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giordano bruno
di P. Gerardo Cioffari OP
Una storia dell’Ordine senza una riflessione su Giordano Bruno sarebbe decisamente carente, perché sarebbe una storia di basso tono. Spesso gli storici domenicani hanno preferito aggirare gli ostacoli e ridurre le vicende dell’Ordine a tutta una serie di disposizioni dei capitoli più o meno osservate, o ad una serie di santi e beati studiati dai processi di beatificazione o canonizzazione, invece che dai documenti archivistici. E’ nostra opinione, Invece, che sia l’Inquisizione sia Giordano Bruno sono elementi costitutivi della domenicanità.
Oggi non è facile esprimere un giudizio equilibrato su questo grande domenicano, soprattutto perché, portato in auge dalla massoneria e dal libero pensiero, si è trasformato in un atto di accusa contro la Chiesa.
Ma l’Ordine di Alberto Magno Eckhart, Savonarola, De Vitoria e Las Casas, non può abbandonare agli altri uno dei suoi figli più grandi. Lasciare che sia la cultura laicizzata a farlo suo paladino significherebbe accettare che venga considerato non solo panteista (giudizio ingiusto, anche se legittimo da una certa angolazione), ma addirittura ateo.
Non è facile difendere questo figlio turbolento dell’Ordine in tutti gli aspetti della sua personalità. E’ però importante recuperare la sua grande istanza di fondo, vale a dire la sua sete di libertà (dell’uomo come del pensiero). Il suo linguaggio è “locale” (del napoletano spigliato e volgare), ma è l’animo è nobile e il suo pensiero è proiettato verso l’infinito.
La figura di Giordano Bruno [1] è certamente una delle più grandi nella storia dell’Ordine domenicano e, sotto certi aspetti, una delle più caratteristiche. In lui rivivono elementi presenti in Alberto Magno (l’amore per lo studio della natura), in Eckhart (il senso del divino non come tutt’altro, ma come essenza intima e ragion d’essere dell’uomo e dell’universo), in Savonarola (la tendenza alla ribellione contro il conformismo della sua epoca, ed ovviamente il rogo). A tutto questo egli aggiungeva una connotazione di scugnizzo napoletano (irridente, canzonatorio e sguaiato), che gli veniva dall’ambiente umano che circondava il convento di S. Domenico Maggiore, dal 1515 legato all’Università di Napoli.
L’incomprensione che ebbero a soffrire questi suoi predecessori spirituali dovette sperimentarla anche lui, anche se più di loro egli ne diede motivo. Molti frati napoletani, che conoscevano il mondo umano delle strade chiassose appena fuori della porta del convento di S. Domenico Maggiore (e quindi trovavano normale, anche se un pò troppo realistico, il suo linguaggio), cercarono di aiutarlo, ma l’Ordine come istituzione lo aveva abbandonato. I massimi responsabili dell’Ordine erano contro di lui, discutendo soltanto se infliggergli una tortura più o meno straziante [2].
Alla domanda sul perché Bruno scegliesse proprio l’Ordine domenicano, una risposta veramente puntuale la dà Saverio Ricci nel suo approfondito studio:
Il fascino dell’Ordo Praedicatorum risiedeva così nella autorevolezza delle sue tradizioni intellettuali, illustrate da uomini di dottrina e di scienza come Alberto Magno, san Tommaso e Tommaso de Vio, come nella sua straordinaria effervescenza spirituale. Le origini rimontavano al Santo che aveva difeso la Chiesa, agli inizi del XIII secolo, al fianco degli inquisitori mandati da Innocenzo III, da una delle più sentite minacce di eresia: il catarismo degli Albigesi in Linguadoca, nel sud della Francia. Ma i domenicani non vantavano soltanto una tradizione inquisitoriale e conversionistica; e l’esigenza di una riforma efficace, spirituale e organizzativa dell’ordine si affacciò al suo interno già prima della sfida di Lutero. Un ideale di spiritualità combattiva e militante, concentrata sulla imitazione di Cristo e delle sue sofferenze, aveva trovato la sua interprete d’eccezione in Santa Caterina da Siena.
