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lettere di p. damian byrne
Gli elementi essenziali
della vita Comunitaria Domenicana
Lettera del Maestro dell’Ordine
P. DAMIAN BYRNE
Cari Fratelli,della vita Comunitaria Domenicana
Lettera del Maestro dell’Ordine
P. DAMIAN BYRNE
attraverso le mie visite all'Ordine in tutto il mondo, ho acquisito l'evidenza che ciò che ci necessità maggiormente in questo tempo, è intensificare la nostra. comprensione e pratica degli elementi essenziali della nostra vita di comunità.
La nostra vita di comunità, come del resto lo studio, in se stessa non è un fine. La Costituzione fondamentale § II ci ricorda che l'Ordine « specialiter ob praedicationem et animarum salutem ab initio noscitur institutus fuisse ». Ci ricorda che abbracciamo la vita degli apostoli come mezzo per conseguire la salvezza « ex abundantia contemplationis » (LCO 1, IV).
Vorrei sottolineare due motivi della nostra attuale situazione di vita comunitaria:
a. Dopo gli orientamenti del Concilio e degli ultimi Capitoli generali dell'Ordine, sono state messe in discussione alcune strutture della Chiesa e dell'Ordine. Questo ha portato con sé anche un ripensamento circa le strutture della nostra vita comunitaria.
Come conseguenza, alcune di esse sono state abolite o ignorate, giacché non avevano ‑ si diceva ‑ alcun senso per noi. E tuttavia, a volte, abbiamo pure scordato i soggiacenti valori del Vangelo e della vita regolare, che quelle strutture racchiudevano e promovevano in passato. Non si tratta ora di ritornare alle vecchie strutture, ma di riaffermare chiaramente i valori essenziali della nostra vita, come si incontravano nelle nostre costituzioni e tradizioni, oltre che nell'insegnamento della Chiesa.
Sarà necessario dunque, a livello personale, comunitario, provinciale e dell'Ordine intero giungere a quelle strutture necessarie, che ci permettano di mantenere ed essere coerenti con quei valori della vita di comunità.
b. Un secondo fattore che milita contro la vita comunitaria è il grande bisogno sentito nella Chiesa nel campo pastorale: le molte richieste che ci vengono poste in questo senso, e che ci riguardano sia come individui sia come comunità.
Noi non possiamo certo risolvere tutti i problemi pastorali della Chiesa, e se lo facessimo, ciò avverrebbe con grave scapito della nostra appartenenza alla comunità. Il nostro miglior servizio alla Chiesa in quanto religiosi èprecisamente quello di essere fedeli al nostro carisma di predicazione, che deriva dalla vita comunitaria. Sebbene non siamo monaci e gli ultimi Capitoli generali abbiano insistito sulle osservanze regolari più che:su quelle monastiche, tuttavia è vero ciò che il P. Congar dice: « Nella vocazione domenicana esiste un'impronta marcata dello spirito monastico » (Appelés á liberté, p. 3). Nel nostro pregiudizio, noi ignoriamo questa impronta.
Siamo pellegrini nella fede. Nessuno di noi è giunto alla fine del suo pellegrinaggio. Tutti possiamo aiutarci nel viaggio che stiamo facendo insieme. Per questo motivo, in comunione col Consiglio generalizio, vi propongo sei aspetti della vita comunitaria domenicana, allo scopo di riflettervi e di realizzarli.
1. Preghiera
Il rinnovamento della nostra vita di comunità comporta che, passando sopra ogni altra cosa, le nostre comunità siano anzitutto comunità di preghiera. La vita di preghiera era parte essenziale della vita di S. Domenico e la sorgente della sua appassionata predicazione ed evangelizzazione. Diceva Giovanni Paolo II, parlando ai religiosi: « La preghiera possiede un valore e un frutto spirituale maggiore dell'attività più intensa, compresa l'attività apostolica. La preghiera è la sfida più urgente che il religioso deve lanciare ad una società, nella quale l'efficienza è diventata un idolo, sul cui altare si sacrifica spesso la dignità umana... Le vostre case siano anzitutto centri di preghiera».
