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enrico susone
di P. Gerardo Cioffari OP
Con la morte di Eckhart lo Studium generale di Colonia restava senza una guida, né l’Ordine poteva permettersi di sostituire il maestro con un suo seguace, come Enrico Susone. Al capitolo provinciale di Treviri (1332) quest’ultimo fu sospeso dall’insegnamento. Si parlava di proposizioni sospette d’eresia, ma era ovvio che ci si riferiva alla sua fedeltà a Maestro Eckhart.Troppi problemi l’Ordine stava vivendo nei rapporti col papato per inasprire ulteriormente la situazione. Così solo nel 1335 fu nominato il nuovo lector primarius nella persona di Berthold di Moosburg, il quale, pur prendendo una via diversa da Eckhart, fece affermare una filosofia, quella neoplatonica, che servì da “legittimazione” della corrente Eckhartiana. Già lettore nel convento di Regensburg, Berthold aveva composto un commento integrale degli Elementi di teologia di Proclo. Non era il pensiero Eckhartiano, ma era pur sempre un ritorno di Platone in una terra ove sempre più si affermava la metafisica aristotelica[1]. Colui invece che garantì la continuità del pensiero eckhartiano fu Enrico Susone, di quasi dieci anni più giovane di Taulero.
Nato a Costanza nel 1295 Heinrich Seuse[2] entrò a 13 anni novizio nel locale convento domenicano di S. Nicola. Dopo cinque anni mediocri, avvertì il bisogno di tendere alla perfezione, e per un maggiore controllo delle passioni cominciò ad infliggersi diverse penitenze corporali (fra cui l’incisione sul petto del monogramma JHS). Sembra che tale conversione sia avvenuta a seguito di una visione della Sapienza eterna, della quale divenne discepolo col nome di Amandus. Verso i quaranta anni però il Signore lo convinse che era più importante sapere accettare le avversità della vita che non fare dure penitenze.
Dopo i primi studi a Strasburgo, passò allo Studio generale di Colonia. Qui tra il 1322 e il 1325 dovette conoscere Eckhart, almeno a giudicare dall’ammirazione che dimostra nei suoi scritti, ove parla delle dolci dottrine del santo maestro Eckhart. Durante il processo al maestro fu convocato anche lui dinanzi ad un capitolo per discolparsi. Tornato a Costanza nel 1329 vi insegnò teologia, dedicandosi al contempo alla stesura del Libro dell’eterna Sapienza, e del Libro della Verità. In quest’ultimo libro prese apertamente le difese di Eckhart, ed alcuni studiosi hanno collegato il fatto con la deposizione di un priore di Costanza nel capitolo provinciale di Bruges (si è pensato infatti che fosse lui quel priore). Alla sua fedeltà al maestro sono connesse le accuse durante il capitolo generale e provinciale di Maastricht (1330), e la conseguente sospensione dall’insegnamento nel 1332 (e fino al 1335). Riprese però l’insegnamento, rimanendo a lungo lettore nel convento di Costanza.
Susone si diede in quel periodo ad una intensa attività predicatoria oltre che di direzione spirituale. Ma nel 1339, essendo stato il convento di Costanza disperso per aver preso partito contro l’imperatore Ludovico di Baviera nello scontro col papa Giovanni XXII, anche Susono dovette recarsi presso il convento di Diessenhofen, ove nel 1343 divenne priore. Rientrato nel 1346 a Costanza, dovette sopportare due accuse una più grave dell’altra. La prima riguardava la sua partecipazione all’avvelenamento di pozzi attuata dagli ebrei e che per questi ultimi portò a violenze e saccheggi popolari, nonché alla messa al rogo di diverse centinaia di loro. Un’accusa che portò l’amico Enrico di Nördlingen a dissociarsi: Il mio cuore non è più legato a Suso come un tempo. A quest’accusa si aggiunse poco dopo la calunnia di una giovane donna (che diceva di avere avuto un figlio da lui) e dovette nel 1348 trasferirsi ad Ulm, ove morì il 25 gennaio 1366.