E dopo aver ricordato l’opera di Raimondo da Capua, la democrazia dell’Ordine e il movimento riformistico degli osservanti, sottolinea il fatto che il rogo del Savonarola e di due confratelli nel 1498, sullo sfondo della crisi della libertà italiana e dello scontro tra le fazioni politiche fiorentine, non avrebbe pregiudicato che solo per qualche tempo l’immagine di quell’incrocio tra profezia e politica, all’interno dell’ordo praedicatorum [3].
Ad attrarre il giovane Bruno all’Ordine domenicano non fu dunque, come qualcuno ha scritto, il desiderio della quiete monastica, ma la straordinaria effervescenza spirituale dell’Ordine, nonché l’intreccio tra intuizione profetica e sguardo sul mondo, oltre ovviamente agli aspetti pratici, come ad esempio il fatto che il lettorato nello Studio generale di S. Domenico Maggiore gli avrebbe permesso un insegnamento retribuito ed eventuali altre prospettive.
Nonostante che il maestro dei novizi Eugenio Gagliardo nel 1567 venisse a conoscenza di suoi giudizi irrispettosi sulla Madonna e i Santi, evitò di inoltrare la denuncia per eresia all’Inquisizione, il che permise a Bruno di continuare sia la sua vita religiosa (suddiacono nel 1570, diacono nel 1571 e sacerdote nel 1572) che gli studi. Superò gli esami di licenza con le tesi Verum est quicquid dicit D. Thomas in Summa contra Gentiles, e Verum est quicquid dicit Magister Sententiarum [4].
E’ opportuno a proposito dei rapporti di Bruno con l’Ordine, far parlare lui stesso. Egli narra la sua vicenda domenicana nei primi interrogatori veneziani, quando aveva lasciato l’abito e la tragedia era ancora lontana. In tutti questi anni, come egli stesso ebbe a confermare, visse celebrando messa et li divini offitii, et sotto l’obedienza de’ superiori dell’istessa religione et delli priori de’ monasterii et conventi dove son stato, sino l’anno del ’76, che fu l’anno sequente doppo l’anno del Giubileo, che, trovandomi in Roma nel convento della Minerva, sotto l’obedienza de maestro Sisto de Luca, procurator dell’Ordine, dove era andato a presentarmi, perché a Napoli ero stato processato due volte: prima per haver dato via certe figure et imagine de’ santi et retenuto un crucifisso solo, essendo per questo imputato de sprezzar le imagine de’ santi; et anco per haver detto a un novitio che leggeva la Historia delle sette allegrezze in versi, che cosa voleva far di quel libro, che lo gettasse via, et leggesse più presto qualche altro libro, come è la Vita de’ santi Padri. Il qual processo fu rinovato nel tempo che io andai a Roma, con altri articuli ch’io non so; per il che uscì dalla religione et, deposto l’habito, andai a Noli, territorio genoese, dove mi trattenni quattro o cinque mesi a insegnar la grammatica a putti [5].
Lasciata Napoli nel 1576 Bruno si diresse dunque a Roma dove trovò ospitalità nel convento di S. Maria sopra Minerva. Qualcuno usa il termine “fuggì”, ma pur non essendo erroneo, il termine va spiegato, in quanto non poteva fuggire da un convento per rifugiarsi in un altro. Bruno cioè non fuggiva dal convento, ma da Napoli. L’inquisizione infatti non era più controllata dai domenicani. Al contrario, è probabile che furono essi a fargli la soffiata del pericolo che correva.
Durante il soggiorno nel convento romano della Minerva fu accusato di aver gettato nel Tevere un confratello che lo aveva denunciato all’Inquisizione. Dovette nuovamente “fuggire”, giungendo (come si è detto) a Noli, presso Genova, ove insegnò grammatica e astronomia. Il 15 aprile 1576, domenica delle Palme, era nel convento domenicano di S. Maria di Castello, mentre la gente era in attesa di venerare la coda dell’asino “che aveva portato in Gerusalemme il Salvatore” [6].