Abbiamo l'urgenza di rinnovare la convinzione sulla necessità nostra e altrui della preghiera. Fa sorridere il fatto di essere occupati nel lavoro del Signore, tanto da dimenticarci del Signore del lavoro. Quanti potrebbero dire questo della loro vita! La celebrazione della ,liturgia dev'essere il centro e il cuore della nostra vita comunitaria. «Per decisione propria di S. Domenico, la celebrazione solenne e comune della liturgia deve essere considerata come uno degli obblighi principali della nostra vocazione » (LCO 57).
Nella celebrazione giornaliera dell'Eucarestia si fa presente e si realizza il mistero della Salvezza. La preghiera liturgica e personale e l'evangelizzazione permanente della nostra vita è una conseguenza della contemplazione della Parola di Dio. Essa ci rende continuamente coscienti della verità contenuta nella Parola: « Senza di me non potete fare nulla, con me potete tutto ». Solo una vita di preghiera ci può preparare nella predicazione ad un mondo secolarizzato, per il quale il Vangelo è pazzia.
Il ritmo frenetico della vita, che esiste in molte parti del mondo, si infiltra nella nostra vita e così abbiamo difficoltà a trovare il tempo per la preghiera. Alcuni riescono a impregnare il loro lavoro di preghiera; altri invece necessitano per temperamento di un certo clima per poter pregare.
Il P. Congar ha detto che lo studio della Teologia va unito inseparabilmente alla celebrazione della liturgia: « Per me le due costituiscono una stessa unità ». La nostra fedeltà alla liturgia è proporzionata all'importanza che diamo alla celebrazione o alla presenza giornaliera all'Eucarestia e all'Ufficio divino. « L'Ufficio liturgico è costituito essenzialmente dai salmi. Svolgono un compito importante nella mia vita... Sono preghiere che allo stesso tempo ci insegnano a pregare »(Appelés á liberté, p. 3).
Oltre alla preghiera comune, ciascuno abbisogna di spazio per creare il silenzio interiore e rimanere soltanto con Dio, spazio che‑ ci permette di esclamare ogni giorno: « Desidero stare con te ». S. Domenico si rivolgeva frequentemente a chi lo accompagnava dicendogli: « Va un po' più avanti e pensiamo al Signore ».
Anche noi dobbiamo cercare un simile spazio nella nostra vita, per restare soli con Dio. Questo è più importante di qualsiasi attività apostolica.
E' sempre più frequente che le comunità celebrino la preghiera comune insieme con i fedeli. Celebrata così, essa è certamente preghiera della Chiesa. Anche se ogni comunità deve adattare il suo modo di pregare alle caratteristiche del luogo.
2. Vita comune e condivisione nella fede
Cristo è il centro della nostra vita comunitaria, e tuttavia questo non appare chiaramente tra noi. Spesso siamo capaci di condividere le nostre idee, le cose del pensiero, ma non ci riusciranno in ciò che riguarda la fede, le cose del cuore. Oggi noi dobbiamo far fronte a tante sfide, non è sufficiente dar per scontato che tutti possediamo la fede. Dobbiamo proclamare Cristo apertamente.
Per superare certi blocchi e condividere la fede in comunità, è importante ricordare che nessuno di noi possiede il monopolio della verità. Dobbiamo apprendere gli uni dagli altri (LCO 100) e predicare gli uni agli altri. Le nostre costituzioni segnalano l'obbligo dei priori di predicare alla comunità.
Però non dovremmo possedere tutti il valore del predicare in comunità? Non dovremmo propiziare le occasioni perché si parli alla comunità? Anche i giovani dovrebbero condividere la loro fede, durante la liturgia delle ore o durante celebrazioni speciali di nostre feste domenicane.
Dovremmo avere delle riunioni per preparare l'omelia della domenica, studiare un tema di attualità o informare la comunità della nostra attività apostolica e in questo modo condividere la fede. L'ultimo punto ‑ partecipare le nostre esperienze apostoliche ‑ è tuttavia più difficile, poiché molti di noi lavorano fuori convento. E' un'opera di carità comunicare la propria fede, ma non dovremmo cominciare da noi stessi?
Non insisterò mai troppo sul fatto che si prenda sul serio questo aspetto della vita comunitaria. Molti religiosi, specialmente i giovani, desiderano questo modo di condividere la fede. Non siamo entrati nell'Ordine per vivere come uomini di fede? E' urgente che comunichiamo gli uni agli altri la ricchezza della fede.
