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pedro de cordoba e montesinos
Benché i Domenicani avessero fatto tanto per Colombo, ci vollero ben 18 anni prima che si decidessero a partire per la grande avventura. Il maestro generale Tommaso de Vio, detto il Caietano (dalla patria d'origine) nel 1508 scrisse al vicario provinciale di Spagna di provvedere a mandare dei frati e fondare un convento a Santo Domingo. Finalmente, nel 1510 partirono fra Pietro di Cordova, fra Antonio de Montesinos e fra Bernardo di S. Domenico. Con l'entusiasmo evangelico che li distingueva essi lavorarono al contempo alla costruzione della chiesa di S. Domenico e alla difesa degli Indios.
L'inizio fu comunque difficile. Ad accoglierli fu un devoto cristiano di nome Pedro de Lumbreras, che assegnò loro un angolo della sua azienda. Dopo aver fatto un lungo cammino, i frati furono ricevuti dal governatore Diego Colón e Dona Maria de Toledo, nella città di Concepción de la Vega. Il priore Pedro de Cordoba durante la messa della domenica successiva (ottava di Tutti i Santi) chiese ai proprietari spagnoli di far venire i loro Indios alla chiesa. Questi vennero in massa e fra Pedro predicò il suo primo sermone sulla creazione, la vita di Cristo, la crocifissione e la resurrezione. Il tono ispirato impressionò non solo gli Indios, ma anche gli Spagnoli presenti.
In questi primi mesi i frati ebbero occasione di assistere a dei maltrattamenti degli indios, ma avevano pensato che si trattasse di episodi. Un giorno però si presentò al convento tale Juan Garcés, che si era nascosto nella giungla per quattro anni, essendo ricercato per aver ucciso la moglie che aveva commesso adulterio. Nella giungla Garcés aveva imparato vari dialetti indii, ed oltre che del suo sincero pentimento convinse i frati che averlo con loro sarebbe stato di grande utilità per la comunità. Fu lui a rivelare le atrocità degli Spagnoli nei confronti degli indigeni. Appena i frati ebbero verificato la veridicità dei suoi racconti, decisero di prendere una posizione netta, concordando comunitariamente un sermone da tenere nell'ultima domenica di Avvento.
Quel mattino salì sul pulpito fra Antonio de Montesinos, alla presenza del governatore e dei ricchi proprietari spagnoli. Improvvisamente lasciò la spiegazione liturgica sul significato dell'Avvento e attaccò il racconto di una serie di orrori commessi dagli stessi proprietari ai danni degli indios. Sottolineò soprattutto l'avidità degli Spagnoli che sfruttavano gli indios per il lavoro nelle miniere fino a che gli stessi non morivano stremati dalle fatiche. Eppure gli indios erano uomini come loro e dovevano essere amati come figli di Dio. Per cui, se non si fossero ravveduti, gli Spagnoli non sarebbero sfuggiti alla punizione di Dio e sarebbero finiti tra le fiamme dell'inferno:
Vi trovate tutti in peccato mortale, e in esso vivete e morite, a causa della crudeltà e della tirannia che usate con queste genti innocenti. Dite un po’: con che diritto e con quale giustizia tenete in così orribile asservimento questi indios ? Con quale autorità avete fatto così detestabili guerre a questa gente che se ne stava mite e pacifica nelle sue terre, dove, con rovine e uccisioni mai udite prima, ne avete distrutta una tale infinità ? Come fate a tenerli così oppressi e spossati, senza dar loro da mangiare né curarne le malattie, a cui sono esposti fino a morirne a causa dell’eccessivo lavoro che gli date da fare, o con cui – per meglio dire – li uccidete, per ricavare e accumulare ogni giorno oro ? E come vi interessate che ci sia chi li istruisca nella dottrina e che conoscano il loro Dio e creatore, che siano battezzati e ascoltino messa, osservino le feste e le domeniche ? Non sono uomini, questi ? Non hanno anime razionali ? Non siete tenuti ad amarli come amate voi stessi ? Non lo capite, questo ? Non lo sentite ? Come potete starvene addormentati in un così profondo letargo ? Siate certi che nello stato in cui vi trovate non potete salvarvi più dei mori o dei turchi, che mancano della fede in Gesù Cristo e non la vogliono! [1]
Mentre i presenti rumoreggiavano, egli continuò a condannare in nome del Vangelo il sistema tirannico delle spartizioni (encomiendas), contrario alla morale evangelica e agli interessi del re. Nel momento stesso in cui terminava la messa, il priore fra Pietro di Cordova fu avvicinato dai proprietari che gli domandarono una ritrattazione pubblica da parte del Montesinos. E questa fu anche la volontà di Diego Colòn, che minacciò i frati di rimandarli in Spagna.
