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beato angelico
di P. Gerardo Cioffari OP
In mezzo a tanti frati che si distinsero per talento artistico fra XIII e XV secolo il più celebre resta comunque fra Giovanni da Fiesole, meglio noto come il Beato Angelico[1]. Il suo nome era Guidolino di Pietro, ed era nato a Vicchio di Mugello nel 1387[2]. All’età di 20 anni entrò nel convento domenicano di Fiesole, insieme al fratello fra Benedetto. Quindi in S. Domenico di Cortona fece la professione, prendendo il nome di fra Giovanni.
Nel contesto dello scisma i frati di Fiesole nel 1409 dovettero trasferirsi a Foligno, riottenendo la sede solo nel 1418. Intanto, l’anno precedente (1417) col nome di Guido di Piero, dipintore, del popolo di S. Michele Bisdomini era entrato nella Compagnia di S. Niccolò, un’assiciazione che, sul tipo di quella di S. Luca, raccoglieva pittori ed artigiani della pittura. Trattavasi di una compagnia con tanto di statuto che offriva esperienza ai principianti, diritti e privilegi ai soci anziani, secondo statuti ben definiti. In particolare in quel periodo la compagnia era abbastanza vivace, venendo a farvi parte diversi talenti, come ad esempio Filippo Lippi[3].
Pur dovendosi muovere qua e là per ragioni di lavoro, fra Angelico trascorse il trentennio successivo a Fiesole. In questo periodo fiesolano la sua arte fu già apprezzata, tanto che non si limitò a lavori per i frati e i conventi domenicani, ma anche a dipinti su diverse committenze. Così, ad esempio, nel 1437 l’Angelico eseguì il trittico di Perugia, vale a dire una grande pala d’altare per la cappella di S. Nicola nella chiesa di S. Domenico di Perugia. Questa era posta sotto il patronato della famiglia del vescovo Guidalotti, quasi certamente committente dell’opera. Il Baldini la considera uno dei capolavori dell’Angelico: Opera importante che nella più insistita orientazione rinascimentale con la luce proveniente da sinistra e usata perciò in odo ancora più rigoroso come elemento razionale, nello splendore gemmeo del pigmento pittorico, nell’attenta elaborazione anche del dato decorativo, raggiunge toni atmesferici straordinari. Quei toni cristallini e al tempo stesso preziosi dovettero a ragione colpire Domenico Veneziano, che proprio da Perugia il 1° aprile del 1438 scrivendo e offrendo servigi della sua arte a Piero de’ Medici, poneva l’Angelico tra i maggiori maestri di Firenze[4].
Il suo profondo legame con l’Ordine domenicano lo manifestò a più riprese, in particolare nella chiesa e nel convento di Fiesole ed in S. Marco di Firenze. Ma, anche quando lavorava in “trasferta” non mancava di inserirvi storie prese dalla vita di S. Domenico e altri Santi domenicani. Ad esempio, allorché a Cortona dipinse il trittico della Madonna col Bambino ed Angeli, la relativa predella presenta alcuni momenti salienti dell’origine dell’Ordine, dal sogno di Innocenzo III che vede Domenico arrestare la rovina della Chiesa , all’incontro di Francesco e Domeico, all’apparizione dei santi Pietro e Paolo a Domenico, alla guarigione di Napoleone Orsini, al miracolo del libro che non brucia, alla cena dei frati servita dagli angeli, fino alla morte di S. Domenico. Tutte storie care alla tradizione domenicana[5].
Poco dopo, e precisamente negli anni 1438-1445 lavorò alla decorazione pittorica del convento di S. Marco (la pala d’altare contiene storie dei santi Cosma e Damiano). Già dei monaci silvestrini, questo convento nel 1437 era stato ristrutturato su disegno del Michelozzo e donato da Cosimo il Vecchio de’ Medici ai Domenicani. Qui dipinse Cristo sul sarcofago, Gesù pellegrino, Santi domenicani, il Crocefisso e S. Domenico.
Durante tutto questo periodo, interpretando il meglio dello spirito della riforma introdotta dal beato Giovanni Dominici, visse a Fiesole la sua vita religiosa domenicana esprimendo nell’arte pittorica la sua ricca e fine spiritualità. Il rapporto fra la sua arte e la sua santità di vita nel convento di Fiesole è sottolineato un secolo dopo dal Vasari:
Frate Giovanni Angelico da Fiesole… essendo non meno stato eccellente pittore e miniatore che ottimo religioso, merita, per l’una e per l’altra cagione, che di lui sia fatta onoratissima memoria. (…) Insomma, fu questo non mai abbastanza lodato Padre in tutte l’opere e ragionamenti suoi umilissimo e modesto, e nelle sue pitture facile e devoto; ed i santi che egli dipinse hanno più aria e somiglianza di santi, che quelli di qualunque altro. Aveva per costume non ritoccare né raccorciare mai alcuna sua dipintura, ma lasciarle sempre in quel modo che erano venute la prima volta, per credere, secondo ch’egli diceva, che così fusse la volontà di Dio[6].