3. Vita comunitaria e studio.
Uno dei grandi vantaggi delle nostre Case di studio è il fatto che si offrono molte opportunità ai professori e agli studenti di condividere la loro vita comune nel contesto delle studio. Attraverso contatti formali e informali, essi hanno l'opportunità di discutere e chiarire aspetti della fede. Per molti questo è il tempo nel quale, per mezzo dello studio, possono vivere la dimensioni dell'unità.
Questo è ancora più evidente nella formazione pastorale degli studenti, che ci avvicina alla vita del popolo di Dio per mezzo del ministero. Nell'attuale nostro processo formativo questa attività non sole si raccomanda ma si esige; non per scansare lo studio, bensì per aiutare a vivere insieme lo studio e il ministero.
Il metodo della riflessione come processo integrale del ministero non è qualcosa che si apprende facilmente. Dovrebbe esistere ‑un cammino graduale nel dedicarsi al ministero, accompagnato da una formazione teologica solida. Ogni ministero dovrebbe poter contare su d una pianificazione e una valutazione, in ordine al suo progresso.
E' triste che un certo numero di religiosi maturi delle nostre comunità abbiano perduto la consapevolezza della relazione che deve esistere tra studio, ministero e comunità. Non possiamo ridurre la nostra formazione permanente a studi o letture private; essi infatti d loro natura sono a carattere comunitario.
Riunirci in comunità per condividere esperienze di apostolato c riflettere insieme sul loro significato nella fede può essere un principio Letture su di un tema comune discusse in comunità, può essere un altro mezzo.
Le biblioteche conventuali sono un'ulteriore fonte di rinnovamento della vita comune attraverso lo studio. Una biblioteca ben fornita È necessaria alla comunità. Dà pena visitare le biblioteche di alcune comunità e vedere che ci sono così pochi libri nuovi.
4. Correzione fraterna
La nostra legislazione ha dato sempre grande importanza alla correzione fraterna, che anticamente era parte del capitolo regolare delle casa. Sebbene la forma del capitolo conventuale sia cambiata. le Costituzioni continuano a mantenere la necessità della correzione fraterna
Il Capitolo di Bogotà ha scelto che nella comunità si tenga una chiacchierata‑dialogo, che potrebbe stimolare la nostra vita comunitaria e apostolica. Le Costituzioni del 1968 confermano questo orienta mento (LCO 7, I) e aggiunuono: «Aliquoties in anno pariter babeatut capitulum regulare in quo fratres, modo a capitulo conventuali determinato, examinent fidelitatem suam erga missionem apostolicam conventus et vitam regularem atque aliquam paenitentiam faciant. Hac occasione superior exbortationem circa vitam spiritualem et religiosarr necnon opportunas admonitiones et correctiones facere potest » (LCC 7, II).
In alcuni luoghi non si celebra mensilmente il 'colloquium' prescritto in LCO 7, I. Tuttavia l'esperienza degli ultimi anni suggerisce la necessità di rafforzare la pratica del dialogo fraterno rispetto alla fedeltà della comunità ai suoi impegni apostolici e alle osservanze comuni.
E' necessario che le riunioni comunitarie ricuperino i valori perduti. Le nostre riunioni dovrebbero essere un'occasione per esaminare ,la qualità della nostra vita religiosa e del lavoro apostolico, in una atmosfera di dialogo sincero, tale che ciascuno possa partecipare i suoi problemi ed esperienze alla luce della fede e in questo modo aiutarsi mutuamente con consigli e incoraggiamenti.
Affinché questo possa realizzarsi è necessario che tali riunioni abbiano un autentico carattere religioso e non cadano nell'abitudine o nel formalismo. La riflessione sulla Parola dì Dio e la preghiera possono aiutarci a capire che Dio è in mezzo a noi. Dobbiamo anche rispettare la 'creatività' delle altre comunità, ma senza lasciare nulla all'improvvisazione. L'Ordine in quanto tale potrebbe considerare l'opportunità di pubblicare una REGOLA che aiuti la celebrazione di queste riunioni.
A molti la correzione fraterna può ricordare i passati capitoli delle colpe. Si richiede grande delicatezza. Di S. Domenico si dice che, quando doveva parlare con qualcuno, le sue parole erano così dolci « che quanto diceva »era accettato « con pazienza e attesa ».
