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francisco de vitoria
di P. Gerardo Cioffari OP
Mentre tanti frati scendevano in campo in difesa dei diritti umani e versavano il sangue per la propagazione del Vangelo, la teologia trovava la sua massima espressione nella scuola di Salamanca. In origine, questa scuola era stata il risultato di tutta una serie di iniziative culturali prese da vari Ordini religiosi nella Spagna di fine Quattrocento. Parlando delle molteplici origini il pensiero va ai vari membri di Ordini religiosi che contribuirono ad elevare il livello accademico. Poco a poco però la guida intellettuale fu assunta in modo prevalente dai domenicani. Tra questi, simbolo di una teologia viva e attualizzante divenne più tardi Francisco de Vitoria, il quale, per questo motivo (anche se impropriamente) fu definito il “fondatore” della scuola [1]. Infatti, pur non essendone il fondatore in senso tecnico, per comune ammissione di tutti i teologi domenicani del XVI secolo, la scuola divenne vitale grazie alla sua figura carismatica e al metodo teologico da lui introdotto.
Come si è detto, alle origini della scuola di Salamanca non vi sono solo i domenicani. All’Ordine francescano apparteneva, ad esempio, quell’Alfonso de Madrigal, meglio noto come Tostado (+1455) che già nella prima metà del XV secolo aveva sollevato tutte le maggiori questioni di attualità, dalla riforma della Chiesa alle indulgenze fino al primato romano [2]. Lo stesso vale per Pedro Martinez di Osma (+1480), che un anno prima di morire si vide condannare le dottrine sulla confessione e sulle indulgenze. Domenicano fu invece il suo discepolo Diego de Deza (+1523), noto come successore del Torquemada come grande inquisitore e come difensore di Cristoforo Colombo. Egli successe al Martinez sulla cattedra di teologia avviando la riforma degli studi teologici, che poi trovò in Francisco de Vitoria l’interprete ideale. A differenza degli altri domenicani, il Deza, seguace del Capreolo, carezzava il progetto di un centro teologico domenicano allo scopo di restaurare la via antiqua, vale a dire la dottrina di S. Tommaso nella sua integrità. Non si trattava più soltanto di impegnarsi personalmente, ma di creare una scuola. Avversario del Lullismo come inquisitore fu spesso oggetto di controversie da parte dei teologi francescani [3], vicini al nominalismo.
Fedele alla Via Antiqua, ma altrettanto sensibile ai problemi del suo tempo fu Francisco de Vitoria, che è passato alla storia non tanto come uomo di punta della scuola di Salamanca, bensì (insieme ad Ugo Grozio) come fondatore del diritto internazionale.
Al Palazzo dell'ONU a Ginevra c'è una sala dedicata a lui. Un grande affresco illustra il motivo di quella dedica. Tra le allegorie della giustizia e della pace, ove sono rappresentati i giganti dell'umanità, si vede il particolare di Francisco de Vitoria, che sale su un mappamondo insegnando e reggendo una trave. Diverse persone vi si aggrappano e lo seguono nel difficile cammino dei diritti umani per il riconoscimento della dignità di tutti a prescindere dal colore della pelle o dal livello sociale. In altri termini, il suo ruolo nella crescita civile dell’umanità è oggi universalmente riconosciuto. Anche al palazzo dell’ONU a New York come a Washington, gli è dedicata una scultura.
Per comprendere il cammino esistenziale che ha portato a questo riconoscimento è opportuno partire dal suo commento alla Summa Theologiae di S. Tommaso e l’applicazione di esso alla controversia sulle Indie.
Il suo interesse all’Aquinate era cominciato nei conventi di formazione e si consolidò a Parigi, dove un altro domenicano, il De Crockaert, stava perseguendo un analogo itinerario. Anzi, questo domenicano di Bruxelles, vedendo la sintonia d’intenti, lo volle (nonostante la giovane età) come collaboratore alla sua edizione parigina della Secunda Secundae di S. Tommaso (1512) [4]. Nella capitale francese ebbe contatti anche con Juan Fenario (Feynier), più tardi maestro generale, che gli comunicò le preoccupazioni per la crisi intellettuale e sociale che la società dell’epoca stava attraversando.