Ormai noto non solo a Firenze ma anche a Roma, da questa vita conventuale a Fiesole lo allontanò il papa, che nel 1447 lo volle a Roma per dipingere la cappella del Sacramento in Vaticano, oltre che la cappella di S. Brizio nel Duomo di Orvieto. Nel 1449 eseguiva la decorazione dello studio del papa.
Nel 1450 veniva eletto priore del convento di Fiesole, carica che tenne fino al 1453. Era ancora priore quando nel 1452 contattò i responsabili per dipingere la cappella maggiore del duomo di Prato, un lavoro che poi passò a Filippo Lippi. Tornato a Roma, fu ospite del convento di S. Maria sopra Minerva, ove morì e fu sepolto il 17 febbraio 1455.
Dato il carattere di gotico spirituale[7] impresso alla sua arte, ne risultava sempre un messaggio di spiritualità. Onde la tradizione che prima di dipingere il Beato Angelico si mettesse in preghiera per avere ispirazione. Preferiva la tecnica a secco, piuttosto che quella mista o addirittura l’affresco. Uno studioso dell’Ottocento cercò di esprimere proprio questo concetto del rapporto fra espressione artistica ed esperienza spirituale vissuta:
La compunzione del cuore, i suoi slanci verso Dio, il rapimento estatico, il gusto anticipato della beatitudine celeste, tutto questo genere di emozioni profonde ed esaltate che nessun artista può rendere senza averle prima provate, ecco quale fu il misterioso ciclo che il genio di fra Angelico amava percorrere, e che rifece daccapo dopo averlo terminato. In questo genere, egli sembra aver esaurito tutte le combinazioni, tutte le sfumature possibili, almeno per quanto riguarda la qualità e la quantità dell’espressione, e per poco che si esaminino da vicino certi dipinti in cui sembra regnare una certa monotonia, vi si scoprirà una varietà prodigiosa che abbraccia tutti i gradi di poesia esprimibili dalla fisionomia umana[8].
Solitamente è inserito nell’arte rinascimentale, anche se le sue figure si presentano secondo una staticità caratteristica dell’arte bizantina. Tale staticità è accentuata dal fatto che il tutto è contestualizzato in una visione prospettica. E ciò non vale solo per il trittico di S. Domenico di Fiesole (o nella bellissima pala del Gesù a Cortona con l’Annunciazione), ma per tutte le sue opere, che rivelano appunto lo sforzo di piegare le esigenze dei tempi nuovi al carattere religioso e spiritualistico della sua arte.
Fra Giovanni aveva anche discepoli di valore, come Benozzo Gozzoli e Zanobi Strozzi. Ma, benché questi lavorassero su suoi disegni, il risultato è notevolmente diverso. La mano del Beato Angelico è lieve, i cieli sono tersi, tutto comunica luce[9], gioia e purezza (cosa che si nota specialmente nelle opere di non grandi dimensioni). La mano di Gozzoli e di Strozzi è decisamente più pesante e i colori meno eterei. Una ricerca di monumentalità da parte del Beato Angelico si nota invece nella cappella nicolina in Vaticano, con le storie di S. Lorenzo (vedi la consacrazione a diacono, e l’elemosina del Santo) e S. Stefano. Ed è proprio in questa ricerca e nello sviluppo della prospettiva che l’Angelico, anche per accontentare Niccolò V, il papa umanista, cercava di creare una sintesi fra il suddetto gotico spirituale e l’arte del rinascimento.
Secondo Mario Salmi[10], non ha molto senso tentare di spiegare l’arte dell’Angelico con richiami letterari, e neppure con gli scritti del beato Giovanni Dominici. E’ più che probabile che l’Angelico abbia tratto qualche spunto dall’opera del suo confratello, ma la sua statura è tale che nessuna fonte può spiegare la sua poesia artistica. Del resto la sua spiritualità è tutta improntata ad una fede solida, ma serena e gioiosa, ben lontana da quella infiammata del Dominici. Non che non fosse in grado di raffigurare il dramma. Al contrario, gli esempi del giudizio universale e soprattutto la “strage degli innocenti” (uno dei riquadri sull’armadio degli argenti) ci mostrano un Angelico in grado di mostrare la potenza del male. Tuttavia è innegabile che a questi aspetti preferiti dai predicatori apocalittici e dai riformatori, l’Angelico si trovi più in sintonia con la serena bellezza spirituale. E’ come se volesse attrarre più con la bellezza dello spirito che con la minaccia dei tormenti. L’umiltà avvicina l’Angelico ai poveri, mentre la purezza gli fa vedere tutto in chiave di redenzione e positività, al punto da non vedere (o quasi) il male che sta intorno.