Dopo una breve puntata a Savona e a Torino, Bruno prese la via di Venezia. Qui si guadagnò da vivere leggendo la sfera. Scrisse per l’occasione De’ segni de’ tempi, ma prima. di stamparla la fece leggere al padre maestro Remigio da Fiorenza. Dopo di che, è lui stesso a raccontare: Et partendo de qui, io andai a Padoa, dove trovando alcuni padri dell’ordine de san Dominico mei conoscenti, li quali me persuadettero a ripigliar l’habito, quando bene non havesse voluto tornar alla religione, parendoli che era più conveniente andar con l’habito che senza; et con questo pensiero andai a Bergamo. Et mi feci far una vesta di panno bianco di buon mercato, et sopra essa vi posi il scapulare, che io havevo conservato quando partì da Roma; et con quest’habito me inviai alla volta de Lione; et quando fui a Chiamberì, andando a logiar al convento dell’Ordine et vedendomi trattato molto sobriamente et discorrendo sopra questo con un padre italiano che era lì, me disse: “Avertite che non trovarete in queste parti amorevolezza de sorte alcuna, et come più andarete inanzi ne trovarete manco” [7].
I frati di Chambéry lo avvertirono dunque dei rischi occorsi se si fosse fermato a Lione, per cui si recò a Ginevra, ove si fermò due mesi. Qui il marchese di Vico, Gian Galeazzo Caracciolo, anima della comunità evangelica italiana, lo convinse a lasciare l’abito. Convinto di essere entrato nelle grazie di personaggi che contano, Bruno commise l’imprudenza di sottolineare gli errori di un professore di teologia, per cui fu imprigionato per diffamazione e processato da inquisitori calvinisti. Riconosciutosi colpevole, riuscì a lasciare quella città.
Giunto a Lione, passò a Tolosa ove lesse la sfera e commentò il De Anima di Aristotele. Poi, a causa delle violente tensioni fra cattolici e ugonotti, si trasferì a Parigi, ove lesse trenta lettioni et pigliai per materia trenta attributi divini, tolti da Santo Thoma dalla prima parte. Era solo docente straordinario, perché se avesse accettato di divenire ordinario avrebbe dovuto essere presente all’ufficio e alla messa. Una volta Enrico III volle parlare con lui, anche per sapere se la forte memoria gli veniva da arti magiche o da scienza. Qui, fermandosi circa due anni, pubblicò il De umbris idearum.
Passato a Londra (1583-85), secondo qualcuno con intenti di propaganda politica filo francese [8], entrò in contrasto coi dotti di Londra e Oxford. Al termine di due anni e mezzo di soggiorno londinese, tornò a Parigi (un anno), quindi si recò in Germania, prima a Magonza, poi Wittenberg (ove tenne lezioni sull’Organon di Aristotele). Dopo sei mesi a Praga e un anno a Braunschweig, andò a Francoforte, ove in alcuni scritti esaltò Lutero e biasimò la Chiesa romana. Qui stampò il De minimo, nonché il De numero, monade et figura. Invitato nel 1591 a Venezia da Giovanni Mocenigo, vi si recò dopo aver trascorso qualche mese a Padova.
Il suo arrivo a Venezia nel 1592, coincise con il capitolo generale dell’Ordine che si riuniva proprio in quella città [9], per cui ebbe occasione di incontrare alcuni suoi vecchi confratelli napoletani. Cominciò allora a pensare di fermarsi e di non girovagare per l’Europa, ma di rendere visita al papa et veder de ottener l’absolutione di excessi et gratia di poter viver in habito clericale fuori della religione.
Del che a questo Capitolo, fatto ultimamente qui questi giorni passati, dove erano molti padri napolitani dell’Ordine, ne ho trattato con alcuni de loro; et in particulare col padre reggente fra Dominico da Nocera, padre fra Serafino baccilier da Nocera, et con fra Gioanni, che non so de che loco sia, ma è del Regno de Napoli, et un altro, che lui ancora era uscito dalla religione, ma pocco fa ha pigliato l’habito, che è da Atripalda, che io non so il nome, in religione dixit si chiama fra Felice; oltre a questi Padri, ne ho parlato col signor Zuane Mocenigo, il qual anco prometteva de aiutarmi in tutto quel fosse stato buono [10].