Quando nel 1523 fu chiamato ad insegnare al collegio di S. Gregorio a Valladolid, invece dei tradizionali Libri Sententiarum di Pietro Lombardo introdusse come manuale di teologia la Summa Theologiae di S. Tommaso. Il suo insegnamento ebbe tanto successo che nel 1526 vinse la cattedra de prima nella facoltà di teologia di Salamanca [5]. Curiosamente, all’inizio il De Vitoria incontrò tante difficoltà in questa iniziativa. Verso la metà del secolo, invece, quasi tutti gli Ordini religiosi (inclusi i gesuiti appena fondati) adottarono la sua riforma.
Se il De Vitoria seppe prendere il meglio dall’umanesimo, seppe fare altrettanto con il nominalismo. Contro questa corrente si espresse a favore della superiorità del papa sul concilio, ma accolse tutte le critiche all’esercizio concreto del papato. E quindi in perfetto spirito riformista criticò gli abusi della curia romana, la concessione dei benefici, l’assenza dei vescovi dalla loro città e così via.
Per quanto riguarda il metodo teologico, facendo proprie le critiche degli umanisti (di ignoranza delle fonti e attenzione a questioni marginali) [6] il De Vitoria incentrò la sua riflessione sulle questioni d’attualità, e volle affrontarle tenendo conto di un metodo rigoroso: uso attento della ragione nelle questioni di fede, ricorso costante alla Sacra Scrittura, ritorno ai Santi Padri e agli autori della Scolastica [7]. Che Vitoria avesse un atteggiamento diverso dalla maggioranza dei suoi confratelli tedeschi (ed anche spagnoli) nei riguardi dell’umanesimo viene esplicitamente attestato da una lettera dell’umanista spagnolo Luis Vives ad Erasmo di Rotterdam. Riferendogli degli attacchi di Diego de Vitoria, il Vives aggiunge:
Tiene este (Diego) un hermano distinto de él, Francisco de Vitoria, tambièn dominico, teologo por Paris. Es una personalidad de màximo renombre y crédito entre los suyos. Recuerda que màs de una vez defendiò tu causa en Parìs en diferentes asambleas de teologo. Es en esas argumentaciones de escuela muy perito. Ya desde niño viene coltivando con mucho éxito las buenas letras.[8]
Per il Vitoria era dunque di capitale importanza il problema del metodo, e su questo diede un importante input che sarà colto dai suoi discepoli di Salamanca.
Tra i loca communia argumentandi in theologia il primo posto spetta alla Sacra Scrittura, il secondo alla tradizione, che il De Vitoria individua nell’auctoritas totius Ecclesiae universalis, il terzo al concilio universale rettamente convocato e riunito. A queste tre fonti assolute, si aggiungono altre fonti probabili, come il concilio provinciale, e i santi Dottori. Locus firmus è invece in materia di fede e costumi il magistero papale (auctoritas et definitio Papae). Gli ultimi tre loci sono il consenso dei teologi, la ragione naturale, e l’auctoritas dei filosofi.[9]
Di carattere più pratico, ma non meno importante, fu l’introduzione del “dettato”, vale a dire dell’usanza in base alla quale il professore doveva spiegare i testi e tenere le lezioni permettendo agli studenti di mettere per iscritto la sua lezione. Per quanto possa apparire di minor conto, questa innovazione fu determinante ai fini della continuità della scuola. Infatti, il professore, sapendo che le sue lezioni potevano finire nelle mani di altri professori, difficilmente si permetteva di ripetere il pensiero altrui, senza procedere ad un commento personale. In altri termini, il dettato favoriva enormemente il confronto di idee e l’esportazione delle idee stesse ad altre università.
La preveggenza del maestro al riguardo si notò già per il fatto che la maggior parte delle sue lezioni furono pubblicate sulla base degli appunti presi dagli studenti. Il "Socrate di questa generazione", come fu chiamato, ebbe tra i suoi alunni quelli che si riveleranno come i massimi teologi spagnoli del tempo, come Domingo de Soto e Melchior Cano.
A parte, comunque, i normali corsi (Lecturae), il de Vitoria tenne spesso quegli approfondimenti o corsi speciali che vanno sotto il nome di Relectiones. In esse si trova la risposta a tutte le questioni urgenti del suo tempo attraverso l’attualizzazione del pensiero tomista.
La sintesi fra teoria e pratica, fra speculazione ed etica, raggiunge in lui un equilibrio difficilmente riscontrabile in altri teologi. Celebre come padre dell'ideale di giustizia e di pace fra le genti del mondo, il De Vitoria era cresciuto intellettualmente meditando sulla Summa Theologiae di S. Tommaso. Il suo umanesimo era dunque un umanesimo dalle radici teologiche.
