La Vita di San Domenico

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I primi anni: da Calaruega a Palencia

Domenico, il fondatore dell’Ordine dei Frati Predicatori, nacque a Calaruega (Castiglia, Spagna) in un anno tra il 1171 e il 1175, in una famiglia della nobiltà locale. Mentre sulla madre, Giovanna di Aza, vi sono sufficienti antiche testimonianze, l’appartenenza del padre Felice alla famiglia Guzman è attestata da una tradizione del XV secolo accolta ufficialmente dall’Ordine nel 1555.

Educato dapprima uno zio arciprete, intorno ai 14 anni si recò a Palencia, applicandosi agli studi sacri, oltre che alla grammatica e alla dialettica.

Domenico non nutriva una predisposizione allo studio per lo studio, ma solo in vista di scopi più alti. Così si spiega anche l’episodio accaduto a Palencia e narrato da Giordano di Sassonia nel suo “Libretto sui primi tempi dell’Ordine dei Predicatori”: Scosso dalla miseria dei poveri e divorato dalla compassione, risolvette con un unico gesto di obbedire ai consigli evangelici e di alleviare nel modo che gli era possibile la miseria dei poveri che morivano. E vendette i libri che possedeva, libri a lui indispensabili fra l’altro, e tutte le sue suppellettili. Dando origine ad una elemosina, Domenico distribuì i suoi beni ai poveri.

Sul finire del suo soggiorno di studi a Palencia, Domenico fu avvicinato dal priore del capitolo di Osma, Diego de Acebés, che lo convinse a seguirlo e ad entrare in quel capitolo di canonici. Entrato verso il 1198 nel capitolo della Cattedrale di Osma, ne divenne il sottopriore nel 1201, mentre Diego era elevato alla cattedra episcopale.

prova didascalia

 

Da Osma con Diego in Linguadoca

Dovendo nel 1202 recarsi in Danimarca quale ambasciatore del re di Castiglia Alfonso VIII, allo scopo di chiedere la mano di una nobile per il figlio Ferdinando, il vescovo volle con sé il giovane sottopriore del capitolo. Durante quel lungo viaggio i due attraversarono il territorio di Tolosa e, giunti a destinazione, ottennero il consenso della fanciulla. Tuttavia, rientrarono ben presto in Spagna, dovendo attendere che i promessi sposi raggiungessero l’età prevista per il matrimonio. Quando ciò avvenne nel 1205, Diego e Domenico ripartirono per riprendere il filo del discorso, ma, arrivati in Danimarca, appresero che la nobile fanciulla era morta.

Durante il loro breve soggiorno a corte vennero a conoscenza dei popoli ancora pagani dell’Europa orientale e specialmente dei Cumani. Presi dal desiderio di andare ad evangelizzarli, mandarono un’ambasceria al re di Castiglia per informarlo sulla morte della fanciulla, e i due si recarono a Roma dal papa Innocenzo III. Questi però, dopo averli ascoltati, si rifiutò di accondiscendere alla loro richiesta.

Ripresero così il cammino per rientrare in Spagna. Sulla via del ritorno nel 1206 Domenico e il suo vescovo attraversarono la Francia meridionale, giungendo a Montpellier. Fu qui che incontrarono un gruppo di ecclesiastici impegnati a discutere sui metodi per affrontare gli eretici, che ormai si erano addirittura organizzati ecclesiasticamente nella regione. Questi eretici erano i Catari (puri), detti anche Albigesi perché nella città di Albi avevano il loro quartier generale.

La forza trascinatrice dei movimenti ereticali nasceva dal fatto che proponevano un esempio di rigorosa povertà evangelica, che rigettava tutti i compromessi accettati dalla chiesa cattolica per fronteggiare le esigenze dei tempi.

Da parte sua Domenico, seguendo anche qui una modalità cara agli eretici albigesi, fondò a Prouille una comunità femminile che con la preghiera e col loro servizio fungesse di appoggio alla predicazione. Poi, passando a Tolosa, ebbe la gioia di vedersi accolto dal vescovo Folco, che benedisse alcune donazioni fatte a lui e ad alcuni suoi primi seguaci. Innocenzo III non mancò di esprimere la sua soddisfazione per il fatto che Domenico e Diego si fossero aggregati ai legati papali nella sancta Praedicatio.