Denunciato dal Mocenigo, nel processo del 1592 a Venezia Bruno riconobbe i suoi errori. Ma la Santa Sede ottenne il trasferimento del processo a Roma. Durante gli interrogatori inquisitoriali Bruno si mostrò sempre disposto a ritrattare. C’era però sempre qualche particolare che non soddisfaceva gli inquisitori, ai quali negli ultimi anni si aggiunse Roberto Bellarmino. Qualcuno ha avanzato l’idea che la durezza verso il Bruno derivasse dall’essere il Bellarmino un gesuita, ed il Bruno un (ex) domenicano. Ma anche se ciò fosse vero, non c’è dubbio che il pensiero del Bruno fosse nettamente distante da quello del Bellarmino.
La visione filosofica del Bruno era non solo molto elevata ed audace, ma si esprimeva in una ricchezza di generi letterari, insoliti nel campo della filosofia e della teologia, e pertanto difficili da armonizzare in una sintesi omogenea. L’idea centrale sembra quella dell’unità degli infiniti mondi esistenti e degli elementi metafisici che li compongono (onde la sua opposizione alle aristoteliche distinzioni di materia e forma, potenza e atto ecc.). Ma le accuse raramente toccavano il centro del suo pensiero. Colpivano piuttosto aspetti pratici e soprattutto il suo linguaggio (troppo offensivo per la Chiesa specialmente nella Cabala del cavallo pegaseo e nello Spaccio della bestia trionfante). Anche per questo, oltre che per il suo temperamento, Bruno non aveva molte difficoltà a ritrattare, come si evince dai tanti verbali processuali editi dal Firpo.
L’edizione critica degli interrogatori durante i processi è merito di Luigi Firpo, che in tal modo non solo permette di riandare alle varie fasi della drammatica vicenda, ma offre gli strumenti per dissipare le tante astrusità a lui attribuite. Valga come esempio l’interrogatorio del 30 maggio 1592, ove sulle sue opere e il suo pensiero così si esprimeva: Ho alcune mie opere composte da me et date alla stampa, le quali non approbo; perché in esse ho parlato et discorso troppo filosoficamente, dishonestamente et non troppo da buon christiano; et in particular so che in alcune de queste opere ho insegnato et tenuto filosoficamente le cose che se doveriano attribuir alla potentia, sapientia et bontà de Dio secondo la fede christiana, fondando la mia dottrina sopra il senso et la raggione et non sopra la fede [11].
Il 31 maggio (il giorno successivo alla deposizione del Bruno) viene convocato fra Domenico di Nocera dinanzi all’inquisitore veneziano, alla presenza del provinciale di Terrasanta, del provinciale di Venezia e altri padri, per riferire sul suo dialogo col Bruno:
Un giorno di questo mese di magio proximo alla santa festa de la Pentecosta, oscianno de la sacrestia in la chiesa di Ioanne e Polo, mi vedì fare reverenza da un secolaro, quale io prima fronte non ben cognobi; poi al ragionarme venni in sicortà che l’era un che fo frate nostro in la provinzia del Regno, licterato, e che si dimannava fra Iordano di Nola. E cossì ci ritirassimo in un loco de la chiesa sodecta, ove mi narrò la causa de la sua partenza de la nostra provinzia, e de lo haversi levato l'’abito a causa che ne fosse stato privato da un padre fra Dominico Vita, allora provinciale, per quello che si diceva; con dirmi di tanta regni ch’haveva camminato e corte regale, con li exercitii importanti in le lectere, ma che sempre haveva vissuto cactolicamente.
Dopo di che Bruno aggiungeva il proposito, già accennato, di volersi presentare al papa e trasferirsi a Roma [12].
Nonostante le disposizioni precedenti in tal senso, soltanto sul finire del 1596 furono stilate delle proposizioni da sottoporre al Bruno affinché le ritrattasse. Per l’enucleazione di queste proposizioni erano stati impegnati il p. Bartolomeo de Miranda, maestro del sacro Palazzo, il P. Paolo Isaresi della Mirandola, procuratore dell’Ordine (e provinciale di Terra Santa), il padre maestro Guerra, teologo domenicano, fra Pedro Juan de Zaragoza, socio del maestro del sacro Palazzo, nonché il gesuita Gallo [13]. Da notare che come procuratore l’Isaresi ebbe anche il compito di fornire di un po’ di denaro il Bruno. Il 6 dicembre 1598 Bruno, oltre che carta e penna, chiedeva anche un breviario del suo Ordine [14].
