Vita e Opere

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Nato a Roccasecca[1] nel 1225, a cinque anni Tommaso entrò a Montecassino fra i “pueri oblati”, mentre a quindici nell’università di Napoli studiò filosofia aristotelica. Nonostante l’opposizione della famiglia, nel 1244 entrò nell’ordine domenicano.  Studiò quindi a Parigi (1245-48) e a Colonia (1249-52), sotto la guida di Alberto Magno.  A Colonia fece da assistente ad Alberto e come baccelliere biblico compose il suo primo trattatello: Expositio super Isaiam ad litteram. Nonostante  avesse solo 27 anni, alla richiesta del maestro generale in tal senso, Alberto indicò fra Tommaso a baccelliere delle Sentenze a Parigi, vale a dire come commentatore del manuale classico di teologia nel medioevo, i quattro libri delle Sentenze di Pietro Lombardo. A parte il risultato del corso, lo Scriptum in IV libros Sententiarum, in questo periodo Tommaso compose anche il De ente et essentia, prova che filosofia e teologia egli le aveva nel sangue e che la scelta in senso aristotelico era in questi anni giovalili già compiuta.

Nel 1256 fu nominato (come il francescano Bonaventura) magister in sacra pagina, ed in tale veste fino al 1259 insegnò all’università di Parigi, in piena controversia con Guglielmo di Sant’Amore, animatore di una campagna contro l’insegnamento dei religiosi in quella università, e contro il quale compose il Contra impugnantes Dei cultum et religionem. Nel decennio successivo dimorò in Italia e particolarmente nello Studium Curiae a Viterbo ed Orvieto, oltre che nello Studium generale di Santa Sabina a Roma. Ma anche in tante attività pratiche trovò il tempo di conciliare speculazione e missionarietà, come quando su richiesta di fra Raimondo di Peñafort (ex maestro generale dell’Ordine) mise mano alla Summa contra gentiles, concepito come un manuale per rispondere alle critiche dei musulmani. E come egli era generoso a mettere a disposizione dell’Ordine i suoi talenti, allo stesso modo l’Ordine lo sosteneva mettendogli tre ed anche quattro segretari a disposizione per scrivere sotto dettatura, primo fra tutti quel fra Reginaldo da Piperno, suo socius continuus..
Lettore nel convento di Orvieto nel 1261, come magister Tommaso compose l’Expositio super Iob ad litteram, ma ancora una volta si mise a disposizione del papa e dei confratelli con scritti piuttosto pratici, come il Contra errores graecorum, il trattatello De rationibus fidei ad cantorem Antiochenum, la Glossa continua super evangelia, più nota come Catena aurea, e suo sembra essere anche l’Officium de festo corporis Christi ad mandatum Urbani papae. Ovviamente, alcuni di questi scritti, risentono del carattere delle fonti, vale a dire dei testi raccolti e messigli a disposizione da segretari ed amici, nonché della velocità della stesura.

Fu alla corte pontificia che fece amicizia col confratello Guglielmo di Moerbecke, grande traduttore di Aristotele e dei neoplatonici, che gli permise di conoscere i testi greci senza ricorrere alle interpretazioni arabe. Nel 1265 per ingiunzione del capitolo provinciale romano si recò a S. Sabina (Roma) per fondarvi lo studium della Provincia, e fu qui che diede inizio alla sua opera capitale, la Summa theologica [2], della quale però a Roma terminò solo la Prima Parte (Prima Pars), mentre la Seconda Parte (divisa nelle due sezioni: Prima Secundae e Secunda Secundae) la compose a Parigi, dove per volere del papa si era recato nuovamente ad insegnare (1269-1271).  E dovette impegnare tutto sé stesso se, mentre componeva quest’opera fondamentale, dovette anche affrontare attacchi da più parti, come l’aggressivo averroismo della Facoltà delle Arti, la guerra non sopita dei maestri secolari contro i religiosi e persino contro i rivali francescani. Contro s. Bonaventura ad esempio sostenne una disputa nel 1270.
Tra i dibattiti di questo periodo il più significativo è il De unitate intellectus contra Averroistas. Più significativo perché indica bene il tipo di lotte filosofiche che dovette affrontare. Averroé era il filosofo arabo di Cordoba, morto nel 1198, che con l’adozione dell’aristotelismo aveva confutato gli altri filosofi arabi più sensibili alla teologia tradizionale (come Al Farabi ed Avicenna). Ma se Averroé non ebbe molta fortuna fra gli arabi che lo consideravano un dotto miscredente, ebbe però un notevole successo nel mondo occidentale e specialmente all’università di Parigi. Qui Sigieri di Brabante diffuse le sue teorie, rivendicando in generale una certa autonomia della filosofia dalla teologia, ed affermando tra l’altro l’eternità del mondo nonché l’unità dell’intelletto agente e dell’intelletto possibile per tutta l’umanità.

