Redenzione – Chiesa – Sacramenti

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Al termine del discorso sul destino soprannaturale dell’uomo e dei mezzi per giungervi e, quindi, a seguito del discorso sulla grazia, Tommaso innesta la sua cristologia.

Nel problema dell’unione ipostatica egli ricorre all’analogia del composto umano.  Ciò che l’anima fa per il corpo nel composto umano (dandogli la forma sostanziale unica e la sua unità), l’essere del Verbo lo fa nei confronti dell’umanità di Cristo.  Esso sostituisce tutto ciò che avrebbe fatto l’essere proprio di essa, se non fosse stata pervasa da Dio.  La natura umana nel Cristo manca di personalità o sussistenza propria, che le viene data dall’essere superiore, che è fonte di esistenza e di vita.  E dato che la grazia di Dio non vien tolta che per colpa dell’uomo, Tommaso afferma l’unione già in utero Virginis Mariae, ed anche durante i tre giorni della morte[1].
Quanto al perché Dio si è fatto uomo, Tommaso osserva che ubique ratio incarnationis ex peccato primi hominis assignatur, per cui se il primo uomo non avesse peccato il Verbo non si sarebbe incarnato[2].  Dopo il peccato, Egli si è incarnato per offrire a Dio una soddisfazione adeguata.  Su questo punto Scoto sostiene, al contrario, che il Verbo si sarebbe incarnato comunque per manifestare la sua bontà (anche se non “in carne passibili”). Tommaso ritiene che Cristo sia l’unico Redentore universale, di cui tutti hanno bisogno per la loro salvezza e santità, inclusa la Vergine[3]. Maria però fu davvero la piena di grazia e la madre di Dio, per cui ebbe la funzione di “mediatrice” della grazia.

La grazia ha come agente principale il Cristo, come strumenti i sacramenti. Il Cristo comunica il carattere di modo che nella Chiesa è garantita la distribuzione dei sacramenti. Questi si pongono nella categoria dei segni: I segni sono fatti per gli uomini a motivo che è conveniente conoscere l’ignoto da ciò che si conosce.Per cui a rigor di termini, il sacramento è il segno di una cosa sacra che si riferisce all’uomo; nel nostro caso il sacramento nel senso stretto del termine è il segno di una cosa sacra nella misura in cui rende santi gli uomini.[4] Ma la santificatione degli uomini non può essere se non opera di Dio, di conseguenza la scelta del segno visibile non può competere all’uomo, ma solo all’istituzione divina[5].
Essi sono “segni efficaci” che operano ciò che figurano “ex opere operato” e non soltanto “ex opere operantis”, come i sacramenti dell’antica alleanza.  Essi non sfuggono alla regola metafisica della materia e della forma, che in generale si possono individuare nella cosa e nelle parole.  Le parole sono come la forma e le cose sensibili come la materia nei sacramenti. In qualsiasi cosa formata da materia e forma, il principio determinante è la forma che è, per così dire,  il fine e il termine della materia. Affinché qualsiasi cosa esista la prima cosa necessaria è la forma determinata e poi una materia determinata. Per cui,  poiché date cose sensibili sono necessarie per la materia sacramentale nei sacramenti, ancor più necessaria è una definita forma di parole[6].
I sacramenti possono anche essere considerati in analogia con la crescita fisiologica.
Si ha così il Battesimo, la Cresima e l’Eucarestia, oltre (in caso di peccato o malattie) la Penitenza e l’Unzione.
Carattere più sociale che personale hanno invece l’Ordine e il Matrimonio.