Il 14 gennaio 1599 il Bellarmino e fra Alberto Tragagliolo estraevano otto proposizioni (approvate dalla Congregazione) affinché Bruno le abiurasse. Il Firpo fa notare come l’abiura non significava la liberazione di Bruno, ma solo l’evitare il rogo. Ma poi c’erano altre proposizioni da esaminare. E fa notare anche come la teologia gesuitica (volontaristica) contrastava con la bruniana “necessitazione divina”. Bruno rispondeva che era disposto a ritrattare se la Santa Sede riteneva eretiche quelle proposizioni.
Il 4 febbraio si deliberava che il Beccaria, il Tragagliolo e il Bellarmino intimassero la ritrattazione non solo in quanto eretiche, ma in quanto tali riconosciute già dai Padri della Chiesa. Il 15 Bruno dichiarava di riconoscere dette otto propositioni per heretiche et essere pronto per detestarle et abiurarle in loco et tempo che piacerà al santo Officio [15]. Fu incaricato il Tragagliolo di stilare il testo definitivo dell’abiura con la lista degli errori.
Il Bruno presentò un memoriale che, secondo Bellarmino (24 agosto), attestava la disponibilità all’abiura, eccetto su due punti in cui mostrava qualche reticenza (cioè “de haeresi novatiana”, che ammette peccati che la Chiesa non può perdonare, e “an anima sit in corpore sicut nauta in navi”, contro l’anima come forma corporis essentialiter).
Tutti i consultori si mostrarono favorevoli alla tortura, ordinaria per Monterenzi, Millini e Dandini, severa per Filonardi e Tragagliolo, reiterata per Beccaria. Per quest’ultimo la tortura era anche il mezzo per chiarire la posizione di Bruno nei casi contestati. Si noti che il Tragagliolo si stava mostrando comprensivo col Campanella e contrario alla tortura. Mentre per Bruno è favorevole alla tortura.
Il 24 agosto il Bellarmino confermava le buone intenzioni del Bruno alla ritrattazione. Ma negli ultimi giorni di agosto qualcosa dovette accadere che fece irrigidire Bruno sulle sue posizioni. Il 16 settembre, infatti, venne letto un memoriale del Bruno a difesa delle sue tesi. Il 21 dicembre il maestro generale Ippolito Beccaria gli faceva visita, in compagnia di fra Paolo Isaresi, procuratore. Il 20 gennaio 1600 Beccaria riferiva alla Congregazione della sua ostinatezza. Un memoriale del Bruno al papa venne apertum, non tamen lectum. L’8 febbraio era trasferito nelle case del card. Madruzzi (Piazza Navona). Il 17 febbraio, all’alba di giovedì, accompagnato dalla Compagnia di S. Giovanni decollato, fu messo al rogo in Campo dei fiori [16].
Dopo otto anni, dunque, di interrogatori e torture, Bruno non ne aveva potuto più di fronte allo stillicidio delle richieste, e aveva reagito a difesa della sua libertà di pensiero. Il più duro nei suoi confronti era stato proprio il maestro generale Ippolito Beccaria, che sarebbe morto di lì a qualche mese. Ed era stato il papa in persona, al quale egli si era tante volte appellato, a decretarne la fine. La sua morte non fece scalpore, anzi passò quasi inosservata. Tuttavia, con l’avanzare delle idee illuministiche ed anticlericali (soprattutto nell’Ottocento), la sua figura attrasse l’attenzione degli studiosi ed egli assurse a simbolo della libertà di pensiero contro la Chiesa negatrice della scienza.
