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la formazione e le sue tappe
La formazione e le sue tappe
Lettera del Maestro dell'Ordine
P. Damian Byrne O.P.
Lettera del Maestro dell'Ordine
P. Damian Byrne O.P.
Cari fratelli,
la formazione, in tutte le sue tappe, è di vitale importanza per il bene dell'Ordine e del singolo religioso. La sua natura è così complessa che forse esistono tante opinioni quante sono i domenicani nell'Ordine. Tuttavia, nel processo formativo, si possono affermate alcune cose vere, sulle quali è necessario riflettere.
1. La formazione è un processo che deve continuare per tutta la nostra vita religiosa. Per molti, la formazione finiva con la professione solenne, oppure con l'ordinazione. Si tendeva ad identificarla con gli studi istituzionali, anziché con un modo di vivere.
2. Si deve perciò dare importanza a tutte le tappe del processo formativo. La formazione iniziale è solo una parte del curriculum seppure con un suo ruolo unico e decisivo.
3. Per poterla realizzare, in ogni tappa della nostra vita, la formazione deve essere strutturata in modo che renda i religiosi capaci di vivere la loro vita consacrata nel momento attuale. Tutto questo esige chiarezza nelle diverse tappe formative e buona volontà per poter "determinare gli obiettivi principali del ministero dei frati, secondo le necessità locali e le risorse disponibili" (cf. LCO 160, 111).
Natura della formazione
La formazione si regge su quattro elementi basilari: umano, religioso, intellettuale e pastorale. Questi elementi devono essere presenti in ogni tappa della formazione, anche se l'uno o l'altro può prevalere in una di queste tappe. Poiché un singolo elemento può essere messo in primo piano a scapito degli altri, dobbiamo renderci conto che il "fermarsi'" su di una sola idea non provoca cambiamento.
"Non possiamo dire che la sola esperienza sia l'unica norma di verità, ma è importante che ci rendiamo conto della rilevanza delle nostre esperienze e del posto dei nostri sentimenti ed emozioni, aiutandoci ad arrivare alla verità su di noi, gli altri e Dio". (Relazione del Maestro Generale al Capitolo di Oakland, p. 112). Questo implica un viaggio che dura tutta la vita e attraverso il quale noi approfondiamo la consapevolezza di noi stessi, degli altri e di Dio. Siamo convinti dell'importanza della formazione come di un cammino di tutta la vita? I Capitoli Generali e Provinciali ne parlano spesso e con forza. I risultati sono proporzionati alle loro preoccupazioni?
Comprensione della formazione istituzionale
L'argomento più trattato nelle mie visite all'Ordine è stato quello della formazione istituzionale o iniziale. Ho notato che i programmi formativi presentano qualche contrasto con quelli del passato. Su entrambe le posizioni si possono esprimere giudizi positivi e negativi. Infatti non esiste un modello valido per tutte le età. Anzitutto le vocazioni dobbiamo volerle e accoglierle cordialmente. Le nostre case devono essere aperte all'accoglienza dei giovani, i quali devono vedere in noi degli uomini di fede, che si aiutano a vicenda nel loro cammino e che si sentono a servizio degli altri. Ci devono vedere come uomini pieni di speranza nel futuro dell'Ordine e a riguardo del suo ruolo nella Chiesa. Questo sarà vero soltanto se apprezziamo gli orientamenti dati nei recenti Capitoli Generali. Dobbiamo essere stimati come religiosi che credono nel potere della grazia per superare i limiti umani e che accolgono la presenza dello Spirito nella propria vita quotidiana.
Secondo, è importante che si creino condizioni favorevoli per poter attuare un'autentica formazione istituzionale. Il lavoro di formazione deve essere prioritario e non soltanto un'aggiunta ad un altro lavoro della comunità. Le necessità dei formandi devono essere prioritarie rispetto alle necessità della comunità, sia per mantenere il coro, sia per gli impegni della casa. Inoltre i giovani hanno bisogno di compagni che compiono la loro stessa esperienza. Questa esigenza non si può soddisfare quando vi sono grandi vuoti generazionali nelle nostre Province.
