La Teologia come Scienza

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Tutta questa problematica teologica è affrontata dunque da S. Tommaso in termini filosofici, convinto come egli era che il retto uso della ragione portasse alle stesse conclusioni della Rivelazione, anche se non in tutti i particolari della religione positiva. Ecco perché,  nella Summa Theologica, egli non teme di partire metodologicamente dal carattere “scientifico” della teologia e di affrontare perciò il problema dei problemi, l’esistenza di Dio.

La teologia è la scienza che tratta di Dio considerato nella sua Divinità (sub ratione Deitatis), e non soltanto considerato in quanto ente e primo ente (sub ratione entis et primi entis). Essa è la scienza che procede sotto la luce della Rivelazione; presuppone quindi la fede nelle verità rivelate: Dobbiamo considerare che vi sono due tipi di scienze. In uno si procede da principi conosciuti per luce naturale dell’intelletto, come l’aritmetica, la geometria e simili. In un altro si procede da principi conosciuti mediante la luce di una scienza superiore: così la scienza dell’ottica procede da principi stabiliti dalla geometria, e la musica da principi stabiliti dall’aritmetica. Allo stesso modo la sacra dottrina è una scienza perché procede da principi resi noti  dalla luce di una scienza più alta, e precisamente la scienza di Dio e dei Santi. Pertanto, proprio come la musica si basa sull’autorità dei  principi insegnati dal matematico, così la dottrina sacra si basa sui principi rivelati da Dio [1].  Il riconoscimento della qualifica di “scienza” le deriva dal soddisfare al requisito aristotelico, secondo cui sapere significa conoscere la causa per la quale quella cosa è così e non può essere diversamente (scire est cognoscere causam propter quam res est et non potest aliter se habere).
Compito della teologia è raccogliere in un sistema organico le verità rivelate contenute nella Sacra Scrittura, nei Padri e nella Tradizione ecclesiale, difenderle poi dagli avversari, apportando argomenti di convenienza per manifestare (se non dimostrare) la veridicità di esse.  Ciò significa che la teologia non solo si serve del discorso esplicativo, ma anche di quello “illativo”; da due verità, mediante un ragionamento corretto, è lecito dedurne una terza[2].
Dicendo che l’oggetto della teologia è Dio nella sua deità, non si vuol dire che la natura di Dio sia conoscibile all’uomo.  Dio può essere conosciuto infatti solo analogicamente, vale a dire sub ratione communi et analogica entis.  Si tratta dunque di una impossibilità assoluta, metafisica e fisica, per la quale un essere creato (e pertanto finito ed imperfetto) non può pervenire alla perfezione assoluta e trascendente[3].  Solo nella vita nuova dell’al di là, ove per grazia di Dio scomparirà quel carattere di creaturalità, l’uomo potrà vedere Dio direttamente (visione beatifica)[4].  Finché si è in via, si può risalire a Dio solo analogicamente.  Già i minerali hanno qualche analogia con Dio per il fatto stesso di esistere come enti, le piante come partecipi alla vita, gli uomini e gli angeli gli somigliano per l’intelligenza.  Il punto più alto della somiglianza è quando questi esseri intelligenti sono forniti della grazia divina.
Punto di partenza di ogni teologia non può essere, però, che la dimostrazione dell’esistenza di Dio, un presupposto senza il quale non si potrebbe costruire alcunché di logico in materia di religione e di fede. Coerentemente col suo realismo moderato, Tommaso rigetta l’argomento ontologico di Anselmo.  A suo avviso, l’ammissione che l’affermazione Deus est si trovi nella mente non porta necessariamente alla conclusione che egli abbia un’esistenza concreta (existentia exercita) [5].
Tommaso preferisce, invece, esporre organicamente le argomentazioni addotte su questo argomento da Platone, Aristotele, i neoplatonici ed altri pensatori.  Sono quelle che egli stesso chiama le cinque vie che conducono all’affermazione dell’esistenza di Dio.

1.-  Dal movimento e dal divenire. E’ il concetto di causa efficiente, applicato al movimento e al divenire delle cose.  Attraverso un’argomentazione logica si perviene alla necessità di un primo motore immobile.  L’argomentazione è questa: Tutto ciò che si muove è mosso da un altro. Nulla infatti si muove se non per il fatto di essere in potenza verso ciò  al quale tende; per muovere infatti qualcuno dev’essere in atto. Ma non si può procedere all’infinito, poiché in tal caso non ci sarebbe il primo motore e di conseguenza non ci sarebbe alcuno a muovere un altro [6].