In generale comunque va detto che il trattato dei sacramenti fu sviluppato da S. Tommaso in modo ineguale. Mentre il battesimo, l’eucarestia e la penitenza ebbero una elaborazione organica[7], gli altri sacramenti non furono completati, forse a causa della morte prematura del Santo.
Pur non dedicando una sezione speciale alla Chiesa, Tommaso, in punti diversi della sua opera, parla di essa come del popolo di Dio che vive la vita di grazia attreverso i sacramenti. Il concetto di Chiesa è visto quindi nel contesto più ampio del sacerdozio, e questo esistente solo in quanto continuazione del sacerdozio di Cristo, che dunque è il vero capo della Chiesa[8]E’ abbastanza evidente che, benché il popolo si trovi in diverse diocesi e stati, nella misura in cui la Chiesa è una, anche il popolo di Dio dev’essere uno. E come ogni particolare congregazione ecclesiale necessita di un vescovo,  così l’intero popolo cristiano dovrebbe avere uno che sia il capo di tutta la Chiesa[9].   Quanto all’autorità terrena, Tommaso è figlio del suo tempo e riconosce il primato del papa anche sul temporale (oltre che in materia di fede).  Riecheggiando un detto di Gregorio di Nazianzo, afferma che “il potere secolare è sottomesso allo spirituale, come il corpo all’anima “. Al papa Tommaso riconosce la facoltà di ‘fidei symbolum ordinare” (“nova editio symboli necessaria est ad vitandum insurgentes errores “)[10] , secondo la frase di s. Luca: Ego pro te rogavi, Petre, ut non deficiat fides tua, et tu aliquando conversus confirma fratres tuos.
Ancora figlio del suo tempo è Tommaso a proposito della pena di morte nei confronti dei peccatori e degli eretici: Si aliquis homo sit periculosus communitati et corruptivus ipsius propter aliquod peccatum, laudabiliter et salubriter occiditur, ut bonum commune conservetur[11].  E ancora, riguardo agli eretici: Ex parte quidem ipsorum est peccatum, per quod meruerunt non solum ab Ecclesia per excommunicationem separari, sed etiam per mortem a mundo excludi.  E dopo che la Chiesa ha usato misericordia oppure è pervenuta alla scomunica nel timore che l’eretico infetti gli altri fedeli, finalmente relinquit eum iudicio saeculari a mundo exterminandum per mortem[12].

S. Tommaso dunque porta a compimento la rivoluzione aristotelica iniziata da Alberto Magno, ne applica i princìpi (ove possibile) alla teologia.  Per comprendere il significato della sua opera per i suoi contemporanei, è opportuno riportare l’allarme lanciato dal teologo francescano John Peckham nella sua lettera al vescovo Oliviero di Lincoln: Quale dottrina dunque è più solida e sana: quella dei figli di San Francesco, cioè di frate Alessandro [di Hales] di santa memoria, di frate Bonaventura e simili che nei loro trattati si basano sui Padri e sui filosofi, senza criticarli, o quella nuova (novella) quasi tutta contraria che distrugge per quanto può e sminuisce tutto ciò che Agostino insegna sulle verità eterne, la luce incommutabile, le potenze dell’anima, le rationes seminales presenti nella materia e innumerevoli altre simili ?[13]
Il Peckham arrivava a dire che Tommaso aveva introdotto delle “profane verità”, e che si era comportato con una sufficienza tale da fare affermazioni abjectis et vilipensis sanctorum assertionibus. In realtà, il teologo francescano non aveva tutti i torti. Tommaso aveva fatto teologia ricorrendo ad una filosofia, quella aristotelica, che era divenuta punto di riferimento quasi costante, anche nei confronti di Agostino. Ciò che Peckham non aveva capito era che Tommaso era davvero in grado di agire in modo rivoluzionario, essendo egli all’altezza di Agostino. In altri termini pur rimanendo una auctoritas, Agostino non era per Tommaso una auctoritas intoccabile.
Il teologo domenicano prospetta idee molto avanzate per il suo tempo (vedi il trattato sulla giustizia), ma anche idee che rientrano nella normale cornice del tempo. Ma, come Chenu ha messo in risalto, più che il contenuto delle sue soluzioni è fondamentale l’atteggiamento intellettuale estremamente libero e pronto al dialogo con la cultura del suo tempo. Il suo resta comunque il sistema teologico più rappresentativo della scolastica.


[1] Ivi, III, qq.  2-15; anche Sull’unione del Verbo incarnato,  q. I, a. 1.
[2] Ivi, III, q. 1.
[3] Ivi, III, q. 27, a. 2.
[4] Ivi, III, q. 60, a. 2.
[5] Ivi, III, q. 60, a. 5.
[6] Ivi, III,  q. 60, a. 7.
[7] Ivi, III, qq. 60-90.
[8] Commento all’Epistola agli Efesini, c. I, lect. 8.
[9] Summa contra gentes, IV, 76.
[10] Summa Theologiae, IIª IIae,  q. I, a. 10.
[11] Ivi, IIª IIae, q. 64, a. 2
[12] Ivi, IIª IIae, q. 11, a. 3.
[13] Registrum Epistolarum fratris Johannis Peckham, London 1885, III, p. 901. Citato da S. V. Rovighi, Introduzione a Tommaso d’Aquino, cit., pp. 137-138.