Fu a Valladolid che tenne delle lezioni sulla Prima Pars della Summa [10] e sulla Prima Secundae. Mentre cresceva in lui l'esigenza di un supporto teologico al suo pensiero tendenzialmente etico, la città fu scossa dalla cosiddetta controversia delle Indie, innescata dalle appassionate denunce (1511) del confratello fra Antonio Montesinos contro gli encomenderos che opprimevano gli Indios d'America, ed ora continuata dal Las Casas.
Valladolid era la città ideale per conoscere i fatti. Qui c'era la cancelleria reale e dalla sua università proveniva quel Matias de Paz, che contribuì alla redazione delle Nuevas leyes de las Indias (1513). Il domenicano aveva scritto anche l'opuscolo De dominio regum Hispaniae super Indos che, insieme all'altro opuscolo di Juan Lopez de Palacios Rubios, De insulis oceanis, formò la base di quella conferma delle "Nuove Leggi", nota come Requierimiento. Stretti contatti il de Vitoria ebbe con il presidente del Consiglio delle Indie, Garcìa de Loaysa, che era anch’egli un ex alunno del collegio di S. Gregorio. Quando, perciò, fu chiamato alla cattedra di "Prima Teologia" a Salamanca (1526) il de Vitoria non era solo il teologo più affermato, ma anche particolarmente informato sulla verità dei fatti d'America.
Tuttavia, inizialmente evitò di entrare direttamente nella controversia, non si sa se per ragioni di convenienza oppure per meglio raffinare le basi teoriche del discorso sul senso dell’autorità nella società.
Per lui, la base di tutto il sistema morale e politico, dal privato all’internazionale, poggia su un principio fondamentale: la natura dell’uomo creato ad immagine di Dio (Homo est imago Dei per naturam, scilicet per potentias rationales). E’ questo un principio teologico dalle radici biblico-patristiche che pone le basi di un principio antropologico e sociologico, che è la fondamentale uguaglianza fra tutti gli uomini. Con l’affermazione dell’uguale dignità si pone ovviamente anche quello della libertà.
A questo punto però si inserisce una caratteristica, che se non è di origine divina, è comunque fondante della convivenza civile: la comunicazione fra gli uomini derivante dalla loro socievolezza. E qui la dignità e la libertà si coniugano con l’autorità. La legittimità di un'autorità (potestas civilis) è basata sul fatto che "l'uomo è per natura socievole, e per lui la città è un fatto naturale". Di conseguenza, se la società civile e politica, come dice S. Tommaso, è una "moltitudine ordinata", è anche necessario che ci sia una potestà civile che renda ordinata ed attuabile la convivenza sociale. Come corrispondente all'ordine voluto da Dio, la causa efficiente del diritto è d'origine divina. Tuttavia, la sua determinazione concreta è di diritto positivo. La potestà è della comunità politica, la quale la trasferisce al principe, senza che tuttavia ciò comporti un'abdicazione definitiva.
Da un punto di vista pratico e di attualità, tale principio dell'origine naturale e divina del potere portava il de Vitoria a concludere per la legittimità del governo dei prìncipi pagani (e quindi anche indios). Di conseguenza, i prìncipi cristiani non hanno alcun diritto, se non hanno subìto alcuna ingiuria, di privare i non cristiani della loro potestà. Per lui, dunque, la legittimità dell’autorità e del governo non dipendono dal grado di civiltà e neppure dalla loro appartenenza religiosa. Affermazioni che suonavano rivoluzionarie in una società che non solo era convinta che alcuni popoli fossero naturalmente inferiori e destinati alla schiavitù (come i negri e gli indios), ma che si faceva scudo dell’intento evangelizzatore per appropriarsi delle loro terre e soprattutto del loro oro.
Per quanto riguarda la potestà ecclesiastica, due posizioni si fronteggiavano al tempo del de Vitoria, quella teocratica, che vedeva nel papa il dominus orbis, e quella radical-democratica e conciliarista. Seguendo sempre le posizioni moderate di S. Tommaso, egli rigettava la concezione teocratica, ma evitava pure quella democratico-conciliarista, seguendo in ciò i confratelli Giovanni di Torquemada (1388-1468; Summa de Ecclesia), e Caietano (De auctoritate Papae et Concilii, 1511, e Apologia de comparata auctoritate Papae et Concilii). Nel temporale prevale l'autorità civile, nello spirituale quella ecclesiastica e quindi il papa. Quest'ultimo non ha quindi alcun dominio sul temporale, e di conseguenza nemmeno sui territori dei non cristiani.