Tra il mese di maggio e di giugno del 1207 la schiera dei predicatori si era enormemente ingrossata al punto da raggiungere quasi una quarantina di unità, la maggior parte dei quali appartenenti all’Ordine dei cistercensi. Nonostante la quantità però le cose stagnavano, anche perché gli eretici divenivano sempre più aggressivi. Prima la morte di Raoul, poi la partenza di Diego per la Castiglia (ove sarebbe morto poco dopo, nel dicembre del 1207), indebolirono alquanto l’efficacia della predicazione.

La crociata antieretica

I primi di gennaio del 1208, il legato Pietro di Castelnau affrontò direttamente il conte di Tolosa Raimondo VI rinfacciandogli la sua protezione degli eretici. Il conte gli rispose altrettanto duramente. Sembrava uno dei soliti fuochi di paglia destinato a rimanere senza esito. Ma, mentre si allontanava dalla città, il legato pontificio fu raggiunto da un cavaliere e trapassato con una lancia. Tutti si attendevano che il crimine venisse punito, ma il conte, invece di punire il cavaliere, sembra che lo rimunerasse (almeno stando alle fonti successive che giustificavano la guerra). A quel punto il papa Innocenzo III incollerito per l’affronto proclamò la crociata contro il conte protettore degli eretici e colpevole della morte del legato.

Nel 1208 il papa chiedeva dunque al re di Francia di muovere guerra agli Albigesi. Per diversi motivi di politica internazionale il re preferì astenersi dall’obbedire al papa, lasciando tuttavia ai suoi feudatari la libertà di entrare in guerra col conte di Tolosa. Questi trovò degli alleati e non recedette dall’appoggio ai Catari per cui dovette sostenere la guerra contro eserciti che scendevano dal nord alla conquista delle sue terre. Il più intraprendente dei “Crociati” era allora Simone di Monfort, che in capo ad un anno costrinse il difensore degli Albigesi alla resa.

Le sue crudeltà spinsero Raimondo a riprendere le armi, ma Simone uscì ancora vincitore, conquistando Béziers e Carcassonne. Il condottiero era accompagnato dall’energico (e spietato) abate di Citaux che, entrando a Béziers, avviò il massacro con queste parole: Ammazzateli tutti, Dio riconoscerà i suoi. La battaglia decisiva fu quella di Muret (12 settembre 1213), che vide fronteggiarsi il Montfort da parte dei cattolici e Pietro II d’Aragona, divenuto a sua volta difensore degli Albigesi al fine di fermare le ambizioni del Monfort. A quel punto, infatti, l’elemento ereticale era passato in secondo piano, rispetto agli sconvolgimenti degli equilibri politici e territoriali. La vittoria arrise ancora una volta al Montfort, e dato che era il condottiero di parte cattolica e quindi aveva buoni rapporti con Domenico, alcuni storici hanno supposto che alla battaglia di Muret Domenico abbia partecipato personalmente. Nessun documento, tuttavia, riferisce di una qualche partecipazione personale di Domenico alla crociata e tantomeno alle operazioni militari.

L’idea di un Ordine di Predicatori

In tutto questo periodo, a partire dal 1206 (con la fondazione di Prouille), Domenico e i suoi frati erano vissuti in una situazione alquanto indefinita dal punto di vista del loro status religioso.

Il decennio che va dal 1206 al 1215 vede un crescendo nell’autorevolezza di Domenico.

Benché ufficialmente senza alcuna autorità, essendo soltanto un subdelegato, Domenico era dunque giunto ad una autorità effettiva non indifferente, grazie alla sua amicizia con Simone di Montfort. In questa nuova veste di autorevolezza, l’umile ministro della Predicazione pensò che fosse giunto il momento della svolta. L’occasione venne con la celebrazione del concilio del Laterano IV (1215).

Accompagnando a Roma il vescovo di Tolosa, Domenico presentò al papa la richiesta di approvare l’Ordine religioso avente come finalità la predicazione. Benché Innocenzo III soltanto cinque anni prima avesse approvato la regola di S. Francesco, con S. Domenico si comportò in modo del tutto differente, rigettando la sua richiesta. Per mitigare il suo rifiuto richiamò la recente disposizione del Concilio: Affinché l’eccessiva proliferazione degli Ordini religiosi non provochi nella Chiesa di Dio una grande confusione, si fa proibizione a chicchessia di fondare una nuova Religione. Se qualcuno poi volesse abbracciare la vita religiosa può entrare in un Ordine già approvato. Allo stesso modo, se qualcuno volesse fondare una nuova casa religiosa, faccia propria una delle regole o istituzioni già approvate. Dopo aver rigettato la richiesta di Domenico, Innocenzo III consigliava dunque di ispirarsi ad una regola già esistente.