Se viviamo uniti in comunità, siamo responsabili gli uni degli altri. Quanti problemi giungono ad un punto critico perché abbiamo trascurato l'aiuto fraterno o perché decidiamo di darlo quando è troppo tardi! Ma chi di noi trascurerebbe di offrire un aiuto ad un fratello o sorella che necessita urgentemente di cure mediche?
Un altro aspetto di questo tema è la necessità delle visite canoniche. In molte Province esse hanno il carattere della pura formalità. Ebbene, non eseguirle nella dovuta maniera intacca la qualità della nostra vita. E' un errore ometterle. Racchiudono molta sapienza le ordinazioni delle nostre costituzioni su questo punto. Le Province nelle ,quali la visita canonica è stata fatta con serietà, lo lasciano vedere nella vita dei loro religiosi.
Frank Sheed nel suo libro « To Know Christ Jesus » scrive: « Colui che comanda deve servire: c'è Per questo. Se qualcuno dei comandati è ribelle alla sua guida, delle sforzarsi di conquistarlo ragionando con lui e per lui, in presenza di altri, citandolo ufficialmente davanti alla Chiesa (cf. Mt. 18, 15‑17) ».
5. La testimonianza della nostra vita. I voti
Si desidera che la nostra vita sia testimonianza del Regno e che i nostri voti siano atti pubblici di consacrazione. Se è così. la nostra vita deve testimoniare tale consacrazione. Questo è ciò che i fedeli si attendono da noi. Tuttavia, non deluderemo le loro speranze con il modo con cui viviamo l'obbedienza, la povertà e la castità? Permettetemi queste riflessioni su alcuni aspetti particolari dei nostri voti.
Obbedienza. Obbedienza è ascoltare Dio che ci parla direttamente e attraverso gli altri. Obbedienza significa anche ascoltare la comunità ed essere fedeli al cammino comunitario fino alla santità. Questo ha una particolare attualizzazione oggi. Quando uno di noi Predica, è la comunità che predica. Così, per esempio, qualora prendiamo un atteggiamento in materia di giustizia o di moralità, tale atteggiamento dovrebbe essere esaminato prima in comunità. Quanto danno ‑ e scandalo ‑ potrebbe essere evitato ai fedeli se sottomettessimo all'esame della comunità le nostre idee, relative ai problemi dibattuti. Noi domenicani esaltiamo i nostri profeti. I più grandi tra questi furono coloro la cui predicazione e lavoro nacquero nella comunità e furono appoggiati dalla comunità intera. Sto riferendomi ad Antonio de Montesinos e a Las Casas. Anche i profeti devono sottomettersi all'obbedienza.
Un altro aspetto oggi che necessita di riflessioni è il nostro atteggiamento verso le osservanze della comunità. Quanto facilmente possiamo appartarci e dispensarci dagli esercizi della comunità, di modo che impercettibilmente giungiamo a trovarci emarginati dentro la comunità. In questi casi, quale volontà stiamo seguendo, quella di Dio o la nostra?
Povertà. Abbiamo fatto professione di povertà, ma paradossalmente sfruttiamo una situazione di sicurezza che la grande maggioranza della gente non ha. La preoccupazione della nostra sicurezza potrebbe facilmente allontanarci dal lavoro apostolico. Questo lo noto in un certo numero di luoghi. Io sospetto che l'insistenza di Domenico nel vivere dipendente, era intimamente legata al suo desiderio di libertà apostolica. Vivere in totale dipendenza rende possibile ciò che è impensabile. Per noi domenicani esiste una connessione tra i voti e la predicazione. I voti ci danno libertà per predicare, autenticano la nostra predicazione.
Nel suo discorso al Consiglio generalizio straordinario, nel maggio 1970, il P. Aniceto Fernández diceva: « La povertà è un tema sul quale si parla molto, ma nella pratica, compresa la vita privata, non esistono segni di povertà né nel vestito, né nel vitto, né nel sonno o nell'uso delle macchine o nel fare viaggi o in altre cose totalmente superflue ». Ebbene, è mutato qualcosa negli anni seguenti?
Oggi possiamo essere facilmente vittime di quel fenomeno universale che è il consumismo. Questo impone a tutti noi l'obbligo della responsabilità.