Implicazioni sui rapporti fra principi cristiani e pagani si riscontrano anche in un frammento legato alla Relectio de temperantia, che tratta del rapporto fra gli uomini e le cose, nonché del tipo di dominio sulle stesse. Dopo aver ribadito la necessità di agire secondo natura, vale a dire considerando lecito cibarsi con carne di qualsiasi animale eccetto che dell’uomo (antropofagia), il de Vitoria si domandava se i prìncipi cristiani possono muovere guerra ai prìncipi pagani che immolano sacrifici umani, che permettono l'antropofagia o che fanno uccidere i predicatori del Vangelo. Coerentemente con quanto detto sul diritto divino della potestà, per lui non esiste guerra che sia giustificata perché rivolta contro i pagani. Il discorso è perfettamente lo stesso se il "nemico" fosse un altro popolo cristiano. Si può procedere ad un intervento armato per salvare gli innocenti, ma dopo è necessario ritirarsi, in modo da non trasformare un intervento legittimato dalla Bibbia in una guerra di conquista e di occupazione, che non ha alcuna giustificazione giuridica o morale.
"Pensatore attento alla storia" lo definisce giustamente Ada Lamacchia. Le sfide e le provocazioni derivanti dai cambiamenti in corso, e non solo dalla scoperta dell'America, spinsero il de Vitoria a prendere posizione su vari problemi di attualità. Nel 1534, ad esempio, scrisse una lettera al provinciale dell'Andalusìa esprimendo il suo sdegno per l'uccisione del re Atahualpa durante la conquista del Perù.
I tanti accenni qua e là nelle altre Relectiones indicano bene come il pensiero del de Vitoria stesse convergendo verso i temi che più gli stavano a cuore, e che vedevano coinvolti i suoi confratelli in prima linea, vale a dire l'esposizione di una base teorica per un trattamento degli Indios secondo i principi della giustizia. Questo egli fece nella Relectio de Indis recenter inventis, tenuta durante il corso accademico 1537-1538.
In quegli stessi anni il confratello Bartolomeo Las Casas stava incontrando una vivace opposizione anche in ambienti ecclesiastici. Da tempo interessato alla questione, Francisco de Vitoria non si limitò ad una difesa d'ufficio del confratello, ma sviluppò l'argomento espressamente in due "trattati" scolastici (le Relectiones, appunto), che per la loro natura vennero a costituire le basi di quello che sarà poi il diritto internazionale.
Per il de Vitoria il diritto delle genti (ius gentium) deriva direttamente dal diritto naturale. Al contempo però si tratta di un diritto aperto alla comunicazione fra le genti (nunquam enim fuit intentio gentium per illam divisionem tollere hominum invicem communicationem). Di conseguenza gli spagnoli hanno pieno diritto di stare nei territori degli Indios, purché non arrechino danni e che si preoccupino del progresso di queste popolazioni.
Cosi Luciano Pereña, autore dell'edizione critica del testo, sintetizza il suo messaggio:
Vitoria aveva sottratto valore e forza agli argomenti sui quali si fondava l'imperialismo cristiano. L'imperatore non era il signore del mondo. Se gli Indios rifiutavano assolutamente di riconoscere la sovranità del Papa, non per questo diveniva legittimo far loro guerra, né impossessarsi dei loro beni. Tanto meno l'imperatore era autorizzato a punire i peccati che essi commettevano contro la legge naturale, e ciò nemmeno per delega di Alessandro VI. Non era lecito obbligarli con la forza a convertirsi alla religione cristiana. Se egli giustificava il dominio della Spagna in America, proclamava anche i diritti dei popoli indios di fronte alla Spagna, come membri di pari dignità nella comunità internazionale.
Ebbe un bel da fare il de Vitoria a costellare le sue argomentazioni di citazioni da S. Tommaso e dal Caietano. Il suo discorso era più diretto e inequivocabile, e rovesciava le convinzioni correnti sulla auctoritas del papa e dell'imperatore. Senza dire che se alcuni temi potevano ritrovarsi in S. Tommaso, altri erano del tutto nuovi. Vale la pena menzionarne alcuni.