D'altra parte non aiuta il fatto che coloro che sono in formazione siano trattati come pesci in un vaso, e cioè sotto esame da ogni lato. Di conseguenza la possibilità di avere case comuni di formazione nella stessa nazione o regione deve essere promossa, allorché nelle province i frati sono pochi. Per questa ragione "le strutture della comunità di formazione, pur essendo sufficientemente chiare e ferme, dovranno lasciare un largo posto alle iniziative e alle decisioni responsabili" (Dirett. n. 15).
Infine, dobbiamo rispettare la tappa che i giovani hanno raggiunto e non pretendere che siano giunti al nostro grado di sviluppo o di convinzione. "Il motivo essenziale è quello di non moltiplicare i problemi nel corso di una tappa di formazione in cui gli equilibri fondamentali della persona si debbono mettere a posto, in cui le relazioni tra i novizi e il Maestro dei novizi devono essere facili e permettere di esplicarsi mutuamente con tutte le sfumature richieste da un cammino spirituale iniziale e intenso" (Dirett. n. 47). Addirittura alcune volte noi chiediamo loro che l'atteggiamento verso l'apostolato, i poveri, le cose esteriori (come l'abito) siano gli stessi che noi abbiamo acquisito dopo molti anni di vita religiosa. Occorre invece lasciare ai giovani la libertà e le iniziative di crescere e di scegliere. Inoltre essi devono essere ascoltati.
Nella Centesimus annus Giovanni Paolo II fa la seguente considerazione: "Il patrimonio dei valori tramandati e acquisiti è sempre sottoposto dai giovani a contestazione. Contestare, peraltro, non vuol dire necessariamente distruggere o rifiutare in modo aprioristico, ma vuol significare soprattutto mettere alla prova nella propria vita e, con tale verifica esistenziale, rendere quei valori più vivi, attuali e personali, discernendo ciò che nella tradizione è valido da falsità ed errori o da forme invecchiate, che possono essere sostituite da altre più adeguate ai tempi (n. 50).
Il nostro ruolo è di accompagnare i giovani e di aiutarli ad essere discepoli di Gesù Cristo e di San Domenico, anziché controllarli o farli discepoli nostri.
Le Costituzioni sono esplicite nell'affermare che l'ultima autorità concernente l'ammissione dei candidati all'Ordine e alla professione, come pure la presentazione agli ordini sacri, è il Priore Provinciale. Egli è aiutato, in tale compito, dal consiglio d'ammissione e dai vari consigli di formazione. È importante che i poteri affidati al consiglio di ammissione, ai consigli e ai capitoli, quanto alla non ammissione dei candidati, siano esercitati in maniera responsabile. Questo significa, in particolare, che si deve guardare con molto attenzione a ciò che è meglio per il candidato e per l'Ordine, facendosi un giudizio basato sui fatti anziché sui propri preconcetti.
La figura chiave nella formazione è il Maestro. L'Ordine è in debito verso i formatori che sanno accettare questo compito urgente e difficile. Le loro difficoltà aumentano quando noi non capiamo le esigenze della formazione nella Chiesa e nell'Ordine oggi.
Una maestra delle novizie mi ha scritto: "Ho avuto proprio alcuni giorni difficili, ma ho ricevuto anche delle straordinarie illuminazioni su come Dio lavora delicatamente nelle anime. Ho imparato a stimare più che mai l'individualità di ogni persona".
Magari apprezzassimo la difficoltà del compito affidato ai nostri formatori e la singolarità di ogni creatura di Dio! Questo ci aiuterebbe ad essere meno critici nei loro confronti.
Infine, potremmo riflettere sull'impatto che provoca la nostra vita di religiosi sui giovani. Ad esempio: sono essi in grado di vedere la differenza che esiste tra sacerdoti religiosi e diocesani? Vedono che il sacerdote religioso presenta loro la sua professione religiosa e le pratiche della vita comunitaria come il suo primo impegno?
