L’Ordine Domenicano e il Tomismo

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La struttura dell’Ordine domenicano, per la sua proiezione verso la cultura al fine di dialogare col mondo e proporre il Vangelo, faceva sì che ogni pensatore di rilievo scegliesse le vie che gli sembravano più confacenti alla verità in sé ed al metodo per agganciare il pensiero dominante nella società. Di conseguenza, nonostante le indicazioni e le raccomandazioni dei capitoli generali, i teologi di un certo spessore si riservavano la libertà di proporre soluzioni filosofiche e teologiche diverse.
Già dal XIII secolo, ma soprattutto dopo la sua canonizzazione, fu la filosofia di S. Tommaso ad essere raccomandata. Non al punto però da scalzare le Sentenze di Pietro Lombardo come manuale scolastico. Solo nei primi anni del XVI secolo ci fu a Parigi qualche tentativo di usare la Summa come manuale di teologia, andando la cosa definitivamente in porto con Francisco de Vitoria in Spagna.
Il problema della filosofia nell’Ordine era tuttavia più complesso di quanto non indichi il tardo affermarsi della Summa come manuale. Infatti, non si trattava solo di accogliere o meno l’impostazione aristotelica, proposta da Alberto e Tommaso, al posto di quella platonico-agostiniana, ma si trattava ugualmente di interpretare in modo omogeneo la dottrina di S. Tommaso. In altri termini, il problema dell’interpretazione sussisteva anche per coloro che erano sinceramente intenzionati a mantenersi fedeli a Tommaso. La carenza di sintesi armonica nel pensiero tomista, molto arricchente dal punto di vista delle ispirazioni e delle potenzialità, fece sì che sia all’interno dell’Ordine che nei confronti degli altri si moltiplicassero le interpretazioni. Da qui le accese controversie su alcuni punti nevralgici della teologia. Con poche eccezioni, l’Ordine mantenne tuttavia una notevole concordia su due punti: la negazione dell’immacolata concezione di Maria e la priorità della grazia divina in ogni atto moralmente buono compiuto dall’uomo. Rinviando questo secondo argomento (noto come controversia de auxiliis) al capitolo su “Benedetto XIII e il giansenismo”, si delinea qui la storia della disputa sull’immacolata concezione con cenni ad altre polemiche in cui i frati furono coinvolti nel XVI secolo.
Benché nell’Ordine militassero un gran numero di professori di teologia dalle più diverse ispirazioni, molto presto si ebbe sentore che il confratello Tommaso d’Aquino avesse messo a punto una grande sintesi capace di dialogare e contrastare la cultura del tempo. L’importanza di S. Tommaso fu compresa cioè quando egli era ancora in vita, come dimostrano alcune valutazioni nei capitoli provinciali. Un attestato più ufficiale venne dall’ex maestro generale Umberto de Romans che, in risposta ad alcuni quesiti del papa in preparazione al concilio di Lione del 1274, riferendosi a Tommaso ed Alberto Magno, scriveva: Philosophia sic conculcata est per viros quosdam catholicos excellentis ingenii, qui omnia, quae apud eam sunt, investigaverunt et multo clarius quam ipsi philosophi plura intellexerunt, propter divinam scientiam quam habuerunt, et in his in pluribus eos illuminaverunt, quod non solum non rebellat philosophia fidei catholicae, sed redacta est quasi tota in obsepuium eius[1].

Ciò non significa che la filosofia e la teologia di S. Tommaso fossero ben presto recepite nell’Ordine. Al contrario, lo spirito creativo dei frati fece sì che non pochi professori e scrittori continuassero a muoversi liberamente. Anzi non mancarono i frati che, convinti della vecchia via agostiniana, attaccassero i principi proposti da S. Tommaso.   Si è già detto della censura di molte tesi tomistiche (specialmente quella dell’unità delle forme) ad opera di Robert Kilwardby, arcivescovo domenicano di Canterbury. Già allora però l’Ordine reagì. Infatti,  il capitolo generale di Milano (1278) inviava come commissari due frati della provincia di Provenza a richiamare i frati inglesi al rispetto della dottrina tomista.
Il problema si complicava a causa degli attacchi da parte francescana, che trovavano l’espressione più adeguata nel Correptorium di Guglielmo de la Mare. Il capitolo generale dei francescani riunitosi a Strassburgo nel 1282 esortava coloro che avevano facoltà di leggere la Summa ad integrarla con questo Correctorium che ristabiliva la “verità” su ben 118 punti sospetti[2].