[1] Nato a Nola (Napoli) nel 1548, Bruno aveva diciassette anni allorché entrò nel convento di S. Domenico maggiore a Napoli, cambiando il nome da Filippo in Giordano. Sacerdote nel 1572, si diede sin da giovane agli studi, prediligendo autori come Lucrezio, Plotino, il neoplatonismo del Ficino, e tra i moderni il Copernico. Insofferente alle spiegazioni tradizionali dei dogmi, quattro anni dopo lasciava S. Domenico maggiore per Roma. Era solo l’inizio delle sue peregrinazioni europee, che lo portarono fra l’altro a Ginevra (1578), Tolosa (1579-80), Parigi (1581-83), Londra (1583-85) e Wittemberg (1586-88), entrando sempre in contrasto con l’ambiente intellettuale locale. Rientrato in Italia nel 1591, l’anno dopo era denunciato da colui che lo aveva invitato, Giovanni Mocenigo. Dopo un breve periodo con l’inquisizione veneziana, fu trasferito nelle carceri dell’Inquisizione romana. Vi restò fra interrogatori e torture dal 1592 fino a pochi giorni prima della morte. Fu arso vivo in Campo dei Fiori a Roma il 17 febbraio del 1600.
Ricchissima è la bibliografia su Bruno. In italiano il libro più completo è quello di Saverio Ricci, Giordano Bruno nell’Europa del Cinquecento, Salerno Editrice, Roma 2000. Questo studioso supera tutti gli altri (compreso Michele Ciliberto, considerato il maggiore studioso italiano del Nolano) perché meglio degli altri riesce a contestualizzare storicamente, socialmente e geograficamente le opere del Bruno. Per i numerosissimi titoli rinvio allo stesso Ricci, oltre che a M. Ciliberto, Giordano Bruno, Editori Laterza, Bari 2000. Sul Bruno e gli ambienti domenicani, vedi anche M. Miele, Gli anni di Giordano Bruno a Napoli. L’ambiente conventuale e i maestri, in “Incontri culturali 1996-1998, Napoli-Roma 1999; e la mia recensione a L. Firpo, Il processo di Giordano Bruno, Salerno Editrice, Roma 1993, in Nicolaus Studi Storici, 1997, n.
Ricchissima è la bibliografia su Bruno. In italiano il libro più completo è quello di Saverio Ricci, Giordano Bruno nell’Europa del Cinquecento, Salerno Editrice, Roma 2000. Questo studioso supera tutti gli altri (compreso Michele Ciliberto, considerato il maggiore studioso italiano del Nolano) perché meglio degli altri riesce a contestualizzare storicamente, socialmente e geograficamente le opere del Bruno. Per i numerosissimi titoli rinvio allo stesso Ricci, oltre che a M. Ciliberto, Giordano Bruno, Editori Laterza, Bari 2000. Sul Bruno e gli ambienti domenicani, vedi anche M. Miele, Gli anni di Giordano Bruno a Napoli. L’ambiente conventuale e i maestri, in “Incontri culturali 1996-1998, Napoli-Roma 1999; e la mia recensione a L. Firpo, Il processo di Giordano Bruno, Salerno Editrice, Roma 1993, in Nicolaus Studi Storici, 1997, n.
[2] Firpo, Il processo, 96.
[3] S. Ricci, Giordano Bruno, cit., pp. 62-63.
[4] Michele Ciliberto, Giordano Bruno, Ed. Laterza, Bari 2000, pp. 277-278.
[5] Interrogatorio a Venezia del 26 maggio 1592, in Firpo, Il processo, p. 156.
[6] Cfr. G. Aquilecchia (a cura di), Spaccio della bestia trionfante, in Giordano Bruno. Dialoghi italiani. Dialoghi metafisici e dialoghi morali, nuovamente ristampati con note da G. Gentile, terza ed. Firenze, Sansoni, 1972, p. 792. Cfr. S. Ricci, Giordano Bruno, cit., p. 115.
[7] Firpo, Il processo, p. 160.
[8] F. A. Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Bari, Laterza, 1969 (capp. XI-XIII); Ead., Giordano Bruno e la cultura europea del Rinascimento, Roma-Bari, Laterza, 1988.
[9] Firpo, Il processo, pp. 160-163.
[10] Ivi, p. 163.
[11] Ivi, p. 164.
[12] Ivi, pp. 164-165.
[13] Ivi, p. 77.
[14] Ivi, p. 88.
[15] Ivi, p. 94.
[16] Ivi, pp. 100-104.
Ordine dei Predicatori
Provincia San Tommaso d'Aquino in Italia
Curia Provinciale - Convento Madonna dell’Arco - 80048 Sant’Anastasia (NA)
Tel +39 081.89.99.111 - Fax +39 081.89.99.314 - Mail: info@domenicani.net
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