Il corpo di san Domenico, sepolto – come egli aveva desiderato – nel coro di San Niccolò delle Vigne “sotto i piedi dei suoi frati ”, fu esumato e trasferito dal beato Giordano di Sassonia il 24 maggio 1233 in un sarcofago di marmo. Il beato Giovanni da Vercelli, VI Maestro Generale, ordinò la costruzione di un’arca più degna e il 5 giugno 1267 vi depose le reliquie del santo Fondatore. Lo splendido sepolcro eseguito da Niccolò Pisano e completato poi dà Niccolò di Bari, fu aperto il 15 febbraio 1383 – durante il generalato del beato Raimondo da Capua – per l’estrazione del capo: fu l’ultima volta che le ossa del santo Padre vennero alla luce. Le traslazioni successive (11 novembre 1411 – in una speciale cappella – e 25 aprile 1605 – nel luogo attuale) si compirono senza aprire la cassa. Il 17 aprile 1943, per sottrarli alla minaccia delle incursioni aeree, i preziosi resti furono riposti in un rifugio blindato e poi prelevati il 23 agosto 1946. Dopo accurata ricognizione radiologica e solenni celebrazioni, il 15 settembre, alla presenza del Cardinale Legato, del Maestro Generale padre Stanislao Gillet e del Capitolo elettivo dell’Ordine, vennero ricollocati nella candida arca marmorea.
Dalle “Lettere circolari all’Ordine Domenicano” del beato Giordano di Sassonia.
Ai Frati dell’Ordine dei Predicatori amati nell’amato Figlio di Dio, fra Giordano umile Maestro e servo del medesimo Ordine augura salute e gioia costante.
La bontà divina nella sua investigabile sapienza è solita differire per lo più un bene non per togliercelo ma perché più pieno e abbondante ci venga donato al momento giusto. Orbene, sia per il fatto che Dio provvede meglio alla sua Chiesa, sia per la diversità dei pareri fra le diverse persone, alcuni seguendo senza prudenza la via della semplicità, dicevano che bastava che la memoria immortale di san Domenico, servo dell’altissimo Signore, Fondatore dell’Ordine chiamato dei Predicatori, fosse nota a Dio, e non si dovesse fare in modo che fosse conosciuta dagli uomini.
Altri invece la pensavano diversamente: tuttavia per timidezza e pusillanimità non si opponevano ai primi. E così avvenne che la gloria del beato Padre Domenico restasse assopita senza nessuna venerazione per circa dodici anni. Infatti il tesoro nascosto giaceva inutilizzato. La perfezione di Domenico si manifestava più volte ma l’incuria dei figli la soffocava.
Ecco dunque arrivare il giorno stabilito per celebrare la traslazione dello straordinario dottore. È presente l’Arcivescovo di Ravenna e un folto gruppo di vescovi e di prelati; una folla di devoti giunti da varie regioni; assistono anche le truppe armate dei Bolognesi, perché non sia loro tolto il patrocinio di quel corpo santissimo. Ansiosi stanno lì attorno i Frati; sono pallidi e pregano timidamente, temendo, là dove non c’era motivo di timore, che il corpo di san Domenico, deposto in un modesto loculo ed esposto per tanto tempo alle piogge e al calore come qualunque altro cadavere, fosse pieno di vermi, ripugnasse all’olfatto dei presenti con insopportabile lezzo e venisse così offuscata la devozione per un così grande uomo. Si avvicinano i vescovi con pia devozione, poi si avvicinano gli operai con gli arnesi del mestiere e viene tolta la pietra, fissata al sepolcro con cemento assai resistente. Sotto vi era una cassa di legno nel terreno scavato, così come aveva fatto inumare il sacro corpo il venerabile Papa Gregorio, allora Vescovo di Ostia; in essa era evidente un piccolo foro.
Tolta dunque la pietra, un meraviglioso profumo incomincia a esalare dal foro, e gli astanti attoniti per la sua fragranza si domandano meravigliati di che cosa si tratti. Si stupiscono i presenti e, sorpresi dallo stupore, cadono bocconi. Erompono in dolci pianti, si comunicano la gioia negli animi; il timore e la speranza si contendono il campo, quelli che sentono la soavità del meraviglioso profumo scatenano gare edificanti. Abbiamo sentito anche noi la dolcezza di un siffatto profumo; e ciò che abbiamo visto e sentito, questo testimoniamo: infatti, sebbene fossimo stati intenzionalmente a lungo vicino al corpo di Domenico, non eravamo mai sazi di così grande dolcezza. Se si toccava il corpo con la mano, con il cingolo, con qualche altra cosa, quel profumo rimaneva per lungo tempo.
Il corpo fu trasportato al monumento di marmo per esservi seppellito con speciali aromi. Un profumo stupendo emanava dal sepolcro, manifestando a tutti chiaramente che si trattava del buon profumo di Cristo.
Si celebrarono Messe solenni da parte dell’Arcivescovo, e poiché il terzo giorno era la festa di Pentecoste, all’ingresso il coro intonò: “Accogliete la gioia della vostra gloria, ringraziando Dio che vi ha chiamato al regno celeste”: i Frati nella loro felicità accolsero queste parole come se venissero dal cielo. Risuonano le trombe, la gente solleva un gran numero di ceri; si snoda una suggestiva processione. Ovunque risuona la lode a Gesù Cristo.
Questi fatti sono accaduti nella città di Bologna il 24 maggio, nell’anno di grazia 1233, sotto il pontificato di Gregorio IX, quando era imperatore Federico II, a onore del Signore Nostro Gesù Cristo e del beato Domenico suo servo fedelissimo.