Il modo “composto” con cui Domenico incassò il diniego pontificio farebbe pensare che comprendesse l’allarmismo della Chiesa al riguardo. Invece di ribellarsi, preferì agire con circospezione, il che gli dava ancora un pò di tempo per riflettere su quell’idea ricca di potenzialità. Infatti, egli aveva appena spostato la sua attenzione dalla riconciliazione degli eretici alla fondazione di un Ordine. La sua intenzione di partire missionario fra i pagani l’aveva condivisa col suo vescovo Diego, e con lui aveva anche condiviso la predicazione fra gli eretici. Ma l’idea di un nuovo Ordine religioso sembra esclusivamente sua.

Era chiaro che la Chiesa non era pronta a delegare l’annuncio della parola di Dio. Il problema di fronte al quale ora Domenico si trovava riguardava il come rispondere ad un simile rifiuto. Se abbandonare o meno l’impresa. Decise di agire con prudenza, chiedendo cioè non l’approvazione di un Ordine, ma del modo di vivere di questa casa o di quel convento.

Rientrato a Tolosa, nel luglio del 1216 Domenico otteneva dal vescovo Folco la chiesa di S. Romano. Per i suoi  seguaci scelse la regola di S. Agostino, anche perché atta ad integrazioni e variazioni (senza dimenticare le Consuetudini Premonstratensi). Essendo nel frattempo morto Innocenzo III, chiese al successore, Onorio III, di approvare il modo di vivere della comunità di S. Romano, e di confermare le donazioni avute.  In altri termini decise di seguire la politica del passo dopo passo, una politica che, come si vedrà, fu coronata da completo successo.

Onorio III e i Fratres Ordinis Praedicatorum

Appena morto Innocenzo III (16 luglio 1216) Domenico tornò a Roma, e senza chiedere alcuna bolla di fondazione dell’Ordine, espose le sue iniziative al nuovo papa Onorio III. Questi accolse con favore Domenico e in due bolle (Religiosam vitam del 22 Dicembre 1216 e Gratiarum omnium del 21 Gennaio 1217) lodò l’opera sua e dei suoi frati.

La tenacia e la pazienza di Domenico produssero i frutti desiderati. Pur senza ottenere alcuna bolla di fondazione dell’Ordine, de facto l’Ordine dei Predicatori ebbe il riconoscimento tanto desiderato. Un terzo documento di Onorio III, infatti, è molto vicino a quello che si può intendere per riconoscimento ufficiale. La bolla del 7 febbraio 1217, infatti, pur riferendosi ancora alla comunità di S. Romano, fa riferimento alla nuova realtà dei frati di Domenico, qualificando la loro attività e la loro vita comune come religio. Il papa, nel proibire qualsiasi marcia indietro dopo la professione o cambio di Ordine, senza il permesso di Domenico, scrive: Per l’autorità apostolica vietiamo rigorosamente a chiunque dei vostri frati, dopo aver fatto nel vostro monastero la professione, di recedere, senza licenza tua o dei tuoi successori nel priorato, a meno che non sia per passare ad un Ordine più rigoroso.

Con questa bolla l’Ordine non nasceva soltanto de facto ma, sia pure soltanto in nuce, anche de jure. Nella primavera del 1217 Domenico tornava così nella comunità di S. Romano a Tolosa con un nuovo spirito, essendo la sua una vera comunità religiosa, composta di una ventina di frati.

A questo punto avvenne la grande svolta. Fino a quel momento Domenico aveva incentrato tutta la sua attività nella Francia meridionale e soprattutto nel territorio tolosano, nelle cittadine con più forte presenza di eretici. Come se il riconoscimento della religio da parte di Onorio III gli avesse aperto la mente ad una folgorazione divina, nonostante le esortazioni in contrario di Folco e di Simone di Monfort, disperse i frati mandandoli a Parigi, in Spagna, a Bologna, e lasciandone alcuni a Prouille, altri a Tolosa.

Domenico frantumava ulteriormente quella manciata di semi, nella speranza che fruttificassero. E la sua intuizione risultò estremamente feconda, perché il seme gettato in varie parti produsse una messe meravigliosa.

La presenza di Parigi, che diverrà costante nell’attenzione di Domenico, dimostra anche che, pur essendo egli piuttosto un uomo d’azione missionaria, aveva già in mente l’importanza dello studio. Se si volevano infatti convertire gli eretici, era necessaria la povertà evangelica, ma era altrettanto indispensabile la preparazione culturale.