2.-  Dalla causa efficiente.  Più direttamente che nella prima prova si ricorre qui al concetto di causa efficiente. Non è possibile che qualcuno sia causa efficiente di sé stesso, poiché in tal caso esisterebbe prima di sé stesso, il che è impossibile. [7] Anche qui il processo all’infinito non è ammissibile, poiché senza una causa prima (che chiamiamo Dio) non avremmo le cause intermedie e, quindi, neppure le cause ultime.

3.-  Dal contingente e dal necessario.  Troviamo nelle cose che un gran numero sono possibili, cioè possono essere e non essere, come dimostrano i fenomeni della generazione e della corruzione.  D’altra parte non è concepibile che tutte le cose siano “possibili”, altrimenti non avrebbero su che fondarsi e bisognerebbe ammettere un tempo in cui non esisteva alcunché.  Ma il fatto stesso che esse vi sono dimostra che questo non è il caso in questione.  Intanto, ciò che non esiste non comincia ad esistere se non grazie a qualcosa che già esiste (quod non est, non incipit esse nisi per aliquid quod est), per cui si deve ammettere l’esistenza di un Qualcosa di necessario (Aliquid necessarium) (Dio) che dia ragione delle cose contingenti[8].

4.- Dai gradi della perfezione.  Nella realtà si osservano cose più buone e meno buone a seconda che si avvicinano variamente a qualcosa che è in modo eminente Ciò che è verissimo o ottimo è anche massimamente ente, come è detto nella Metafisica di Aristotele, e ciò che è il massimo in un determinato genere è anche causa di tutte le cose appartenenti allo stesso genere (…). Dunque c’è qualcosa che è causa dell’esistenza, della bontà e di qualsiasi perfezione in tutte le cose; e questo noi chiamiamo Dio [9].

5.-  Dal governo delle cose.  E la prova che parte dalla presenza della finalità e dall’ordine del mondo.  Spesso riferita in termini descrittivi, se non addirittura poetici, questa prova è riportata da s. Tommaso in termini argomentativi: Osserviamo infatti che alcune cose mancanti di conoscenza, vale a dire i corpi naturali, operano per un fine. Il che appare dal fatto che sempre o frequentemente operano allo stesso modo. E conseguono ciò che è ottimo, onde diviene manifesto che non dal caso, ma secondo un’intenzione pervengono al fine. D’altra parte le cose naturali prive di cognizione non tendono ad un fine se non dirette da qualcuno dotato di intelligenza (come una freccia dall’arciere).  Per cui deve esistere uno intelligente (Dio) che ordina le cose naturali ad un fine[10].


[1] Ivi, I, q. 1, a. 2.
[2] Ivi, I, q. 1, a. 8.
[3] Cfr. Summa contra gentes, I, 32.
[4] Cfr. Compendium Theologiae, 104-105.
[5] Cfr. Summa Theologiae, I, q. 2, a. 1; Summa contra gentes, I,  11.

[6] Omne quod movetur ab alio movetur Nihil enim movetur, nisi secundum quod est in potentia ad illud quod movetur;  movet autem aliquid secundum quod est actu (…). Hoc autem non est procedere in infinitum; quia sic non esse aliquod primum movens, et per consequens nec aliquod aliud movens. Cfr. Summa Theologiae, I, q. II, a. 3 (Respondeo dicendum… Prima autem et manifestior via est, quae sumitur ex parte motus).

[7] Ivi. Secunda via est ex ratione causae efficientis: Nec est possibile, quod aliquid sit causa efficiens sui ipsius, quia sic esset prius seipso, quod est impossibile.
[8] Ivi. Tertia via est sumpta ex possibili et necessario.
[9] Ivi. Quarta via sumitur ex gradibus qui in rebus inveniuntur. secundum quod appropinquant diversimode ad aliquid quod maxime est. (…) Causa omnium quae sunt illius generis. () Ergo est aliquid quod est causa esse, et bonitatis, et cuiuslibet perfectionis in rebus omnibus; et hoc dicimus Deus
[10]Ivi. Quinta via sumitur ex gubernatione rerum Videmus enim quod aliqua quae cognitione carent, scilicet corpora naturalia, operantur propter finem; quod apparet ex hoc quod semper aut frequentius eodem modo operantur, et consequuntur id quod est optimum; unde patet quod non a casu, sed ex intentione perveniunt ad finem.  Cfr. Summa Theologiae, I, q. 2, a. 3.