Verso la terra che io t’indicherò

L’ufficio di pastorale giovanile e vocazionale della Provincia “San Tommaso d’Aquino in Italia” ha organizzato, per i giorni dal 21 al 23 dicembre 2022, un ritiro vocazionale presso il convento Santo Rosario in Messina. Tale incontro, oltre ad averci dato la gioia di condividere il nutrimento materiale e spirituale con i frati del convento, ci ha permesso di riflettere su ciò che dà avvio a ogni vocazione, e in particolar modo, per la sua natura, a quella del predicatore: l’invito che Dio ci fa a lasciare tutto per seguirlo (cfr. Mc 10,28). Un esempio illuminante di quest’ordine, nella forma di un comando assertivo, si ritrova nelle parole rivolte ad Abramo, su cui si sono soffermate le meditazioni proposte nel ritiro: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò» (Gn 12,1). Non si tratta di un’imposizione dall’alto, che non tenga conto della sensibilità di colui che deve separarsi dai propri affetti, ma rappresenta piuttosto la missione che Dio indica non solo ad Abramo, ma a ciascuno di noi, per poter portare a pieno sviluppo quell’identità unica e personale che ci caratterizza come individui: una tale singolarità, infatti, non può fiorire presso gli agi e le comodità del focolare domestico, con tutte le convinzioni e certezze che ne derivano, le quali deformano la nostra visione della realtà frapponendo a essa le lenti della “comfort zone”. Domenico stesso dovette far fronte a questa forza attrattiva che colpì quei pochi frati che costituivano la prima comunità domenicana, quando, contro ogni prudenza umana, egli li disseminò per il mondo, sapendo infatti «che il grano se è ammucchiato marcisce, se è disperso fruttifica» (Costantino da Orvieto, Legenda beati Dominici); allora, «si sorpresero tutti a sentirlo annunciare così improvvisa decisione» (Giordano di Sassonia, Libellus 62) e iniziarono a opporvisi, ottenendo però una sua risposta ferma e decisa (come l’ordine che Dio dà ad Abramo): «Non contradditemi, so bene io quel che faccio» (Proc. Bol., n. 26). 

Ciò che offusca il giudizio del “vocato” davanti alla possibilità di mettersi in cammino è, dunque, un’errata valutazione delle vincite e delle perdite, tale per cui si interpreta l’abbandono alla volontà di Dio come un allontanarsi dal certo alla ricerca dell’incerto. Eppure, Dio rivela immediatamente ad Abramo ciò che comporterà l’accettazione del suo volere: «Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e (…) in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gn 12,2-3). Tali “ricompense” non sono relegate a un indeterminato “domani” nel quale Abramo può solamente sperare, ma sono piuttosto espressione concreta, materiale e tangibile del senso che Dio apporta alla vita di coloro che rispondono positivamente alla sua chiamata, come Gesù tiene a sottolineare ai suoi discepoli: «Non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà» (Mc 10,29-30). Se, dunque, colui che è chiamato alla predicazione deve certamente lasciare «terra, parentela e casa» (cfr. Gn 12,1), altrettanto certamente egli ne riceverà cento volte tanto in fratelli, con i quali predicare il Vangelo «a due a due» (Mc 6,7), nutriti di quel pane grazie alla cui forza Elia «camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb» (1Re 19,8).

Fr. Giovanni Cafagna con i partecipanti al campo vocazionale

«Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore» (Gn 12,4), senza controbattere. Tale è l’effetto di un invito-comando che mette in gioco la nostra identità, ponendola nella difficoltà del cammino e del conatus con cui tentiamo di conformarci alla volontà di Dio, per poi riconfermarla, in virtù di questo processo, nel suo autentico valore, in una superiore sintesi che ci restituisce la pienezza di noi stessi. Così, la risposta alla chiamata di Dio, come sottolineò Umberto di Romans, costituisce il momento di incontro tra la natura e la grazia: è rispondendo con un libero “fiat” alla cogente e irresistibile chiamata di Dio che rinnoviamo e confermiamo il mistero dell’Incarnazione e dell’incontro tra Dio e l’uomo.

Giuseppe Parisi

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