri: erano nati infatti dei forti contrasti su questo punto da parte di alcuni che non ritenevano giusto rimanere legati ad un monastero.
Da parte sua, egli si dimostra vero maestro di vita spirituale, guida ed appoggio sicuro per il monastero di Sant’Agnese di Bologna, dove vive Diana di Andalò, già figlia prediletta di San Domenico, nelle cui mani ha fatto voto di obbedienza e che Maestro Giordano considera «sorella nel Padre comune». Ci restano, come documento ricco e prezioso, le lettere da lui scritte a Diana e alle consorelle. Sono lettere occasionali, scritte in fretta tra un viaggio e l’altro, che manifestano la sua preoccupazione per il progresso spirituale delle suore e lo sviluppo dell’Ordine. Sono un’importante testimonianza circa la primitiva spiritualità domenicana: una spiritualità mistica molto semplice, tutta rivolta all’unione con Dio, l’imitazione di Gesù Cristo, l’accettazione delle tribolazioni come mezzo di purificazione, la meditazione della passione di Cristo, l’esercizio delle virtù cristiane e religiose senza sconfinare nelle penitenze eccessive o nelle forme esteriori di misticismo. Scrive nella lettera XVI: «Spero che con la grazia di Gesù Cristo possiate progredire santamente in ogni virtù: dedite alla preghiera, occupate nella meditazione; pronte all’obbedienza; sollecite nell’ope-
rare; di poche parole e fedeli alla regola del silenzio; rivestendovi di
misericordia, di benignità, di pazienza, di modestia, di carità». E nella lettera XVII, a Diana: «Ti ho raccomandato la povertà, la carità, l’umiltà, affinché, per mezzo di queste tre virtù, tu pervenga alle vere ricchezze, alle delizie e agli onori con l’aiuto di Colui che è forte sostegno, il Signore nostro Gesù Cristo».
Da queste lettere emerge ancora una volta il suo cuore ricco di sfumature umane e di un affetto vivo, libero, sincero e fedele, come quello che lo lega all’amico di gioventù fra Enrico, eletto priore di Colonia, di cui piange a lungo la perdita prematura, il 23 ottobre 1229. Scrive nel suo Libellus: «Fra Enrico terminò il corso di questa sua vita felice e con una santa morte si addormentò nel Signore».
Il suo animo sensibilissimo si rivela anche di fronte alle necessità dei fratelli e la sua pietà per i poveri e gli afflitti si traduce in aiuto concreto, anche privandosi della tonaca per vestire gli ignudi e accettando il conseguente rimprovero dei confratelli. Quando una volta viene ingannato da un «finto» povero che va in un’osteria a rivendere l’indumento ricevuto in dono, Maestro Giordano si giustifica dicendo: «È meglio perdere la tonaca che la pietà!».
Verso il termine della sua vita, Giordano ha la grande gioia di vedere la solenne traslazione dei resti mortali del Santo Fondatore dal primitivo sepolcro in un luogo più decoroso: avvenimento che ne precede di un anno la canonizzazione avvenuta nel 1234 ad opera di Papa Gregorio IX; egli però non è presente perché la notizia lo raggiunge a Strasburgo troppo tardi per avere il tempo di tornare a Bologna e partecipare alla festa. In questa occasione egli scrive il «Libellus», opera storica sulle origini dell’Ordine contenente la prima biografia di San Domenico, seguita dalle due lettere encicliche da lui dirette a tutto l’Ordine.
Due anni dopo, benché non in buona salute, egli parte per visitare i confratelli della provincia di Terrasanta e per venerare i luoghi sacri. Terminata la sua permanenza in Palestina, si imbarca per tornare in Italia con due confratelli, ma una violenta tempesta spinge la nave contro la costa e la fa colare a picco, il 13 febbraio 1237: pochi si salvano. I corpi dei naufraghi sono rigettati a riva. Una luce a forma di croce illumina il corpo del beato. I frati del convento di Akkon, appena informati, accorrono e seppelliscono nella loro chiesa il corpo di Maestro Giordano e dei due confratelli.
Quando i Turchi devastarono la città di San Giovanni d’Acri (l’antica Akkon), le sue reliquie andarono disperse, mentre il suo culto non venne mai meno.
Fu proclamato santo a voce di popolo, ma ufficialmente fu beatificato soltanto nel 1826 dal Pontefice Leone XII.
Ordine dei Predicatori
Provincia San Tommaso d'Aquino in Italia
Curia Provinciale - Convento Madonna dell’Arco - 80048 Sant’Anastasia (NA)
Tel +39 081.89.99.111 - Fax +39 081.89.99.314 - Mail: info@domenicani.net
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