E' necessario chiederci costantemente in quale modo usiamo le cose materiali: che testimonianza diamo nei nostri edifici, nella nostra mensa, nei nostri vestiti, ricreazione, vacanze. E' pure necessario che aiutiamo coloro che amministrano i beni della comunità, e questi da parte loro devono essere coscienti che il denaro che amministrano non è di loro proprietà, bensì di tutti e che devono rispondere di esso.
Castità. Per molte persone è la testimonianza più importante della nostra vita religiosa. Una volta di più la nostra condotta dev'essere in consonanza con la nostra consacrazione. Tutto ciò che è lecito, non sempre è opportuno.
Un aspetto di questa consacrazione che desidero toccare è questo. Noi abbiamo donato a Dio il santuario più intimo del nostro cuore, ma sperimentiamo allo stesso tempo altre esigenze. Egli ci ha fatti di tal forma che un'ampia area della nostra vita è accessibile agli altri e desiderata dagli altri. Tutti abbiamo bisogno di sperimentare l'interesse autentico degli altri membri della comunità, il loro affetto, la stima, la compagnia. Qualcuno potrebbe Pensare che Dio basti, però abbiamo visto a ragione che Dio ci ha fatto così perché abbiamo bisogno di qualcosaltro, oltre la preghiera e la rinuncia. Necessitiamo di aria, cibo, sonno, educazione. Ma soprattutto di amore. In quale momento della nostra peregrinazione terrena sospendiamo di essere umani? La vita trascorsa insieme ha senso nel condividere pure insieme il pane delle nostre menti e dei nostri cuori. Quando il religioso non incontra tutto questo nella comunità purtroppo va a cercarlo altrove.
6. Prendere delle decisioni
La nostra mutua responsabilità ci porta ad accettare le responsabilità della nostra comunità. Tutti siamo responsabili del cammino armonioso della comunità e questo senso della responsabilità si fa tanto più acuto, quanto più ci compromettiamo nel prendere le decisioni.
Le Costituzioni ci propongono un certo numero di strutture, appunto ordinate a facilitare questo coinvolgimento decisionale: i Capitoli generali e provinciali, il Consiglio e il Capitolo della casa. E tuttavia, nessuno di questi ci porterà ad un progetto o ad una missione comune se non sono realizzati nel modo dovuto.
Non dirò mai abbastanza sulla necessità di attuare secondo la regola di incontri di comunità, che contribuiscono a creare quella coscienza collettiva di comunità che conduce al 'consensus'. In questo processo collettivo il priore è primo tra uguali. Dobbiamo sempre tener presenti le differenze tra la democrazia civile e la nostra. Nelle democrazie civili il potere sta nel voto della maggioranza assoluta, e un voto può determinare una decisione. Nel sistema democratico domenicano la nostra meta è raggiungere una sola mente e un cuore solo, al fine di arrivare ad un 'consensus' più ampio possibile. Esso infatti consegue un peso ben maggiore della maggioranza assoluta. «Questo sforzo nel raggiungere l'unanimità, ‑ diceva il P. V. de Couesnongle sebbene non sempre essa si realizzi, è garanzia sicura della presenza dello Spirito Santo e, di conseguenza, è un cammino più sicuro per scoprire la volontà di Dio » .
Si è anche detto che allo stesso tempo « i religiosi maturi sperimentano la comunità come unico (e, a volte, come contrario) centro di giudizio e di decisione ». Domenico aveva la capacità di non essere d'accordo con gli altri e di permettere agli altri di non essere d'accordo con lui.
I nostri Capitoli conventuali saranno inutili se li consideriamo soltanto come riunioni legali o luoghi per discutere. Questo atteggiamento lo possiamo superare cominciando i nostri Capitoli come fossero una preghiera, in spirito di riflessione e di apertura allo Spirito Santo.
In secondo luogo, come parte di questa nostra riflessione silenziosa e di questa preghiera, noi possiamo concederci il tempo di riconoscere i nostri difetti di fronte alla vita comunitaria.