Le tappe della formazione religiosa
Vorrei riflettere sulle quattro tappe della formazione: il prenoviziato, il noviziato e la prima professione, gli anni di studi (studentato), la formazione permanente.
1. Prenoviziato .
Molte Province si sono aggiornate su questa tappa della formazione. Nel 1990 le Direttive sulla formazione degli istituti religiosi affermarono esplicitamente che questa tappa era la prima fase di formazione e riaffermarono così ciò che si era detto nella Renovationis causam: "La maggior parte delle difficoltà incontrate ai nostri giorni nella formazione dei novizi derivano dal fatto che essi, al momento della loro ammissione al noviziato, non possedevano quel minimo di maturità necessaria" (n. 42).
Le "Direttive" proseguono nell'indicare che i requisiti richiesti dalla Chiesa per entrare in noviziato sono:
‑ un grado sufficiente di maturità umana e cristiana;
‑ una base culturale generale che "deve corrispondere a quella che generalmente ci si attende da un giovane che ha ultimato la preparazione scolastica normale nel suo paese".
Si fa inoltre menzione della necessità di acquistare:
- la comprensione del linguaggio usato in Noviziato;
- un equilibrio affettivo, specialmente a riguardo della maturità sessuale;
- la capacità di vivere in comunità sotto l'autorità dei superiori, in un istituto particolare.
Anche i candidati più maturi necessitano di sperimentare la vita comunitaria cristiana. I direttori della formazione frequentemente fanno presente che i candidati anziani hanno bisogno più dei giovani dell'esperienza del "prenoviziato".
Un altro scopo del prenoviziato è di rendere capace il candidato di chiarificare le sue idee riguardo ad altre vocazioni a lui possibili e, per coloro che si interessano alla vita domenicana, di vedere chiaramente la priorità della nostra missione di predicazione.
Il luogo del prenoviziato è importante. Nella misura del possibile deve essere un posto che permetta al maestro di guidare il candidato verso la vita religiosa. Quindi, se è possibile, non dovrebbe essere una casa religiosa. Il prenoviziato non è vita religiosa ed è ingiusto ed imprudente esigere dai candidati che facciano una vita per la quale non hanno ricevuto nessuna formazione, né assunto alcun, obbligo. Abitando in un luogo separato dalla comunità religiosa, la semplice vita cristiana nel periodo del prenoviziato può anche insegnare ai candidati una necessaria indipendenza dalle loro famiglie, naturale e religiosa futura.
Se io dovessi applicare a questo periodo della formazione i quattro elementi: umano, religioso, intellettuale, pastorale, insisterei sul carattere umano e cristiano prima che di quello religioso. Insistere sulla necessità di aiutare i candidati a raggiungere il livello culturale degli aspiranti al terzo livello educativo e ad aprirsi all'apostolato dell'Ordine, a conoscere meglio se stessi, le loro forze e le loro debolezze.
2. Noviziato
Sotto molti aspetti questo è l'anno più importante della formazione, nel quale il candidato decide della sua vocazione nel limite del possibile.
Le direttive della Santa Sede sono esplicite riguardo alla natura di questo anno. È un anno di ritiro e non di inserimento: dovrebbe essere un'esperienza di solitudine. Molti giovani sono attratti all'Ordine dal desiderio di predicare il Vangelo e dall'amore allo studio. Ma se tutto questo non è radicato in una pratica sostenuta dalla preghiera comunitaria e personale, allora l'entusiasmo non sarà sufficiente per passare indenni attraverso le vicissitudini della vita religiosa. Abbiamo bisogno di dare nutrimento a quella passione per Dio evitando di divenire venditori di parole.