Come si può vedere, le teorie degli averroisti, benché legittime in linea generale, se si fossero imposte avrebbero avuto pesanti ripercussioni su alcuni punti nevralgici della fede cristiana. In particolare la tesi dell’unità dell’intelletto universale portava direttamente alla negazione dell’anima individuale. Ed ecco l’importanza del Contra Averroistas  di Tommaso. Tuttavia, nonostante l’intento apologetico, Tommaso non poteva restare indifferente a quello che era il tema principale della sua riflessione, il rapporto fra fede e ragione. Per cui, pur sapendo di attirarsi numerose critiche, si avvicinò all’averroismo sostenendo che con la sola ragione non si può provare che il mondo abbia avuto un inizio. Aggiungeva però che si poteva credere per fede. Una risposta alle critiche è il suo  De aeternitate mundi contra murmurantes.

Nel 1272 tornò a Napoli, su richiesta di Carlo d’Angiò, per ordinare l’insegnamento in quella università.  Qui riprese la Summa Theologiae nella sua Tertia Pars. Ma il 6 dicembre 1273, quando aveva portato a termine la quaestio 90, a. 4, sospese l’attività di scrittore. Il Supplementum infatti non è suo, ma di suoi discepoli che lo composero a partire da vasti brani del suo commento alle Sentenze. Nel 1274 partì per la Francia, per partecipare al concilio di Lione ma, il 7 marzo, nell’abbazia di Fossanova, morì.
Tra le altre opere è opportuno ricordare le Quaestiones disputatae (De veritate, De potentia, De malo, De anima, ecc.) e le Quaestiones quodlibetales, il trattatello politico De regimine principum sulla retta conduzione del governo, e l’Expositio in Dionysium, un commento al De divinis nominibus dello Pseudo-Areopagita.


[1] Immensa è la letteratura su S. Tommaso, sia sulla persona che sugli scritti. Si segnalano tuttavia le seguenti opere: Angelo Walz, S. Tommaso d’Aquino,  Edizioni Liturgiche, Roma 1945; Jean Pierre Torrell, San Tommaso d’Aquino. L’uomo, il teologo,  Piemme, Roma 1994;  Otto Hermann Pesch, Tommaso d’Aquino. Limiti e grandezza della teologia medioevale, Queriniana, Brescia 1994; M.D. Chenu, Introduzione allo studio di S. Tommaso, Firenze 1953; Mario Sgarbossa, Tommaso d’Aquino. L’epoca, la vita, il pensiero, Città Nuova, Roma 1996; Sofia Vanni Rovighi, Introduzione a Tommaso d’Aquino, Ed. Laterza, Roma Bari 2002.
[2] Per le opere di S. Tommaso vedi Sancti Thomae Aquinatis doctoris angelici Opera Omnia iussu Leonis XIII P. M.  edita, a cura dei Frati Predicatori, Roma 1882 e seguenti. A questa edizione si rifà la recente edizione con testo latino e traduzione italiana a fronte, vale a dire la Summa Theologica, a cura dei Domenicani italiani, ed. Salani, 35 voll., Bologna 1985. Per una reperibilità di quasi tutta l’opera tommasiana anche in italiano, si rinvia all’edizione delle sue opere a cura delle Edizioni Studio Domenicano di Bologna.