Per lui, ad esempio, il diritto di proprietà nasce dal consenso virtuale (e non da un patto formale) motivato dal desiderio di evitare la confusione e la sopraffazione che sorgerebbe da una proprietà comune. Il mare deve rimanere liberamente percorribile. Gli ambasciatori vanno rispettati, anche perché mediatori di pace dopo le guerre. Questo insistere sul diritto oggettivo delle genti in un’epoca in cui l'autorità imperiale e papale erano considerate come le sorgenti del diritto, non poteva che apparire rivoluzionario[11].
Non c'è dunque da meravigliarsi che lo stesso Carlo V intervenisse, scrivendo una dura lettera al priore di San Estéban di Salamanca. in cui gli ordinava di vietare la diffusione di tali dottrine lesive dell'autorità sia ecclesiastica che temporale. Ma, alla lunga, l'autorevolezza teologica e morale del de Vitoria la spuntò.
Alla sua morte (1546), fu sepolto nel "Pantheon dei Teologi", cioè nella sala capitolare del convento di San Esteban di Salamanca. Con lui si spegneva una figura eccezionale di "teologo", un pensatore che, fondandosi su quella "Bibbia" dei Domenicani che è la Summa Theologica di S. Tommaso, seppe farla rivivere e parlare agli uomini del suo tempo, proponendo princìpi giuridici e antropologici che sono divenuti patrimonio dell'umanità.
Scrive José F. Castaño a proposito della questione su a chi spetti il titolo di fondatore del diritto internazionale:
In generale tale merito era stato attribuito non a De Vitoria ma all’olandese Ugo Grozio che è vissuto un secolo dopo il Maestro salmantino. Per contro oggi si sta imponendo tra giuristi e storici la tesi secondo la quale non Grozio ma De Vitoria è il vero fondatore del moderno diritto internazionale. Ci sia permesso di citare alcuni degli autori più rappresentativi che ritengono senza ambagi De Vitoria come fondatore del moderno diritto internazionale. J. Brown Scott, J. Barthélémy, E. Nys, J. Soder, N. Pfeiffer, L. Alonso Getino, C. Bàrcia Trelles, V. Beltràn de Heredia, V. Carro, A. Truyol Serra, L. Pereña, A. Horna, R. Iannarone, R. Hernàndez, J. Barrado, ecc. (…) Che De Vitoria ha avuto un influsso, anzi un grande influsso, sull’opera di Grozio è stato dimostrato più che sufficientemnente. Basta ricordare che l’olandese cita almeno 126 volte il Maestro De Vitoria a proposito dei punti seguenti: 1) sulla concezione universalistica del mondo o “Totus Orbis” “come società universale dei popoli politicamente organizzati che vivono insieme sulla base del principio di uguaglianza”, 2) nella affermazione di un diritto naturale alla comunicazione fra tutti i popoli (lo ius communicationis); 3) nel principio della libertà dei mari (lo ius maritimum), e 4) finalmente nella questione allora così discussa sul diritto della guerra giusta [12].
[1] Nato nel 1483 a Burgos entrò nel locale convento domenicano di S. Pablo. Aveva 25 anni allorché fu inviato al collegio domenicano di St. Jacques, aggregato all'università di Parigi. Qui era in corso un'azione di rinnovamento la cui anima era padre Pietro Crockaert (1470-1514), il quale, rinunciando alle Sentenze di Pietro Lombardo, usava come manuale di teologia la Summa di S. Tommaso. Nonostante la giovane età, il Crockaert coinvolse il de Vitoria nel programma editoriale della Summa Theologica, affidandogli la Secunda Secundae. Con il prologo del de Vitoria, la Secunda Secundae usci nel 1512. Nel 1516. sempre a Saint Jacques, gli veniva affidata la cattedra di teologia per stranieri. Quando ormai la fama come docente si era notevolmente consolidata, nel 1523 fu chiamato ad occupare la prima cattedra di Teologia al collegio di S. Gregorio di Valladolid. Nel 1540 venne consultato nella scelta dei missionari per l'America. L'anno successivo partecipò ad una consulta imperiale sui metodi di evangelizzazione, e nel 1542 venivano promulgate quelle Leyes nuevas de Indias in cui era confluita gran parte del suo pensiero. Ammalatosi di gotta nel 1543, non potè recarsi come teologo imperiale nel 1545 al concilio di Trento. L'imperatore gli aveva scritto di prepararsi al viaggio per il concilio di Trento. Vitoria gli rispose che stava preparandosi, al viaggio, ma non verso Trento, bensì «per l'altro mondo». Il 12 agosto 1546 moriva. Dalla ricca bibliografia si segnalano: L. G. Alonso Getino, El maestro Fr. Francisco de Vitoria. Su vida, su doctrina e influencia, Madrid 1930 (2ª ed.); V. Beltràn de Heredia, Francisco de Vitoria, Barcelona 1939. Vedi anche la Relectio de Indis. La questione degli indios, a cura di Ada Lamacchia, Levante Editori, Bari 1996.