Contro questo Correctorium presero la penna molti domenicani. Il primo a reagire sembra sia stato Riccardo Clapwell il quale, proprio nel periodo della suddetta presa di posizione ufficiale dei francescani, scrisse il Correptorium Corruptorii “Quare”[3]. Subito dopo vedeva la luce il Correptorium corruptorii “Circa” di Giovanni Quidort di Parigi[4]. Quindi altri due che vennero qualificati anch’essi con la parola iniziale, Sciendum (di Roberto di Hereford) e Quaestioni (di Guglielmo di Macklesfield, + 1303)[5].  Le tesi tomiste più controverse sono la distinzione fra essenza ed essere (nella creatura), l’unicità della forma (e quindi dell’anima) nell’uomo, il principio di individuazione (materia signata quantitate), il primato dell’intelletto (intellectus et ratio est potissime hominis natura) sulla volontà, la possibilità filosofica dell’eternità del mondo. A prima vista sembra che siano tesi puramente filosofiche e non implicanti direttamente la teologia, come ad esempio la questione de immediata visione Dei. In realtà, rigettando il realismo degli universali in nome dell’aristotelismo, Tommaso ridava valore al concreto ed all’individuale. Ai critici l’anima appariva troppo mescolata al corpo mortale, un mondo eterno appariva in contraddizione con la creazione, l’insistenza sull’intelletto rischiava di ridurre l’importanza della volontà e quindi della legge morale. In realtà se tutte queste problematiche venivano giudicate a partire dalla vecchia impostazione platonico-agostiniana, le conseguenze erano effettivamente quelle paventate dai francescani. Ma Tommaso aveva spostato tutta l’ottica e quindi anche le conseguenze andavano considerate in base alla nuova prospettiva.

In questa atmosfera di tensioni esterne ed interne, l’Ordine sentì il bisogno di intervenire attraverso quello che era il suo organo legislativo, il capitolo generale. Raccomandazioni di rispetto verso il tomismo si trovano, oltre che nel suddetto capitolo del 1278 (Milano), in quelli del 1279 (Parigi)[6], 1286 (Parigi)[7], 1309 (Saragozza)[8] e 1313 (Metz)[9]. Quasi sempre tali capitoli reagivano ad attacchi che venivano a S. Tommaso da varie parti. Il richiamo del capitolo di Parigi del 1286, ad esempio, era una risposta agli attacchi del francescano, John Peckam, arcivescovo di Canterbury. E la cosa non deve sorprendere, in quanto, non solo i francescani ma anche molti domenicani, come il suddetto Kilwardby, erano convinti che solo l’impostazione agostinista era conciliabile con la fede. Ad esempio, un agostinismo con tinte arabo-neoplatoniche rivelava ancora Ulrich Engelbert di Strassburg (+ 1277) nel suo De summo Bono. Lo stesso vale per Thierry de Freiberg (+1315 circa), che, ispirandosi all’agostinismo e ad Avicenna, qua e là prendeva le distanze da S. Tommaso. Né avrebbe potuto essere diversamente, in quanto al di là di coloro che si opponevano su basi prettamente filosofiche, vi erano anche quelli che si opponevano per una diversa impostazione di fondo, più spiritualista e più mistica, e di conseguenza più nella tradizione platonica-agostiniana.
E’ tuttavia innegabile che la figura di S. Tommaso, soprattutto dopo la sua canonizzazione, assunse un valore teologico normativo. Anche se questo non implicò la fine dei dissensi e delle polemiche, a causa sia del carattere della filosofia tomista sia dell’Ordine domenicano. Infatti, Tommaso, impegnato continuamente dal papato e dall’Ordine a risolvere questioni pratiche (legate sempre alla cultura) e morto a meno di cinquant’anni, non ebbe il tempo di riprendere tutte le sue opere giovanili e di armonizzare il tutto in modo coerente ed articolato. Il suo sistema non raggiunse mai una sintesi organica, ma qua e là affiorano nelle sue opere soluzioni e sfumature diverse degli stessi problemi. D’altra parte la struttura dell’Ordine era, come si è visto, improntata a grande liberalità, per cui molto raramente il dissenso dalle disposizioni capitolari sfociava in effettive sospensioni dall’insegnamento e in punizioni. Di conseguenza i richiami continui dei capitoli generali avevano effetto solo sulla maggioranza delle istituzioni scolastiche domenicane, in cui ovviamente i “professori” dovevano conformarsi alle disposizioni ufficiali. Laddove però, invece del semplice professore, si trattava di teologi veri e propri, vale a dire più profondi e creativi, i capitoli generali si limitavano a richiami di facciata, senza prendere iniziative concrete per metterli a tacere.