I domenicani risposero che non avevano difficoltà a tornare in Spagna, in quanto avevano ben poche cose da portare con sé, i pochi libri e oggetti che potevano andare in due ceste soltanto. Il priore accettò comunque di far tornare il Montesinos sul pulpito per un secondo sermone. Il giorno prefissato il Montesinos salì sul pulpito dinanzi ad una gran folla fatta assembrare dal governatore e dai proprietari che si attendevano le scuse. Lungi dal ritrattare, fra Antonio rincarò la dose, adducendo altri particolari ed altre denunce. Diego Colón allora mandò una lettera al re di Spagna, in cui i domenicani erano descritti come sovvertitori delle leggi emanate dal re e del nuovo sistema creato dagli Spagnoli. Era l'inizio di una guerra aperta contro i frati, la cui unica arma, a parte le simpatie incondizionate degli indios, fu la compattezza.
A Santo Domingo c'erano anche i francescani, i quali forse per la tradizionale rivalità coi domenicani, avevano deciso di stare dalla parte del governatore. Diego Colón scelse come latore della sua lettera proprio uno di essi, fra Alonso del Espinal. Per presentare il loro punto di vista al re i domenicani scelsero il Montesinos, andando in giro a mendicare per fornirlo del cibo durante il viaggio. Lo ebbero, ma i benefattori chiesero di restare nell'anonimato.
In Spagna, mentre il francescano fu accolto con tutti gli onori e ricevuto alla presenza del re, il domenicano, per quante volte si presentasse, non fu mai ammesso alla presenza del re. Non solo. Ma re Ferdinando esortò il provinciale Alonso de Loaysa ad intervenire. Questi allora scrisse a Pedro de Cordoba, ricordandogli il motivo della loro partenza in missione, che era la conversione degli infedeli alla fede in Gesù Cristo, e non di sollevare questioni di carattere sociale che non competevano loro. In un’altra lettera diceva addirittura scandaloso il loro comportamento che nuoceva alla diffusione del cristianesimo in quelle terre. In una terza lettera all’intera comunità il provinciale esponeva l’errore dottrinale dei confratelli e i danni che da esso ne derivavano. Facendo propri gli argomenti del re, egli ricordava che il diritto di asservimento degli indios deriva jure belli dalla conquista, nonché dalla donazione papale. Senza dire che questa “erronea dottrina” porta gli abitanti alla ribellione. Pertanto, sotto pena di scomunica, nessuno osi più predicare in materia [2].
Contemporaneamente il re aveva scritto a Diego Colón, comunicandogli che i suoi teologi avevano ritenuto legittimo il nuovo sistema di leggi, e la stessa cosa aveva affermato il papa Alessandro VI, per cui i due sermoni del Montesinos erano da considerarsi pieni di eresie. Se i domenicani avessero perseverato nel fomentare discordie, egli aggiungeva, li avrebbe dovuti punire facendoli tornare in Spagna.
Pedro de Cordoba, che nel frattempo era partito, giunse in Spagna poco dopo che erano state promulgate le «Leggi di Burgos» (27.XII. 1512). Ricevuto dal re, ottenne che queste leggi fossero rivedute. Tuttavia, anche la nuova codificazione del 28 luglio 1513, a suo avviso, conteneva dei miglioramenti decisamente insufficienti. Un altro gruppo di domenicani partiva allora per le Americhe, ma andò incontro ad un tragico destino. Accolti favorevolmente da una tribù di indios sulle coste del Venezuela, assistettero impotenti ad uno sbarco di Spagnoli che rapirono il capo indio, la moglie e 17 parenti. Non riuscendo i frati a far tornare i rapiti, gli indios si vendicarono su di loro, massacrandoli tutti. Anche il tentativo di fra Pedro de Cordoba e Antonio de Montesinos di stabilire un convento sulla terra ferma fallì. Si salvarono solo fra Pedro e Antonio, in circostanze che gli storici ritennero come miracolose, e tornarono a Santo Domingo.