Molti elementi possono coalizzarsi contro questo modo di procedere. I più importanti sono: l'individualismo esagerato, l'apatia e la paura che può accompagnare il prendere le decisioni. D'altra parte dobbiamo impostare queste riunioni con la dovuta informazione e prendendo il tempo sufficiente per concludere. Da ultimo, dobbiamo anche trovare la forza di accettare l'obbedienza che ci impongono le decisioni comunitarie.
Un aspetto di questo fatto è la disponibilità nell'accettare responsabilità dentro la comunità. Esiste quasi dappertutto un rifiuto ad accettare posti di responsabilità. L'elezione ad un ufficio particolare non dovrebbe mai essere rifiutata, a meno che esistano gravissime ragioni. Da parte nostra, quando elegiamo qualcuno, dobbiamo anche aiutarlo.
7. Costruendo la comunità
Ogni comunità deve avere un ritmo di osservanza che tenga conto anche dello scambio, avendo presenti le necessità personali e i ministeri che svolgiamo. Senza dimenticare però che ci siamo consacrati alle necessità degli altri.
Il « cor unum » ci spinge a vivere insieme, sebbene siamo di opinioni e attitudini differenti. Una comunità nella quale tutti siano d'accordo con tutti non esiste. E' necessaria la mutua comprensione, la tolleranza e la disposizione a sopportarci. Ci sono alcuni che sono disposti a convivere solo con i propri amici; esistono comunità che escludono le persone di mentalità e attitudine diverse. Cosa resta della vita religiosa se scegliamo con chi vivere? Questo non è nemmeno cristiano.
A tutto questo segue subito il problema della ricreazione personale e comunitaria. Parlando al mondo del lavoro, Giovanni Paolo II diceva: « La Sacra Scrittura, così come insegna la necessità del lavoro, insegna anche la necessità del riposo ». Nella lettera ai membri della sua Provincia, un Provinciale domanda: « In quale misura incide la televisione nella qualità del tempo che passiamo insieme e come si vivrebbe la fraternità senza di essa? Non abbiamo perduto forse qualche valore importante in questo periodo di rinnovamento? Concretamente, perché molti di noi fanno un'esperienza di fraternità fuori e non dentro la comunità? Se puntiamo molto sull'aspetto apostolico della nostra vita, ciò non andrà a spese della nostra fraternità? E quale prezzo poi dovrà pagare lo stesso apostolato? ».
Infine, dobbiamo sforzarci di costruire comunità di speranza. Se predichiamo misericordia, dobbiamo anche poter ricevere misericordia e manifestare vicendevolmente misericordia dando testimonianza della speranza che è in noi. Le parole di Paolo VI nella « Evangelica testificatio » continuano ad essere fonte di ispirazione per la nostra vita. Egli dice: « Pur se imperfetti, come ogni cristiano, voi intendete tuttavia creare un ambiente atto a favorire il progresso spirituale di ciascuno dei suoi membri. Come si può raggiungere questo risultato, se non approfondendo nel Signore i vostri rapporti, anche quelli più ordinari, con ciascuno dei vostri fratelli? La carità ‑non dimentichiamolo ‑ dev'essere come un'operosa speranza di quanto gli altri possono divenire con l'ausilio del nostro sostegno fraterno. Il segno della sua autenticità si riscontra nella lieta semplicità, con la quale tutti si sforzano di comprendere ciò che sta a cuore a ciascuno. Se alcuni religiosi danno l'impressione di essersi lasciati spegnere dalla loro vita comunitaria, che avrebbe dovuto invece farli espandere, ciò non avviene forse perché manca in essa, questa cordialità comprensiva, che alimenta la speranza? E' indubbio che lo spirito di gruppo, i rapporti di amicizia, la collaborazione fraterna in un medesimo apostolato, al pari del sostegno vicendevole in una comunanza di vita, scelta per un migliore servizio del Cristo, siano altrettanti coefficienti preziosi in questo quotidiano cammino » (n. 39).
Con i miei migliori auguri, vostro fratello minore nel Santo Padre Domenico,
Roma ‑ da S. Sabina, 25‑11‑88
Fr. Damian Byrne
Maestro dell'Ordine
Ordine dei Predicatori
Provincia San Tommaso d'Aquino in Italia
Curia Provinciale - Convento Madonna dell’Arco - 80048 Sant’Anastasia (NA)
Tel +39 081.89.99.111 - Fax +39 081.89.99.314 - Mail: info@domenicani.net
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