 

I capitoli generali e la morte

La nuova realtà trovò una conferma giuridica con la bolla di Onorio dell’11 Febbraio 1218, in cui i frati, raccomandati ai vescovi del luogo, non venivano definiti in termini canonicali o monastici, bensì per la prima volta espressamente: Fratres Ordinis Praedicatorum. Bolla che era stata ottenuta durante il suo quarto soggiorno a Roma (fine 1217 – maggio 1219). La recluta delle vocazioni dovette essere fulminea se, sul finire del 1219, il papa Onorio III emetteva tutta una serie di bolle chiedendo agli ordinari del luogo di sostenere l’opera di questi Fratres ordinis Praedicatorum. In un primo momento si rivolse a vescovi e capitoli di determinate città, come Parigi e Milano, poi allargò l’orizzonte scrivendo universis ecclesiarum praelatis.

Nel 1218 moriva Simone di Montfort, e i Catari ebbero modo di riorganizzarsi. Ma ormai essi non erano più al centro dell’attenzione di Domenico, tutto preso (e forse sorpreso) dai fulminei inizi dell’Ordine da lui fondato. Un chiaro segno che la sua idea aveva colto una esigenza profondamente sentita nella Chiesa e nella società del tempo.

Durante il soggiorno a Roma Domenico si tenne a contatto con la curia pontificia anche per creare appoggi ai suoi frati, senza dimenticare la direzione spirituale alle monache. Una volta si recò a Parigi, ove ebbe modo di vedere i frutti della predicazione. Le più importanti adesioni erano state quelle del beato Giordano di Sassonia e del beato Reginaldo d’Orleans. Quest’ultimo, apprezzato giurista, suscitò nuove vocazioni a Bologna. Rientrato a Roma, Domenico si occupò delle claustrali di San Sisto, la cui comunità era stata  rafforzata dall’arrivo di 8 religiose da Prouille.

Prolungando la sua permanenza a Roma, senza tralasciare la direzione spirituale delle monache, Domenico cominciò a pensare al prossimo capitolo, cioè a quell’assemblea generale dei frati in rappresentanza dei vari conventi, da tenersi a Bologna. Avendo lasciato Roma con un certo anticipo, anche per incontrare il papa a Viterbo, raggiunse il convento di S. Niccolò delle Vigne a Bologna e la Pentecoste del 1220 apriva il capitolo circondato da numerosi frati. Nella sua umiltà, con lo stesso spirito col quale aveva disperso i frati nel mondo invece di rafforzare la vita comunitaria, così ora, pur avendo un carattere forte e solide convinzioni, decise di non condizionare la libera discussione e le conclusioni dell’assemblea. Lo spirito e la legislazione dovevano nascere dal libero dialogo di coloro che avevano scelto di seguire la sua idea.

Il suo spirito di povertà, ad esempio, era molto vivo, tanto che una volta a Bologna aveva strappato un contratto per il quale i frati erano entrati in possesso delle proprietà di tale Odorico di Galizia. Eppure accettò di piegarsi alle decisioni capitolari che rinunciavano sì alle grandi proprietà, ma non in modo radicale. I conventi potevano possedere e utilizzare i frutti delle elemosine. La povertà assoluta riguardava solo il frate, non il convento. Ed anche il frate, con il permesso dei superiori, poteva avere presso di sé dei libri se il suo ufficio lo richiedeva. Fu deciso tra l’altro in quel capitolo che i capitoli generali si tenessero annualmente nel periodo di Pentecoste. Il definitore, eletto dal capitolo provinciale era il principale nesso nel tessuto dell’Ordine. La durata del noviziato non era fissa, ma relativa alla preparazione dell’individuo.

La predicazione di Domenico in Lombardia fu coronata dal sorgere di varie comunità (Brescia, Piacenza, Parma, Faenza), mentre a Roma nasceva la comunità di Santa Sabina. Nel giugno del 1221 il fondatore dell’Ordine era presente al secondo capitolo generale a Bologna (coi rappresentanti di una ventina di conventi). Essendo cresciuto enormemente fra il 1220 ed il 1221, in questo secondo capitolo generale l’Ordine venne diviso in Province: Lombardia, Spagna, Provenza, Francia e Romana. Più tardi si aggiungono: Ungheria, Germania e Inghilterra. Quindi Grecia, Terra Santa, Polonia e Dacia.

Dopo di che, nonostante che la salute desse segni di allarme, Domenico continuò a predicare in Lombardia. Quando non resse più, si fece portare nel convento di S. Nicola a Bologna, ove morì il 6 agosto del 1221. Fu canonizzato da Gregorio IX il 3 luglio del 1234.