Sembra che nel 1362 abbia permesso alla sua figlia spirituale Elisabetta Stagel di Zurigo (nel monastero delle domenicane di Töss, presso Winterthur) di scrivere un diario della sua vita, noto come Exemplar. Nel revisionarlo egli vi aggiunse gran parte dei suoi scritti in tedesco. L’ingenuità però con cui descrive le sue penitenze ha spinto alcuni studiosi a mettere in dubbio l’autenticità dello scritto.
Il Libro dell’eterna Sapienza (Büchlein der ewigen Weisheit)[3] è sotto forma di dialogo tra il servo (Susone) e la Saggezza per ravvivare nei cuori il fuoco dell’amore divino. Nel dialogo non sempre si evince che cosa il Susone intenda per Saggezza, se il Logos, l’attributo divino o la stessa umanità del Cristo. Partendo dalle sofferenze del Cristo e della Madonna, il mistico tedesco evidenzia la gravità e le conseguenze del peccato. Passando attraverso le sofferenze del Cristo ci si apre la strada verso la contemplazione della deità sottratta al divenire (ungewordenen Gotheit), che tra l’altro offre le basi alla disposizione del cristiano dinanzi ad una santa morte.
In Susone la passione e le sofferenze del Cristo fanno da sfondo al concetto di abbandono. E per meglio sottolineare il senso dell’abbandono ricorre all’immagine dello straccio:
Un mattino dopo la messa, il Servitore era seduto tristemente nella sua cella, riflettendo su ciò che gli era capitato. Era intirizzito dal freddo, essendo inverno. D’improvviso una voce gli disse dentro di lui: “Apri la finestra della cella, guarda e impara!”. Egli l’aperse e guardò. Vide un cane che correva all’interno del chiostro, tenendo nelle fauci un povero strofinaccio per i piedi. Ne faceva quel che voleva: lo gettava per aria, lo strascinava per terra, lo faceva a brandelli. Il Servitore sollevò gli occhi, emise un profondo sospiro, e la voce interiore gli disse: “Tale tu sarai nella bocca dei tuoi fratelli”. Pensò dentro di sé: “Se non può essere diversamente, rassegnati e vedi come lo strofinaccio si lascia maltrattare in silenzio. Fa la stessa cosa”. Egli raccolse e conservò lo straccio per lunghi anni, come se fosse un tesoro prezioso.[4]
L’invito a tener conto dei dolori del Cristo e della Madonna in Germania avvicinava il Libro dell’eterna Saggezza all’Imitazione di Cristo. Una sintesi da offrire al maestro dell’Ordine Enrico di Veaucemain divenne nota come Horologium Sapientiae, noto anche al Taulero. In linea col Libro dell’eterna Sapienza è anche il Piccolo libro dell’amore nel quale Susone esprime bene la devozione cristiana medioevale verso la passione di Cristo e la sofferenza che sorge nel cuore a meditare i vari momenti della passione. Dopo aver descritto con grande partecipazione i dolori del Cristo, Suso riporta anche la sua reazione: O lacrime brucianti, colate senza posa dal fondo del mio cuore, per ungere tutte le piaghe del mio Diletto. Quale cuore, fosse pure di pietra, fosse pure di ferro, non resterebbe intenerito davanti a tutte le ferite che ti sono state inflitte? Ah, maestro mio dolcissimo, chi mi darà di poter morire per te? Poiché io desidero che ogni mia forza muoia con te, che tutte le mie ossa siano spezzate con le tue, che la mia anima sia appiccata e penda dalla croce con te…. Consurge consurge! Su, su, o cuore mio! Alzati, rivesti la forza divina, opera virilmente, sii coraggioso, sii ardito e non avere paura! Non tornare indietro! Non fuggire mai!Metti davanti allo sguardo il tuo re e la tua guiida, che si è battuta coraggiosamente per te, che per te ha sofferto ferite da morirne, che ha vinto la morte attraverso l’amarezza della sua morte, che ti ha offerto la sua mano destra per soccorrerti.[5] E’ forse questo afflato ascetico cristologico che maggiormente differenzia caratterialmente Suso sia da Eckhart che da Taulero. Anche in quest’ultimo è forte il senso della croce, tuttavia lo stile “insegnamento” si presenta alquanto più freddo e distaccato del dialogo diretto e personale.