"Infatti, i novizi hanno bisogno di esercitarsi all'orazione prolungata, alla solitudine e al silenzio. Perciò il fattore tempo occupa un posto determinante. Essi possono provare un maggiore bisogno di "allontanarsi" dal mondo che di "andare" nel mondo; e questo bisogno non è unicamente soggettivo. Per questo il tempo e il luogo del noviziato dovranno essere organizzati in modo tale che i novizi possano trovarvi il clima propizio a un radicamento in profondità nella vita con Cristo. Ciò che non si ottiene se non partendo dal distacco di sé, da tutto ciò che nel mondo resiste a Dio e anche da valori del mondo "che indiscutibilmente meritano stima". Di conseguenza, è affatto sconsigliato di compiere il tempo del noviziato in comunità "inserite". Come è stato già detto, le esigenze della formazione devono prevalere su alcuni vantaggi apostolici dell'inserimento in ambiente povero" (Dirett. n. 50).
A questo punto dobbiamo riflettere sul fenomeno concernente i giovani religiosi che hanno avuto un noviziato secondo le "Direttive e che però lasciano l'Ordine poco tempo dopo aver fatto professione. Alcuni confratelli pensano che c'è troppa mistica nella natura spirituale dell'anno di noviziato. In questo modo esso può essere troppo facile, togliendo il candidato dalla responsabilità su se stesso, sulla comunità e sul suo futuro. Suggeriscono che occorre invece una maggiore inserzione nel mondo e nei suoi problemi, per affrontarli con responsabilità.
Secondo me, credo che questo sia il compito del prenoviziato anziché del noviziato. Se non,c'è assoluta chiarezza sui diversi ruoli del noviziato e del prenoviziato, i dibattiti continueranno e non saranno risolti. I formandi ne soffriranno in tempi brevi e l'Ordine ne soffrirà a più lungo termine.
Abbiamo bisogno di unità nel capire la formazione, tanto per il bene di coloro che sono formati quanto per il nostro futuro. La maggioranza delle altre realtà menzionate nelle "Direttive" sono ben curate nei nostri noviziati. Non c'è però abbastanza chiarezza sul ruolo che il noviziato deve avere nell'aiutare il candidato a provare le sue capacità a vivere da solo con Dio. Da Lui solo infatti possiamo avere la speranza di ricevere tutto e con pienezza. Per questa ragione credo che dobbiamo insistere sul fatto che il noviziato deve essere in qualche modo un'esperienza di deserto che quindi, in questo periodo della formazione, sarà prevalente. Il coinvolgimento nell'apostolato non sarà né omesso né sopravalutato.
Occorre fare attenzione ad uno dei punti citati nelle "Direttive" (47). Si riferisce alla "celebrazione della liturgia secondo lo spirito e l'indole dell'Istituto". Ho trovato noviziati dove l'Ufficio intero non viene recitato perché tutta la comunità non può essere presente, oppure perché non rientra nella prassi della Provincia.
Io credo che un noviziato debba essere introdotto nell'eredità della Chiesa e dell'Ordine, per quanto riguarda l'intero Ufficio e le devozioni come il Rosario. Entrambe sono orientate alla persona di Cristo e alla Sacra Scrittura.
3. Gli anni di studio ‑ Studentato
L'elemento intellettuale di formazione riceverà la dovuta importanza durante gli anni che il candidato trascorre nello Studium. Dato che la lettera di maggio diretta all'Ordine trattava degli studi, basta ora mettere a fuoco qualche punto:
1) Nella misura del possibile, il candidato dovrebbe fare i suoi studi istituzionali nel proprio "milieu" culturale.
2) Potrà avvenire che gli studi si facciano in un Istituto non domenicano. In questo caso è importante che gli studenti siano accompagnati nei loro studi da un religioso maturo.
3) Inoltre dovrebbe essere considerata la possibilità di entità raccolte insieme per almeno una parte degli studi.
4) Il compito di essere una attiva "Sancta Praedicatio" è importante per la comunità, affinché lo studente veda il chiaro legame tra lo studio e la predicazione. Egli anche deve avere presente la necessità della Chiesa di avere dei predicatori competenti, che predicano con speciale autorità e che, in un certo senso, hanno lo stesso ruolo del Vescovo per suscitare la fede nella Chiesa.