A partire dalla canonizzazione di S. Tommaso (1323) l’Ordine diede disposizione sempre più severe.  Nel capitolo generale del 1329 (Castres) il tomismo veniva riconosciuto quale dottrina teologica dell’Ordine: Siccome la dottrina di S. Tommaso è utile a tutto il mondo ed onorevole per l’Ordine, vogliamo ed ordiniamo che tutti gli studenti di Teologia studino in questa dottrina; che i Lettori e quelli che tengono corsi trattino e spieghino dettagliatamente questa dottrina nelle loro lezioni e discussioni e tengano le conclusioni del medesimo dottore, e se portano obiezioni contro questa dottrina, sono tenuti a scioglierle e per quanto possono ad annullarle. Chiunque verrà trovato fare il contrario, dai priori provinciali o dai loro vicari venga esonerato dall’insegnamento[10]. Il capitolo del 1629 parlerà del giuramento de tenenda S. Thomae doctrina. Ciò nonostante, uno storico come il Walz ancora recentemente affermava che nonostante la canonizzazione del dottore di Aquino, il tomismo nel secolo XIV andò piuttosto indietro che avanti.[11]
L’atmosfera controversistica medioevale faceva sì che spesso chi era all’attacco nel giro di qualche decennio veniva a trovarsi in difesa. Così la maggior parte delle tesi di S. Tommaso, attaccate nel XIII secolo, divennero comuni nel XIV ed a difendersi dalle accuse di eterodossia erano gli avversari. Tommaso trionfò ben presto persino sul punto in cui era stato maggiormente attaccato, la sua affermazione dell’unità delle forme sostanziali. Al concilio di Vienne (1311) veniva dichiarato eretico chiunque non  ammettesse che anima rationalis seu intellectiva non est forma corporis humani per se et essentialiter.


[1] Mortier, Histoire, I, p. 88.
[2] Cfr. P. Glorieux, Comment les thèses thomistes furent proscrites à Oxford, in Revue thomiste 1927, pp. 259-291.
[3] Cfr. P. Glorieux, Le Correptorium Corruptorii Quare, Kain 1927.
[4] Cfr. Grabmann, Le “Correptorium Corruptorii” du dominicain Johannes Quidort de Paris, in Revue Néo-scolastique, 1912, pp. 404-418.
[5] Cfr. Fulberto Cayré, Patrologia e storia della Teologia, II, Roma 1938, p. 685-687; Sofia Vanni Rovighi, Introduzione a Tommaso d’Aquino, Ed. Laterza, Roma Bari 2002, pp. 139-142 (molto utile per l’abbondante ed aggiornata bibliografia su S. Tommaso).
[6] Siccome il venerabile fra Tommaso d’Aquino, di santa memoria, ha molto onorato l’Ordine con la sua vita lodevole e con i suoi scritti, né si può tollerare che alcuni, dissentendo in qualche cosa, parlino alle volte con irriverenza e sconvenienza di lui e dei suoi scritti, ordiniamo ai priori provinciali e conventuali e a tutti i loro vicari e visitatori di non tralasciare di punire severamente coloro che eccederanno. MOPH III (1898), p. 204. Trad. It. In Lippini, La spiritualità, p. 100.

[7] Esortiamo e comandiamo strettamente che tutti e singoli frati diano il loro efficace contributo come sanno e possono per promuovere la dottrina del venerabile maestro fra Tommaso d’Aquino, di santa memoria, o per lo meno per difenderla come opinione; e se alcuni osassero fare il contrario, siano essi maestri o baccellieri o lettori o priori o semplici frati, siano ipso facto sospesi dai loro uffici e dai benefìci dell’Ordine. MOPH III (1898), p. 235. Trad. It. In Lippini, La spiritualità, cit., p. 100.

[8] MOPH IV (1899), p. 38.
[9] Ivi, (1899), p. 65.
[10] Ivi, (1899), p. 191.
[11] Walz, Compendium, cit., p. 142.