Inizio questo piccolo intervento con una possibile definizione di professione solenne nell’Ordine dei Predicatori: è un cammino per la santità verso il regno dei Cieli. I percorsi di bene per il regno dei Cieli sono diversi e tutti ugualmente validi, capire quale di questi il Signore vorrebbe che ciascuno di noi percorresse non è facile e immediato da comprendere. Di una cosa sono sicuro: per comprendere il percorso da intraprendere è necessario camminare, non stare fermi, anche prendere percorsi sbagliati è sicuramente meglio che stare fermi, perché il percorso sbagliato ci porta a capire quello giusto. Spesso il Signore permette che percorriamo sentieri sbagliati per scolpirci, modellarci come pietre vive. È necessario quindi mettersi in gioco in un discernimento guidato da persone esperte di cui possiamo fidarci. Una volta scelto il bene e rigettato il male, siamo tenuti a scegliere tra bene e meglio, dove il meglio è la volontà di Dio su di noi. Camminando, viaggiando, ho imparato a conoscere me stesso, le mie aspirazioni più profonde. Ho iniziato il percorso con i domenicani nel 2017, nella Basilica di San Domenico maggiore in Napoli, con alcuni incontri per verificare una possibile consacrazione al Signore tramite la via domenicana, incentrata su quattro pilastri che hanno da sempre caratterizzato la mia vita, fin da giovanissimo: la contemplazione, lo studio, la predicazione della Parola di Dio e la vita comunitaria. Mi ha fatto riflettere il fatto che san Domenico portava con sé sempre le lettere di san Paolo, il viaggiatore per eccellenza: era un modello di vita per san Domenico e poteva prendere forza per le sue predicazioni proprio leggendo continuamente le sue lettere. Sicuramente, come in qualsiasi viaggio, ci sono stati momenti di buio e di maggiore fatica nel mio percorso di formazione, durato cinque anni: custodire i tre voti, castità, obbedienza e povertà,richiede uno sforzo e un allenamento continuo, è una vera e propria sfida. Evidentemente nel nostro cammino è necessario fermarsi per riposare e riprendere fiato: l’adorazione del Santissimo Sacramento è il vero riposo, sosta del cammino, che ti permette di riprendere le forze nei momenti di buio e di maggiore stanchezza. San Paolo parla del suo cammino, dei suoi viaggi, in questo versetto di una ricchezza unica: “Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli” (2 Cor11,26). Mi sto rendendo conto, nella vita conventuale, che non siamo tenuti a predicare la Parola di Dio solo all’esterno del convento, ma in particolare all’interno delle nostre comunitàconventuali. Gesù ha dovuto portare la sua Parola anche a coloroche gli erano più vicini e che lo hanno rinnegato (Pietro) e perfino tradito (Giuda), ai sacerdoti del suo tempo che lo hanno consegnato per invidia (Caifa). Purtroppo, diverse volte anche noi sperimentiamo la falsità di chi ci sta più vicino, ecco perché Gesù vedendo Bartolomeo si meraviglia di vedere un uomo senza ipocrisia, dicendo: “Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità” (Gv 1,47).
Ma nonostante tutto, Gesù ha compiuto il suo viaggio, la missione che gli aveva dato il Padre, potendo esclamare sulla croce “È compiuto!” (Gv 19,30). Ma poche ore prima aveva detto ai suoi discepoli: “io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo” (Gv10,17). Anche noi frati emettendo la professione solenne, ovvero donandoci a Dio fino alla morte, diamo questa vita per riprendere quella eterna. Chi è disposto a dare tutto, riceve il tutto, ovvero l’Eterno.
Dare tutto è testimonianza e nello stesso tempo è predicare la Verità. Le opposizioni a chi predica Cristo, che è Verità, ci sono state e ci saranno sempre. Una tale predicazione ha quindi un prezzo, la propria vita e non mi riferisco solo a quelli che hanno versato il sangue per la Verità, come san Pietro da Verona, ma mi riferisco a tutti i frati domenicani che predicano Cristo. Predicare Cristo significa creare una divisione negli ascoltatori, tra coloro che accolgono la Parola di Dio e coloro che la rifiutano e persino intraprendono una persecuzione contro il predicatore. Molto spesso nel nostro cammino, per predicare la Verità, siamo tenuti a fare delle scelte importanti che sono contro corrente, che vanno contro l’ipocrisia del mondo. In questi momenti decisivi il teologo John Breck suggerisce: “Quando ci troviamo obbligati a prendere una decisione che ha serie conseguenze, ma gli elementi necessari per discernere la volontà e lo scopo di Dio sembrano mancanti, allora dobbiamo fare un passo indietro e ricordarci di quel che realmente sta succedendo. Dobbiamo recuperare l’intuizione dei grandi asceti della Chiesa, che questi momenti critici della nostra vita sono campi di battaglia, arene dello Spirito, in cui la decisione più importante che possiamo prendere è quella di arrendere nelle mani misericordiose di Dio sia noi stessi che le altre persone coinvolte” (The Sacred Gift of Life, Orthodox Christianity and Bioethics, 52). Ma non dobbiamo mai scoraggiarci nel predicare la Parola di Dio, come afferma la lettera agli ebrei: “Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo” (Eb 12,3).
Non è un caso che la professione solenne di noi frati domenicani avvenga all’interno della celebrazione eucaristica. Nella messa Gesù offre tutto sé stesso fino alla morte e come il sacerdote offerente diventa offerta, così il frate che emette la professione solenne diventa offerta a Dio gradita, offrendo tutto sé stesso fino alla morte. Credo che uno dei momenti più significativi di tale celebrazione sia quello delle litanie dei santi, durante il quale il frate si stende a terra per chiedere la protezione dei santi, come già aveva fatto precedentemente per chiedere la misericordia di Dio, cioè affinché il Signore possa avere cuore per le proprie miserie.
Emettere la professione solenne è allo stesso tempo una grande gioia per il frate e per la sua famiglia di origine, che si dona insieme al frate. È una gioia grande per la comunità domenicana che accoglie un nuovo figlio, il quale diventa parte definitiva del suo corpo, per servire e condividere. Certamente ci deve essere gioia perché “si è più beati nel dare che nel ricevere!” (At 20,35), e nello stesso tempo, “Dio ama chi dona con gioia” (2 Cor 9,7).
E non importa in quale luogo il Signore ci manderà a predicare perché, noi fungiamo da ambasciatori di Cristo, da portaborse di Cristo, è lui che esorta attraverso di noi (cfr. 2 Cor 5,20) perché“non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me.” (Gal 2,20).
fr. Gennaro Maria Vitrone OP