Occorre sottolineare l'impegno alla vita fraterna e al celibato. Il religioso rinuncia all'unione esclusiva di due persone e accetta pure l'obbligo di osservare la perfetta castità nel celibato (Cfr, can. 599).
Nella lettera sulla Vita comune ho riflettuto sugli aspetti dell'obbedienza, castità e povertà nei nostri tempi. Qui mi limito ad una parola sul celibato.
Tanti anni fa un certo padre Sellmair scriveva ricordando ai maestri degli studenti di formarli al celibato: "Per quanto oneste siano le sue intenzioni (dello studente) e per quanto retta la sua volontà, egli può incontrare nella vita alcuni essere umani che fanno risuonare nuovi accordi nel suo cuore. Essi mettono in moto energie che vanno al di là della sua possibilità di controllo e che certamente non possono essere incanalate dai soli mezzi naturali. Chi si occupa della formazione al sacerdozio e non riesce a testimoniare ai suoi candidati, assume una grossa responsabilità e inoltre mostra di conoscere ben poco la natura umana".
Una grande salvaguardia del celibato è la vita comunitaria nutrita dalla preghiera, dove l'amicizia permetterà al giovane confratello di rendersi conto che le difficoltà fanno parte della vita e non devono abbatterlo. Se un fratello non riesce a trovare l'amicizia dentro la comunità, la cercherà fuori e, trovandola, si isolerà ancor di più dalla comunità stessa. E così sarà coinvolto in una spirale alienante.
La prima assegnazione e i fratelli anziani
Vi sono altre due tappe nella nostra vita che hanno bisogno di una particolare attenzione: il religioso nei primi anni di ministero e "il confratello anziano che non può più predicare" (RFG n. 9).
Tanto i giovani quanto gli anziani si devono sentire a casa loro nelle nostre comunità ed essere consapevoli che hanno entrambi un contributo valido da offrire. Alcuni problemi riguardanti i giovani religiosi nelle loro prime assegnazioni sono stati trattati nella lettera del maggio 1990 e, ho inoltre l'intenzione di preparare per il Capitolo Generale un lavoro sull'assistenza ai confratelli anziani.
4. Formazione permanente
"Se uno non sta con i tempi resta indietro e la persona che resta indietro diventa dequalificata nel suo lavoro. A questo seguirà una inevitabile disaffezione".
Queste parole di Giovanni Paolo II ci danno due ragioni per continuare la nostra formazione: l'essere capaci di svolgere la nostra missione nella Chiesa, può rischiare non soltanto l'incompetenza ma anche la disaffezione e l'infelicità.
Alcuni tra noi si sono resi conto di quanto hanno avuto da imparare quando hanno lasciato lo studentato per le loro prime assegnazioni e tanti fra noi si sono spaventati nell'aggiornarsi intellettualmente, spiritualmente e psicologicamente.
La vita comune è la via della formazione che continua dopo che i fratelli hanno lasciato lo studentato. "La Parola di Dio che dimora in noi, gli studi che perseguiamo, gli uomini e le donne che incontriamo, le culture che ci sfidano, i luoghi e gli eventi in cui siamo immersi, ci stimolano ad una permanente formazione" (RFG n. 12).
Una richiesta frequente che abbiamo ricevuto a riguardo della Ratio Formationis Generalis è la necessità di norme dettagliate per una continua formazione (Cfr. Oakland, p. 113).
"Per tutta la vita i religiosi proseguano assiduamente la loro formazione spirituale, dottrinale e pratica; i Superiori ne procurino loro i mezzi e il tempo" (Can. 661).
"Ogni Istituto religioso, dunque, ha il compito di ideare e realizzare un programma che non solo sia indirizzato alla formazione intellettuale ma a tutta la persona. Programma che è fondamentale per la missione spirituale di ogni religioso affinché egli possa vivere in pienezza la propria consacrazione al Signore e rispondere alla missione specifica che la Chiesa gli ha affidato" (Giovanni Paolo II ai religiosi del Brasile, 1986, n. 6).