Fra il 1428 ed il 1430 dipinse la pala di Fiesole con al centro la Madonna in trono col Bambino. S. Nicola a figura intera e frontale si trova sul pilastro insieme a S. Marco, S. Matteo e S. Michele. Le tre palle sono ai suoi piedi per terra, mentre regge il pastorale (con la destra) ed un libro con la sinistra. (Già a Sheffield, collezione rev. Hawkins-Jones)[11]. Qualche anno dopo, fra il 1433 ed il 1435 dipinse un S. Nicola e S. Francesco ai piedi di Gesù sulla croce, anche se la critica più recente lo ritiene di bottega (Firenze. Chiesa di S. Niccolò del Ceppo)[12].,
[1] Su di lui, vedi Venturino Alce, Angelicus Pictor. Vita, opere e teologia del Beato Angelico, per le Ed. Studio Domenicano di Bologna. Ma abbondante è anche la letteratura anche laica. Per altri riferimenti bibliografici, vedi anche Umberto Baldini, L’opera completa dell’Angelico, Rizzoli, Milano 1970, p. 82.
[2] Questa data di nascita, precedentemente pacifica sulla base dei dati del Vasari, è oggi sempre più contestata, e viene spostata verso l’anno 1400. Cfr, Baldini, op. cit., p. 83.
[3] Cfr. Anselm Hertz ed Helmuth Nils Loose, Fra Angelico, ed. Paoline, Roma 1983, pp. 13-14.
[4] Cfr. Baldini, Angelico, p. 99. S. Nicola è dipinto (insieme a S. Domenico) nel primo scomparto a sinistra della Madonna col Bambino (dimensioni cm 102 x 75), quindi nelle tre predelle sottostanti. Nella prima è raffigurata la nascita di Nicola, l’ascolto di un vescovo che predica, la dote alle tre fanciulle. La seconda predella presenta il miracolo del grano. La terza raffigura i tre innocenti salvati dalla decapitazione e la morte di S. Nicola. Da notare che l’Angelico si era già occupato di Nicola in precedenza. Fra il 1428 ed il 1430 dipinse la pala di Fiesole con al centro la Madonna in trono col Bambino. S. Nicola a figura intera e frontale si trova sul pilastro insieme a S. Marco, S. Matteo e S. Michele. Le tre palle sono ai suoi piedi per terra, mentre regge il pastorale (con la destra) ed un libro con la sinistra. (Già a Sheffield, collezione rev. Hawkins-Jones; Baldini, 88). Qualche anno dopo, fra il 1433 ed il 1435, l’Angelico dipinse un S. Nicola e S. Francesco ai piedi di Gesù sulla croce, anche se la critica più recente lo ritiene di bottega (Firenze. Chiesa di S. Niccolò del Ceppo; Baldini 96),
[5] Cfr. Hertz e Loose, Frau Angelico, cit., pp. 44-45.
[6] Cfr. G. Vasari, Le vite, 1568 (2ª ed.). cito da Umberto Baldini, L’opera completa dell’Angelico, Rizzoli, Milano 1970, p. 12.
[7] Contro questa interpretazione dell’Angelico come « ultimo dei gotici » in contrasto con lo spirito rinascimentale del secolo si esprime F. Schottmüller, Fra Angelico, Stuttgart 1911 Iin Baldini, cit., p. 12), che afferma che l’Angelico seppe staccarsi dall’arte tedesca secondo un crescendo evolutivo tale che l’Angelico degli ultimi affreschi eseguiti a Roma sembra sul punto di superare lo stesso Masaccio nella scienza della prospettiva. Di un rapporto diretto col Masaccio parla R. Longhi in “Critica d’Arte”, 1940 (citato da Baldini, p. 13).
[8] Cfr. A. F. Rio, De L’Art chrétien, 1836 (ed. 1874). Cfr. Baldini, op. cit., p. 12.
[9] Sul concetto della luce nell’Angelico si sofferma G. C. Argan, Fra Angelico, 1955 (Baldini, p. 13): è lui che ha identificato nella luce quel principio di qualità che permette all’esperienza umana, limitata ed attaccata alla “quantità” di elevarsi fino a comprendere l’idea suprema dell’essere. Piero della Francesca partirà di qui per raggiungere quell’identità di spazio e di luce che è la sintesi di tutti i grandi temi dell’arte nei primi anni del XV secolo.
[10] Cfr. M. Salmi, Beato Angelico, in Enciclopedia cattolica, s. v..
[11] Cfr. Baldini, L’Angelico, cit., p. 88.
[12] Ivi, p. 96.
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Tel +39 081.89.99.111 - Fax +39 081.89.99.314 - Mail: info@domenicani.net
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