[2] Rettore del collegio S. Bartolomeo, scrisse i trattati De reformatione Ecclesiae, De potestate papae (piuttosto conciliarista) e il De indulgentiis.
[3] Defensio Doctoris S. Thomae Aquinatis ab impugnationibus Matthiae Dorink, Siviglia 1491; Novae defensiones Doctoris Angelici S. Thomae super IV libros Sententiarum, Siviglia 1517. L’Opera omnia fu stampata a Madrid nel 1576.
[4] Cfr. V. Beltràn de Heredia, Commentarios a la Secunda Secundae de Santo Tomàs, I-V, Salamanca 1932-1935; VI, Salamanca 1952.
[5] Cfr. C. Pozo, Fuentes para la historia del método teològico en la Escuela de Salamanca, I, Granada 1962, pp. 15-19.
[6] V. Beltràn de Heredia, Orientaciòn humanistica de la teologìa vitoriana, in La Ciencia Tomista, 72 (1947), pp. 7-27.
[7] De Vitoria, Sacra Doctrina, edito a cura di C. Pozo, in Archivo Teològico Granadino, 20 (1957), pp. 417-419.
[8] Cfr. L. Vives a Erasmo in Opus epistola rum Desiderii Erasmi Roterodami, a cura di P. S. Allen, Oxford 1906, vol. VII, pp. 83-85. Cito da Ramòn Hernàndez, Francisco de Vitoria en la crisis de su tiempo, in AA. VV., I diritti dell’uomo e la pace nel pensiero di Francisco de Vitoria e Bartolomé de Las Casas, Studia Universitatis S. Thomae in Urbe, 29, Massimo, Milano 1988, p. 42.
[9] V. Beltràn de Heredia, Los manuscritos de Fray Francisco de Vitoria, Madrid, Valencia 1928, p. 35. Ecco la classificazione delle Relectiones secondo l’Heredia: De potestate civili (1528), De homicidio (1530), De matrimonio (1531), De potestate Ecclesiae (1532), De potestate Ecclesiae posterior (1533), De potestate Papae et Concilii (1534), De augmento caritatis (1535), De eo quod tenetur veniens ad usum rationis (1535), De simonia (1536), De temperantia (1537), De Indis (1539), De Indis, seu de iure belli (1539), De magia (1540).
[10] In primam partem S. Thomae, in C. Pozo, De Sacra Doctrina. In 1 p. q. 1 de Francisco de Vitoria, Archivo Teològico Granadino, XX (1957), pp. 307-426.
[11] Sul De Vitoria e il suo ruolo nella creazione del diritto delle genti, vedi G. Barcia-Trelles, Francisco de Vitoria fundator del Derecho internacional moderno, Madrid 1928; J. Brown Scott, El descubrimiento de America y su influjo en el derecho internacional, Madrid 1930; J. Baumel, Le Droit international public, la découverte de l’Amérique et les théories de François de Vitoria, Montpellier 1931; H. Muñoz, Vitoria and the conquest of America, in Unitas XIV-XV (1936-37); M. Martinez, En el cuarto centenario de las Leyes de Indias, in Ciencia Tomista 34 (1943), pp. 39-58; A. Figueras, La Escuela Dominicana en la Legislacion de Indias, in Ciencia Tomista 34 (1943), pp. 114-170.
[12] José F. Castaño, Il diritto internazionale da Francisco de Vitoria a oggi, in AA. VV. I diritti dell’uomo, cit., pp. 105-106. L’autore specifica come Grozio citi il De Vitoria 68 volte nel De iure proedae, e 58 nel De iure belli et pacis. Sua fonte è A. Truyol, F. Vitoria y H. Grocio. Cofundadores del Derecho Internacional, in “La Ciencia Tomista”, 111 (1984), p. 23.
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