Forse non abbiamo bisogno di norme dettagliate bensì di una nuova via. Ovviamente dovrebbe esserci qualche aiuto da parte dei teologi e di altre persone. Forse più importante ancora è il nostro contributo nel discutere tra di noi le esperienze e le difficoltà (LCO 100) e il vivo desiderio di condividere vicendevolmente.
Quando è possibile, dovremmo metterci insieme con altri fratelli, sorelle e laici della stessa città/regione, per imparare ad essere veramente aperti agli altri, alle loro necessità, aspirazioni e timori.
Un documento pubblicato dal Comitato per la vita sacerdotale e ministeriale dei Vescovi degli U. S. A., mentre offre riflessioni sulla morale dei preti, afferma:
"Nonostante il chiaro insegnamento della Chiesa, sembra che la fonte dello scoraggiamento di alcuni sacerdoti consista nel fatto che alcune soluzioni alla scarsità del clero siano vietate alla discussione e che non tutte le soluzioni pastorali e le opzioni possano essere esplorate. Lo scoraggiamento viene dall'acuta consapevolezza dei preti che alcune possibili vie di aiuto non sono affatto considerate e discusse. Quello più comunemente riferito è l'ordinazione di uomini sposati, l'uso effettivo di preti laicizzati e ruoli attribuiti alla donne nel ministero".
Non dobbiamo spaventarci di tali vicende. L'essere incapaci di discuterle tra noi può avere più un segno di timore che di obbedienza. La vera obbedienza significa ascoltare.
Questi incontri devono pure condurre ad un rinnovamento della predicazione e, per i sacerdoti, ad una migliore amministrazione del sacramento della Penitenza. Papa Benedetto XI scrivendo ai suoi confratelli riuniti nel Capitolo Generale di Tolosa nel 1204, ricordava loro l'importanza dello studio, della frequente predicazione e dell'ascolto delle confessioni. Settecento anni dopo questo consiglio permane sempre applicabile. Possiamo aiutarci a vicenda nel divenire migliori predicatori, confessori e studenti.
La formazione permanente dovrebbe essere vista non soltanto come l'acquisizione di un conoscenza oppure l'abilitazione alla pratica di un apostolato individuale.
Dovrebbe bensì essere l'occasione, per un confratello, di nuove specializzazioni di apostolato in Provincia. Per qualcuno che da tempo ha finito gli studi formali può essere difficile riacquistare l'abito dello studio. Lo scoraggiamento è frequente. La difficoltà di confrontarsi con le nuove idee è più probabile che sia accettata se questa acquisizione è vista come un'apertura e partecipazione a progetti comuni nell'Ordine.
Dobbiamo fidarci dei doni degli uni e degli altri. I Superiori siano disposti a credere che i loro fratelli hanno da offrire più di quanto essi stessi pensino.
Prego ancora una volta di considerare la possibilità di un "tempo sabbatico" di rinnovamento. Posso dire, senza alcun dubbio, che quelle Province e Vicariati che hanno incoraggiato i confratelli a realizzare programmi sabbatici, sono le più sane dell'Ordine. A questo riguardo le necessità dei fratelli sono diverse giacché per alcuni l'esigenza può essere più di rinnovamento spirituale che di aggiornamento negli studi.
Molti fra noi hanno paura delle esigenze del rinnovamento e della loro incapacità ad affrontare un tale "tempo". Abbiate fiducia in voi stessi! In questo cammino non siete soli.
Sinceramente vostro in San Domenico.
P. Damian Byrne, O. P.
Maestro dell'Ordine
Roma, 18 novembre 1991
Maestro dell'Ordine
Roma, 18 novembre 1991
Ordine dei Predicatori
Provincia San Tommaso d'Aquino in Italia
Curia Provinciale - Convento Madonna dell’Arco - 80048 Sant’Anastasia (NA)
Tel +39 081.89.99.111 - Fax +39 081.89.99.314 - Mail: info@domenicani.net
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