L’eroica lotta del Montesinos e del Cordoba spinse finalmente anche i francescani ad affiancare i domenicani. Mentre la decisa lotta di questi ultimi in difesa degli indios gettava il seme della conversione nel cuore di colui che sarà poi il protagonista assoluto di questa battaglia, Bartolomé de Las Casas. Vedendolo così entusiasta, Pedro de Cordoba gli confessava sconsolato che finché era in vita il re le cose difficilmente sarebbero cambiate. Cio nonostante in una lettera al re Pedro de Cordoba continuò a ribadire la sua convinzione che se fra loro (cioè gli Indios) entrassero predicatori soli, senza la forza e la violenza di questi sventurati cristiani, penso che fra loro si potrebbe fondare una Chiesa eccelsa quasi quanto la primitiva.[3]
Secondo il Las Casas, Pedro de Cordoba era un uomo di grande autorevolezza, uno che suscitava un senso di riverenza. Tutti coloro che lo vedevano, che gli parlavano o lo ascoltavano, capivano che Dio dimorava in lui, e che aveva tutti i caratteri della santità. Essi nutrivano per lui una grande stima e lo trattavano come un Santo e … certamente non sbagliavano [4].
Più tardi Pedro de Cordoba volle mettere per iscritto i principi dottrinali che avrebbero dovuto servire come base dell’evangelizzazione degli indios. E’ la cosiddetta Dottrina cristiana ad istruzione degli Indios, che fu stampata alcuni anni dopo in Messico e fu poi tradotta in varie lingue[5].
Quando Pedro de Cordoba morì di tubercolosi a 38 anni il 4 maggio 1521, il Montesinos nella festa di Santa Caterina da Siena tenne il sermone d'addio che cominciava con queste parole: Quam bonum et quam iucundum habitare fratres in unum (salmo 133: 1) [6].
[1] Cfr. Batolomé de Las Casas, Historia de las Indias, III, c. 4; II, 176. Cito da Gustavo Gutierrez, Alla ricerca dei poveri di Gesù Cristo. Il pensiero di bartolomé de Las Casas, BTC 80, Brescia 1995, pp. 43-44.
[2] Cfr. Mensajera del provincial de los dominicos para el Vicario general que està en las Indias, sobre lo de los sermones (16 marzo 1512), Mensajera del provincial de los dominicos para el Prior que està en las Indias (23 marzo 1512), e Mensajera del provincial de los dominicos para los dominicos que estan en las Indias, de reprehensiòn (marzo 1512), in Chacon y Calvo J. M., Cedulario Cubano. Los orìgenes de la colonizaciòn (1493-1512), Barcelona, I, rispettivamente pp, 425-426, 443-444, e 445-447..
[3] Carta al Rey, in Colecciòn de documentos inéditos relativos al descubrimiento, conquista y organizaciòn de las antiguas posesiones españolas de America, Madrid 1864-1884, 42 volumi (vol. XI, p. 217). Cito da Gutierrez, Alla ricerca, cit. p. 60.
[4] Cfr. Bartolomé de Las Casas, Historia de las Indias, lib. III, cap. IV. In Charles Gillen, Pedro de Cordoba et sa Communauté, précurseurs de Las Casas, Mémoire Dominicaine, n. 8 (1996), pp. 129-143.
[5] Doctrina cristiana para instrucciòn de los Indios, Mexico 1544 e 1548 (ed. Miguel Angel Medina, Salamanca 1987).
[6] Va tuttavia segnalato che la data della morte di fra Pedro de Cordoba presenta delle incognite. Oltre al 1521, più accreditato e condiviso dalla Stoudemire (che ha pubblicato in inglese la «Dottrina Cristiana» del missionario domenicano), c'è anche il 1525, preferito da altri. Il Walz scrive che nell'isola di Ispaniola (Santo Domingo) i Domenicani fondarono nel 1538 la prima università del Nuovo Mondo, e che Petrus Cordubensis ... eam cum gratia et protectione Caroli V erigendam curavit. Walz, Compendium, cit., p. 364. Probabilmente bisogna supporre più di un domenicano con questo nome. Ad esempio, sembra difficile identificare il nostro con quel Pedro de Cordoba che, secondo lo Llorente, il 7 gennaio 1519, ebbe l’incarico da parte di Carlo V, insieme a Alfonso Mance (vescovo di Puerto Rico), di organizzare l’Inquisizione delle Indie e delle isole dell’Oceano. E aggiunge che i nuovi inquisitori non tardarono a perseguitare gli indiani battezzati, che non avevano abbandonate tutte affatto le pratiche dell’antica loro idolatria. Cfr. Storia critica, p. 161. Da notare che lo Llorente chiama questo domenicano sotto provinciale, una carica che non esiste nell’Ordine (a meno che non si voglia intendere un vicario del Provinciale per una data missione o per un determinato ministero).
Ordine dei Predicatori
Provincia San Tommaso d'Aquino in Italia
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Tel +39 081.89.99.111 - Fax +39 081.89.99.314 - Mail: info@domenicani.net
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