Il Libro della Verità (Büchlein der Wahrheit)[6] è ugualmente sotto forma di dialogo. Ivi Susone cerca di difendere l’ortodossia di Eckhart, e qua e là riprende anche la terminologia, come quando parla di Dio come del Nulla-eterno, del distacco dalle creature, del ritorno a Dio. Non è però una semplice apologia del maestro. Nel riportare il pensiero di Eckhart, Susone si dimostra robusto pensatore dalla personale speculazione. La difesa del maestro procede attraverso la differenziazione del suo pensiero da quello della setta del Libero Spirito. Ad evitare ogni ulteriore equivoco, Susone attacca con decisione il capo della setta, il Selvaggio senza nome, che appare drammaticamente nel sesto capitolo. In lui però prevale la spontaneità e l’innocenza, oltre che una grande dolcezza. Il suo linguaggio è decisamente più accessibile.
Non mancano tuttavia le prese di distanza da Eckhart, come ad esempio la tesi secondo cui c’è più nobiltà nella cosa vista in sé stessa, piuttosto che nel suo essere eterno in Dio (per Eckhart era il contrario). Ancora più importante è la distanza su un punto centrale, quello della divinizzazione. Mentre per Eckhart il Padre dandoci il Figlio, ci ha dato tutto ciò che appartiene al Figlio, come il fuoco, generando un altro fuoco, gli dona tutto ciò che appartiene al fuoco. Per Susone invece, Per quanto lontano ci si spinga nell’allontanamento da sé stessi, per quanto puro sia il proprio abbandono nella verità, non può avvenire che l’uomo sia trasceso fino alla sussistenza della persona divina e perda la sua. In altri termini più nettamente che Eckhart, Susone stabilisce la differenza fra la divinizzazione sulla terra, che è ad immagine (nachbildet) di quella dei beati, e quella appunto della visione beatifica. La divinizzazione può dunque essere raggiunta quaggiù, ma trova il suo compimento nell’aldilà.[7]
In generale si può dire che Susone non è molto originale quanto al contenuto (che dipende chiaramente dall’Eckhart), ma molto per quanto riguarda la dolcezza dell’esposizione, la ricchezza d’immagini esposte secondo un personalissimo senso estetico. Come per Eckhart e tutta la teologia apofatica l’ascesa verso Dio comincia dalla rinuncia a sé e alla propria volontà. Per Susone questo abbandono (gelazenheit) passa attraverso la sofferenza e soprattutto per la Passione di Cristo. L’aspetto cristologico è qui più avvertito. L’ascesi e le mortificazioni trovano una giustificazione ed una magistrale collocazione nelle sofferenze del Cristo. Tutta la via verso Dio è compendiata in tre fasi: deporre la forma creata (Entbildetwerden von der Creatur), conformarsi a Cristo (Gebildetwerden mit Cristo), trasformarsi nella divinità (Uberbildetwerden in der Gottheit).[8] replique montre
[1] Cfr. R. Imbach, Le (neo)platonisme médiéval: Proclus latin et l’école dominicaine allemande, in Révue de Théologie et de Philosophie, 110 (1978), pp. 427-448 ; anche Alain de Libera, Eckhart, Suso e Taulero, cit., pp. 48-49.
[2] Su di lui vedi tra l’altro Giovanna della Croce, Enrico Suso. La sua vita, la sua fortuna in Italia,Milano 1971.
[3] Edito da K. Bihlmeyer, Heinrich Seuse. Deutsche Schriften, Stuttgart 1907, pp. 196-325.
[4] Cfr. Suso, Grande libro delle lettere, lettera XII sul Cantico dei Cantici, 1, 4: “Sono nera ma bella”. Cito da De Libera, Eckhart, cit., p. 104.
[5] Cfr. Suso, Piccolo Libro dell’Amore, III, citato da De Libera, Eckhart, cit., p. 105-106.
[6] Edito da K. Bihlmeyer, Heinrich Seuse, cit., pp. 326-359.
[7] Cfr. A. De Libera, Eckhart, Suso e Taulero, cit., p. 58.
[8] Cfr. Suso, Libro della vita, XLIX, in De Libera, Eckhart, cit., p. 61 e 99.
Ordine dei Predicatori
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Tel +39 081.89.99.111 - Fax +39 081.89.99.314 - Mail: info@domenicani.net
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